Welfare aziendale, un possibile modello vincente (senza essere Google)
Articolo di ECONOPOLY che rievoca un mondo ormai dimenticato dove si discuteva ancora del modello azienda OLIVETTI, tanto osteggiato dalla classe imprenditoriale che faceva capo invece alla FIAT, il quale alla fine prevalse incontrastato su tutti gli altri e troviamo consolidato infine nell’attuale CONFINDUSTRIA.
L’idea di fondo che non viene citata è quella che Luciano Gallino definisce nei suoi scritti come ‘L’impresa responsabile’ in contrapposizione a quella che si è imposta già da molto tempo prima della comparsa dell’Euro, a partire dalla fine degli anni ’70, poi esplosa dopo il 1989, del ‘L’impresa irresponsabile’.
Su questo punto, la tesi di Gallino non è affatto lontana da quella di Augusto Graziani che, nel suo riformismo economico, prevedeva un compromesso tra classi sociali dove i lavoratori, attraverso una più complessa ‘politica dei redditi’, si impegnavano a diminuire le proprie pretese salariali, ottenendo in cambio, tuttavia, che la classe imprenditoriale rinunciasse ad una parte del profitto affinché fosse reinvestito nel luogo di lavoro e nei servizi.
Questa strategia avrebbe avuto il doppio risultato di mantenere (diversamente dagli anni ’80) che l’inflazione rimanesse al di sotto di un certo limite (che non è quello però voluto attualmente dalla BCE), tale che non danneggiasse il profitto. Dall’altra, entrambi, sia lo Stato che l’industria, avrebbero garantito investimenti su produzione, lavoro, e servizi. L’aumento dell’investimento sia sui servizi che sulle infrastrutture da parte dello Stato, e di nuovo sui servizi da parte dell’azienda, avrebbe inoltre assicurato, al contempo, da una parte, il miglioramento della qualità del lavoro, mentre dall’altra, avrebbe impedito un’impennata della domanda interna, tale da non compromettere la bilancia dei pagamenti.
Ovviamente un piano del genere non sarebbe possibile senza la mediazione di uno Stato nuovamente rafforzato, legittimo e indipendente, che abbiamo perso anche e principalmente a causa dei trattati europei così come l’imposizione della moneta unica. E insieme a quello di un altro tipo di sindacato. Quest’ultimo dovrebbe anch’esso rafforzarsi rispetto alla condizione senza dignità in cui è caduto oggi. Eppure, dovrebbe prendere allo stesso tempo le distanze dal modello che assunse negli anni ’70, rinunciando alla sua impostazione di base anarcoide quale alfiere di una sola classe sociale: quella operaia. E trovare, viceversa, nello Stato e nella Costituzione, punti di riferimento essenziali per costruire un nuovo e solido compromesso tra classi sociali.
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di ECONOPOLY (Luca Foresti)
Pubblichiamo un post di Luca Foresti, amministratore delegato del Centro medico Santagostino –
Il welfare aziendale è quell’insieme di benefit non monetari che un’azienda offre ai dipendenti allo scopo di migliorarne le condizioni di vita, in senso lato.
In Italia il welfare aziendale è sostenuto da due articoli del TUIR (Testo Unico Imposte dei redditi), il 51 e il 100, e dalla legge di stabilità del 2016 , con l’art.1 comma 182.
Se l’azienda mette 100 euro in busta paga, in tasca al dipendente ne arrivano 50. Con i benefit di welfare aziendali, fatto 100 del valore stanziato dall’azienda, al dipendente, se l’operazione è fatta bene, arriva un valore pari a 120. Questa maggiorazione è dovuta all’economia di scala grazie alla quale le aziende possono contrattare con i fornitori e nell’organizzazione dell’erogazione di beni e servizi. Per esempio: un’azienda può ottenere un 20% di sconto rispetto ai prezzi al pubblico generalmente applicati dal fornitore esterno, che invece il singolo dipendente non otterrebbe.
Un’azienda può arrivare a erogare welfare detassato per qualche migliaio di euro per singolo dipendente, con molti dettagli specifici che richiedono una attenta valutazione fiscale. Ma certamente si può fare..
Risulta quindi interessante porsi il tema di quali siano i servizi di welfare aziendale sensati e che funzionano.
Qual è innanzitutto l’obiettivo che un’azienda si pone nell’utilizzare questi strumenti? Notate bene: In questo articolo valutiamo l’interesse dell’azienda nel fare welfare aziendale, non prendiamo in considerazione quindi l’approccio legato alla CSR (corporate social responsibility):
1. Aumentare l’employer branding (essere attrattivi per i talenti)
2. Migliorare le condizioni concrete di vita del dipendente in modo che possa dedicarsi al proprio lavoro con meno barriere
3. Erogare aumenti di stipendio collettivi ad alta efficacia economica
Sgombriamo il campo da un equivoco, innanzitutto, evitando confronti sbagliati e fuorvianti, come quello che si fa, spessissimo, con Google. Del gigante di Mountain View si citano le mense aziendali che sono ristoranti strepitosi, i trasporti privati gratuiti, le palestre, le piscine. Ma bisogna tenere conto di alcuni numeri che fanno di Google un’azienda totalmente a sé:
1. Reddito medio dipendenti Google: 140mila dollari +bonus+stock option
2. Grado di selezione di Google: 1 ogni 130 candidati (2 milioni in tutto). Per intenderci, per entrare ad Harvard sono 1 su 14. Immaginate quindi quali persone entrano
3. Il margine di Google è del 40%
google_welfare
Allora lasciamo perdere un attimo la Silicon Valley e proviamo a ragionare su un welfare aziendale che costi poco e abbia un alto impatto, parametrandolo su aziende che hanno numeri come questi:
1. Costo azienda medio 30mila euro
2. Grado di selezione e scolarizzazione medio rispetto alla situazione della popolazione Italiana
3. Margini risicati, diciamo al 10%
È necessario innanzitutto valutare attentamente l’efficacia in termini di valore percepito da parte dei dipendenti e l’universalità dei benefit, per evitare che una parte dei dipendenti si senta esclusa da questi vantaggi. E poi scegliere una serie di possibili benefit che siano ad alto rapporto efficacia/costo. Qualche esempio?
1. Vaccinazione anti-influenzale: ogni anno si ammalano di influenza dal 5% al 10% dei cittadini. Il che significa che dal 5% al 10% dei dipendenti si ammala e sta a casa dal lavoro per una media di 5 giorni. Con un costo azienda di 30mila euro medio per dipendente e un valore creato di 60mila euro per dipendente, considerando 200 giorni di lavoro all’anno, ogni giorno di assenza costa all’azienda 200 euro, con un valore complessivo di 1000 euro medio per fenomeno influenzale. Quindi se è un anno di influenza cattiva, con un 10% colpito, in media per ogni dipendente l’azienda perde 100 euro all’anno. Il vaccino antinfluenzale costa 25 euro e quindi ha un ritorno sull’investimento pari a 4 volte.
2. Corso di inglese per tutti i dipendenti: ormai l’inglese è uno strumento fondamentale nella cassetta degli attrezzi di ogni lavoratore. Gli Italiani, in media, non lo parlano. Se un’azienda organizza corsi di Inglese al suo interno, facoltativi ma che possono essere erogati al dipendente solo se il dipendente si impegna e passa gli esami dei vari gradi di competenza, permette a chi ha più voglia di crescere di acquisire una competenza nel mondo moderno
3. Prodotti e servizi a basso aumento di valore marginale prodotti dall’azienda: se l’azienda produce servizi in cui l’aggiunta di un nuovo cliente non aumenta in modo rilevante i costi, possono essere erogati ad alta efficacia ai dipendenti, creando anche un gruppo di testing per i servizi in grado di dare feedback continui all’azienda
4. Cassette di frutta presenti sui luoghi di lavoro: la dieta ad alto contenuto di vegetali ha un forte impatto sulla salute delle persone. Il fatto di avere a disposizione frutta, soprattutto quella secca a guscio, permette di avere una dieta più equilibrata e quindi stare mediamente meglio
5. Contributi agli abbonamenti per i mezzi pubblici: gli incidenti stradali sono la prima causa di morte sul lavoro e per i giovani Italiani. Incentivare i dipendenti ad usare maggiormente i mezzi pubblici permette quindi di diminuire il rischio per la loro vita, che oltre ad essere importante per il singolo, è importante per l’azienda.
6. Assicurazione sanitaria orientata a ciò che non viene erogato adeguatamente dal Servizio Sanitario Nazionale: abbiamo la fortuna di vivere in un paese in cui il sistema sanitario è di buona qualità (non ovunque, come sappiamo) e quindi mettere molti soldi per sostituirlo con erogazioni private è un errore strutturale. Ci sono però delle aree non adeguatamente coperte e su cui un’assicurazione creerebbe gli incentivi giusti per occuparsi della propria salute a basso costo. Ad esempio un’igiene dentale annuale è importante per la salute della bocca. Una copertura tempestiva per casi di problemi psicologici è oggi fondamentale.
Sono solo alcuni esempi, che però indicano che oggi in Italia è possibile migliorare la vita delle persone agendo sul lato del welfare aziendale, ad alta efficacia, basso costo e attenta valutazione del percepito dei dipendenti.
Se una quota consistente di aziende cominciasse a ragionare in quest’ottica, avremmo un mondo del lavoro migliore. Sarebbe molto interessante creare un osservatorio che raccogliesse i dati sull’efficacia di ogni parte di welfare aziendale offerto in Italia e che potesse rappresentare una check-list da cui le aziende che volessero investire in questo settore potessero trarre spunto.
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