L’esempio e i suoi effetti
di GIUSEPPE NOCERA (FSI Enna)
Un pomeriggio raggiante quello di oggi, 30 marzo. Ho finalmente ritrovato alcuni libri che appartenevano ai miei genitori e che facevano parte di una nutrita libreria accumulata nel tempo, andata poi persa in gran parte per varie cause. Li avevo messi da parte in alcuni scatoloni, conservati gelosamente. Ho vissuto il ritrovamento con grande gioia, unita pure ad una grande rabbia per quanto è andato perduto. Il più antico risale al 1875, il più recente agli anni ’60 e forse ’70. In genere libri di filosofia di mia madre, qualcuno in inglese di mio padre. Inutile disperarsi per quanto è andato perduto, aggiungerei dolore al dolore. Preferisco la felicità del toccare, sentire, sfogliare e leggere quanto è (ahimè!) rimasto.
Vi traggo le primissime pagine del libro di un mio, in qualche modo, antenato, parente lontano di mio padre. Scritto 15 anni dopo l’unificazione dell’Italia, 1875: L’esempio e i suoi effetti. Si tratta di una introduzione, dopo la quale vengono considerati gli effetti dell’Esempio nella famiglia, nei Municipi, nella Scuola, nei sacerdoti, nell’onore, l’esempio dei patrioti, nella carità, nelle belle arti, nell’agricoltura.
“L’ Esempio: L’esempio è l’istruzione senza precetti, l’insegnamento in azione che riesce utile se è buono, dannoso se cattivo. Chiunque eserciti qualche potere ha l’obbligo supremo di dar il buon esempio: i genitori, gl’insegnanti, i sacerdoti, gli amministratori, le autorità, i magistrati, i comandanti e tutti in somma, invocheranno inutilmente le leggi, la morale, la disciplina per migliorare i loro dipendenti senza il loro buon esempio; essi potranno punirli, correggerli mai. Che se un uomo, per quanto pura ed utile sia la dottrina che vuol propagare, pretendesse che gli altri la seguissero, senza ch’egli abbia dato l’esempio di averla abbracciata con tutta la sua buona fede, con tutto il suo convincimento, perderebbe assolutamente il tempo; quella dottrina resterebbe lettera morta, ed egli non avrebbe un solo seguace. Verba movent, exempla trahunt (le parole incitano, gli esempi trascinano). E’ quindi un assurdo, uno scandalo, un sentimento assai debole quello di dire: ‘Fate ciò che dico, e non ciò che faccio’.
La forza dell’esempio è appoggiata alla più costante e quotidiana esperienza, che appalesa gli uomini imitatori per istinto; il fanciullo che ha la mente duttile come cera, tenacemente conservando le impressioni che riceve, col solo udir parlare i membri della famiglia in breve tempo impara la lingua natia, mentre se dovesse apprenderla per teorie e per precetti, non saprebbe parlare neppure ad età inoltrata. […] Adunque gli adolescenti divengono buoni, costumati, gentili, morali, e virtuosi se tale fu l’esempio in cui giornalmente si sono specchiati; e malvagi riescono, viziosi ed immorali se invece si ebbero a modello uomini corrotti. Il soldato sarà valoroso ed imperterrito, se valorosi e coraggiosi sono i suoi comandanti; l’impiegato sarà onesto e probo, se l’onore e la probità sono guida al suo superiore; l’alunno sarà educato ed incorrotto, se è tale il suo educatore; l’artiere sarà buono, morigerato e coscienzioso, se tale è chi lo dirige; la figlia sarà una civetta, se la madre non ha battuto la via della virtù; il popolo di una città sarà demoralizzato, se immorali sono i sacerdoti e gli amministratori delle pubbliche sostanze.
La madre di Herber soleva dire: che siccome i nostri corpi sono nutriti in conformità dei cibi che mangiamo, così gli animi nostri assumono anch’essi le virtù e i vizii a seconda dell’esempio che riceviamo. Dunque senza il buon esempio il progresso e l’incivilimento non possono efficacemente svilupparsi, e mi permetto di dire che la potenza dell’esempio è base dell’educazione e della morale di un popolo, e dove questo manca, la nazione intristisce, e di vizio in vizio, di corruzione in corruzione va totalmente a decadere. Roma, la famosa metropoli che nei tempi antichi sotto gli svariati aspetti fu sempre regina del mondo, la prima potenza dominatrice e soggiogò regni ed imperi, quando decadde dal supremo primato che esercitava sulle nazioni? Quando mancò del buon esempio; cioè quando gli ultimi suoi governanti vissero nella crapula e nel lusso; quando i suoi soldati cominciarono a poltrire nelle ricchezze e nell’ozio; quando la classe pensante corruppe la pubblica moralità; quando il popolo, privo di buon esempio, divenne pregiudicato e vizioso; quando mancato l’esempio del valore e dell’amor di Patria, vennero innati l’apatia e l’indifferentismo che soli bastarono a distruggere quel colosso: di modo che a noi non resta della famosa Roma, se non alcune brillanti pagine della sua antica storia.
E l’Italia nostra, questa regione rinomata per la limpidezza del suo cielo, per le deliziose sue contrade, per l’ubertosità del suo terreno, per la portentosa sua configurazione, chiamata da Dio e dalla natura a divenire uno Stato potentissimo, malgrado che con gravissimi sacrifici, e con torrenti di sangue di tanti martiri oggi la vediamo riunita nella sospirata unità, perché dopo quindici anni di libero governo, dopo quindici anni di lotte avventurosamente superate, non è ancora felice? Perché la maggioranza dei suoi cittadini non cammina sulla via della probità; e la probità sparisce dove manca il buon esempio. E se diamo un colpo d’occhio con freddezza e senza spirito di parte su molte famiglie italiane, se alquante scuole primarie e secondarie e sulle diverse caste sociali, con grave rammarico dovremo convenire che poco o nulla si è curato di dar buon esempio.
Molti illustri scrittori hanno promulgato al popolo buone teorie, sani precetti educativi, ma sventuratamente non tutti han curato ad essere osservanti delle loro dottrine, e sono perciò caduti nella debolezza di predicar virtù ed essere viziosi; di levare a cielo i sentimenti di onoratezza ed essere disonesti; di dire enfaticamente il bene e fare il male, e di sanzionare, direi quasi come un precetto: fate quel che dico e non quel che faccio. Convinto dunque che la forza del buon esempio costituisce un fattore del progresso e dello incivilimento, offro questo mio lavoro al popolo italiano, e specialmente lo dedico a quei cittadini ai quali la famiglia, l’educazione, l’istruzione sono un fatto e un dovere recente, onde convincerli che sino a tanto l’Italia perdurerà nel cattivo esempio, essa non sarà giammai quella grande potenza che tutti desideriamo, e non si salverà a quel grado di virtù a di dignità cui aspira, qualunque si fossero i sacrifizii ai quali potremmo sobbarcarci. Quando una nazione considera come un vecchiume l’educazione, l’obbedienza, l’onore, l’ordine, la lealtà, la virtù, allora in quel buio altra speranza non le rimane che sollevare tali nobili sentimenti, e ringiovanirli, con energici sforzi dei buoni e degli onesti cittadini; e specialmente dei giovano padri di famiglia per nobilitare i cuori dei loro fanciulli; dei nuovi insegnanti per illuminare colla irreprensibilità dei loro costumi la via della morale che devono battere i loro piccoli allievi; dei novelli sacerdoti per moralizzare col loro costante esempio di probità le popolazioni; degli amministratori pubblici per far vienmeglio sviluppare i sentimenti dell’onore, e tutti assieme dirigere la crescente generazione nella strada del dovere, della moralità, della giustizia.
Vorrei risparmiare la conoscenza di questo mio lavoro a quei genitori che si distinguono per probità e per un ben inteso amore della famiglia; a quei buoni e pratici educatori che possono essermi maestri e pei quali le mie parole non hanno alcuna importanza; e a quei pochi venerandi sacerdoti che hanno dato brillanti prove di pietà, di moralità, di buon esempio; ma non disvorrei tale conoscenza a quei cittadini che, leggendolo, potessero dire “è tardi”, perché c’è speranza finché c’è vita, acciocché modificassero i loro costumi, correggessero la condotta della loro vita, e si sforzassero ad infondere col loro buon esempio in qual modo si adempiono i doveri.”
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