Un “Toeplitz” al MEF
di ANDREA RIACA’ (FSI Roma)
Il 12 gennaio 2017 il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, nel corso dell’audizione di fronte alle commissioni Finanze congiunte di Camera e Senato sul decreto banche, ha assicurato che Mps “definitivamente risanata” (con i soldi pubblici) “tornerà al mercato”. Senza che questa dichiarazione destasse quantomeno un po’ di imbarazzo in alcuno. Si tratta infatti di una rassicurazione gravissima. Da un lato il fallimento di MPS dimostra in maniera lampante che il privato non è assolutamente migliore del pubblico dall’altro, cosa ancor più grave, rappresenta un invito ai banchieri a porre in essere operazioni (rectius: speculazioni) sempre più ardite e spericolate nella consapevolezza che eventuali guadagni resteranno privati ed eventuali perdite saranno collettivizzate. Si tratta quindi di un palliativo che non risolve il problema alla radice che solamente la conseguente e logica (visto che si impiegano soldi pubblici) nazionalizzazione avrebbe garantito. Restano intatte infatti tutte le storture che hanno ridotto sul lastrico MPS (e prima di lei altri istituti di credito) e che possono essere riassunte in una sola parola: catoblepismo. Un neologismo ideato da Paolo Mattioli per indicare i risvolti patologici insiti nel sistema della “banca mista” (o “banca universale” che dir si voglia).
Mi sovviene al riguardo un paragone storico molto interessante. Mi riferisco al salvataggio del Banco di Roma del 1923. Emersero allora due posizioni ben distinte: da un lato quella riconducibile ad Alberto Beneduce che prevedeva la nazionalizzazione del Banco di Roma dopo il salvataggio pubblico e dall’altro quella del liberista Giovanni Toeplitz che al contrario presumeva il disimpegno dello Stato dopo che lo stesso avesse provveduto a ripianare i debiti dell’istituto.
Mussolini che dopo aver esordito con fallimentari politiche liberiste (si pensi, tanto per dirne una, all’austerità per raggiungere la famigerata “Quota 90”) che avevano portato al default della Banca italiana di sconto (BIS) nel 1921 e poi ancora a quello della Banca Agricola italiana che trascinarono con sé innumerevoli altri istituti, si stava finalmente convertendo a politiche decisamente più dirigiste. La svolta del Capo del Governo fascista si concretizzò con la decisione di sposare le posizioni di Alberto Beneduce. Si racconta che Toeplitz sia stato visto uscire in lacrime dall’incontro con Mussolini. (Se così fosse la Fornero potrebbe vantare antesignani piuttosto illustri).
Alberto Beneduce non era un fascista. Alberto Beneduce era un socialista. Un uomo che chiamò le sue tre figlie: Idea Nuova Socialista, Vittoria Proletaria e Italia Libera. E non abiurò mai la propria “fede” politica né tantomeno Mussolini si sognò mai di chiedergli di farlo. A Beneduce si deve la costruzione di quell’impalcatura giuridica-economica che permetterà all’Italia di uscire definitivamente dalla crisi del ’29 e di addivenire al boom economico degli anni ’60 che la consacrerà tra le prime quattro potenze economiche al Mondo.
Beneduce portò la Banca d’Italia, che solo nel 1926 era diventata l’unica titolare del diritto di emissione e di controllo sullo stock monetario e sul sistema creditizio, alle dirette dipendenze dell’esecutivo; il Banco di Roma (dopo il salvataggio), la Banca commerciale e il Credito italiano divennero Banche d’Interesse Nazionale (BIN). Sua, infatti, la Legge bancaria del ’36 che verrà cristallizzata nella Costituzione Repubblicana del 48 e ne diverrà al contempo norma attuativa dell’art. 47. Tutti sanno che la Costituzione pluriclasse del 48 è antifascista (e certamente, per fortuna, lo è riguardo alle libertà garantite), pochi sanno che la medesima Carta è parimenti anti-liberista (e dunque da un punto di vista economico in linea con l’impostazione dirigista degli ultimi due lustri del “ventennio”).
L’IRI, un’altra creatura di Beneduce, per esempio, sopravviverà fino alle privatazzazioni degli anni ’90 quando ancora, nel 1992 (anno del suo smembramento e svendita), fatturava la bellezza di 75.912 miliardi di lire posizionandosi al settimo posto nella classifica delle maggiori società al Mondo per fatturato. La Legge bancaria del ’36 sopravviverà due anni di più, fino a quando cioè il Governo Amato nel 1994 approntò, recependo la direttiva bancaria CEE del 1992, il Testo Unico Bancario riportando incredibilmente in auge l’incubo del sistema della “banca universale” foriero di crisi finanziarie e fallimenti industriali; una vera e propria manna dal cielo per gli speculatori.
Ciò che più atterrisce, tornando ai giorni nostri, oltre alla crisi economica che assomiglia sempre più a quella del ’29 e che ha ormai raggiunto proporzioni disumane, è l’assoluta mancanza di prospettiva: c’è un “Toeplitz” al MEF; servirebbe un “Beneduce”.
“Voi avete spezzato le catene che legavano le banche all’industria, connubio innaturale, specialmente in una nazione e in un regime che pongono alla base dell’azione dello Stato non le astruserie di teorie individualistiche liberali, bensì la tutela del patrimonio dei cittadini indifesi contro gli assalti agguerriti di privilegiati pronti a sfruttare le raffinatezze della tecnica capitalistica per convogliare a loro profitto il sudore e il risparmio della povera gente”. Donato Minichella (1939) in occasione del saluto di commiato di Beneduce dalla presidenza dell’IRI.
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