L’inconsistenza del moderatismo
di DAVIDE PARASCANDOLO (FSI L’Aquila)
Cambiamento. Una delle tante vuote espressioni così in voga di una vuota politica che fa dell’uso delle parole un’arma efficacissima per nascondere, celare, mascherare finalità antitetiche rispetto al significato di cui esse sono portatrici per il senso comune. Ci sono alcuni termini che istintivamente associamo ad un concetto di positività, senza soppesarne la potenziale carica negativa. Uno di essi, oltre al già citato cambiamento, di per sé sempre interpretato invariabilmente come foriero di progresso, è moderatismo. La moderazione, come noto, è sempre stata considerata un’importante virtù, una qualità dell’uomo saggio e misurato. Insomma, un sinonimo di affidabilità. Se ciò può essere senz’altro vero in generale, un tale atteggiamento, applicato in contesti diversi, può però implicare risultati diversi.
Consideriamo la politica. Cosa vuol dire oggi essere moderati? Stando a quanto possiamo concretamente constatare dal comportamento e dal pensiero di chi si inscrive in questa categoria, non possiamo che giudicare il moderatismo come sinonimo di completa inanità. I legionari del moderatismo, nell’odierno panorama politico, non sono altro che i cani da guardia del sistema. Come accennato in apertura, infatti, essi si fanno scudo con un termine che li fa automaticamente apparire sotto una veste rassicurante. Errore di valutazione esiziale, soprattutto in un contesto, come quello attuale, di sostanziale subalternità a poteri stranieri dei quali i cosiddetti moderati non sono altro che i fedeli esecutori.
Rigettare il moderatismo appare allora un imprescindibile imperativo. Preveniamo anzitempo ogni reazione atterrita del sostenitore del politicamente corretto di turno. Qui nessuno anela alla restaurazione di un qualche tipo di dittatura – per chi non se ne fosse accorto, proprio quella eurounionista, pur non essendolo nei modi formali, lo è tuttavia negli effetti sostanziali. Il moderatismo va rigettato in primo luogo come condizione dell’animo; esso apre infatti la strada all’arrendevolezza, all’accettazione dello status quo, all’incapacità di immaginare una profonda ristrutturazione dei rapporti sociali ed economici attualmente vigenti. In questo senso, il moderatismo è oggi la precondizione dell’immobilismo, della rinuncia, in ultima analisi, della sconfitta. Alle condizioni date, oggi esso è un approccio perdente.
Vi sono momenti storici in cui, essendo già presenti presupposti socialmente ed economicamente evoluti, il cambiamento può essere apportato, in senso migliorativo, con aggiustamenti progressivi. Ma in un’epoca di drammatica e repentina involuzione come quella in cui siamo da tempo ripiombati, occorrono idee radicali, atte a rinvigorire animi da troppo tempo schiacciati dalla frustrazione. Il radicalismo di cui parliamo deve essere prima di tutto l’espressione di una rinnovata condizione esistenziale, il simbolo di un ritrovato slancio volitivo, di una ferma onestà intellettuale che non può più accettare compromessi al ribasso; una postura in primo luogo dello spirito attraverso cui far riemergere una nuova e più risoluta lotta sociale.
Deve essere il marchio distintivo di uomini capaci di riconquistare prima di tutto una loro sovranità interiore. Senza un violento sussulto di orgoglio e di dignità, questi uomini non saranno mai in grado di riconquistare l’autonomia politica. E tuttavia, prima dell’autonomia politica in sé, è necessario riconquistare la consapevolezza, che ci hanno tolto, di poterla gestire ed esercitare pienamente nel nostro interesse.
Il tempo del moderatismo deve terminare perché di moderatismo, alla fine, si può anche morire. Oggi il mutamento, per essere tale, non può che essere radicale. Occorrono quindi visioni di sistema nettamente definite, uomini e donne che sappiano ciò che vogliono e che siano coscienti degli strumenti necessari per ottenerlo. Quegli strumenti bisogna riprenderseli. Per farlo, occorre chiamare a raccolta tutti coloro che sentano nel loro animo il richiamo di questa rivoluzionaria radicalità.
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