Professionismo politico, classe dirigente, militanza: facciamo un po’ di chiarezza.
di ALDO GIANNULI
Uno dei miei articoli più recenti ha un po’ disorientato i lettori al punto che uno mi scrive:
Sono confuso, prima malediciamo i professionisti della politica…causa principe dell’allontanamento dalla politica dai cittadini … gente che è stata in politica per decenni, produttrice di disastri, servi dei poteri forti e allergici alla democrazia….ora me ne si esce con la necessità di avere dei professionisti della politica, gente che conosce i meccanismi istituzionali ecc… Dunque: I politici di professione. No! Allora cittadini impreparati ma onesti, No! Allora mettiamo dei Tecnici superspecializzati, No! sarebbe un altro Monti. Mi permetta una battuta di colore: Ma chi minchia ci dobbiamo mettere al Governo? Vi ricordo che attualmente abbiamo Alfano …al ministero degli esteri …mi vorreste dire che un Di Battista o un Di Maio sarebbero peggio?? …. Mister Giannuli, questa volta mi ha proprio confuso le idee! Al che torniamo al punto di partenza…meglio un incompetente onesto alla Di battista che un incompetente ma “professionista della politica” come quel simpaticone di Alfano!
Insomma l’alternativa è fra politici di lungo corso, arraffoni ed incompetenti, oppure onesti sprovveduti o, al massimo tecnocrati alla Monti. Messa così, stiamo a posto.
Bene, allora è il caso di chiarirsi un po’ le idee. In primo luogo rassegniamoci all’idea che la politica è uno specialismo che, soprattutto ai livelli più alti, esige una preparazione di qualità corrispondente. Non c’è motivo per ritenere che la politica sia una cosa più semplice della medicina, dell’informatica, del diritto o dell’economia, che richiedono una preparazione specifica: o voi vi fareste operare da una persona onestissima, ma che confonde il polmone il pancreas e non sa leggere una analisi?
Certo l’onestà è una qualità importante in un politico ma ricordiamoci che ricoprire un’importante carica dello Stato senza essere all’altezza del compito è l’atto più disonesto che si possa fare. Il guaio è che gli ominicchi della seconda repubblica –salvo rarissime eccezioni su cui potremmo discutere- non sono affatto politici, ma volgari politicanti, che hanno come unica competenza quella di arrampicarsi nel sistema sino alla poltrona più alta possibile. E questo ha caratterizzato la grande maggioranza di parlamentari, ministri e sottosegretari di questo quarto di secolo di tutti i partiti: da An al Pds-Ds-Pd, da Rifondazione Comunista (che esprimeva gruppi parlamentari imbarazzanti) a Forza Italia, dalla Lega alla Margherita.
Il ceto politico della Seconda Repubblica, prodotto dal sistema elettorale maggioritario, non sarà mai abbastanza maledetto per aver distrutto la stessa idea di politica ed averla avvilita al livello del peggiore politicantismo e, se un cittadino vede un personaggio come Alfano ministro di Grazia e Giustizia, poi dell’Interno, poi degli Esteri, giustamente pensa: “Ma perché non lo posso fare io? Cosa sa più di me?”.
E qui c’è un altro chiarimento necessario: ma in cosa consiste questo specialismo e come deve prepararsi un politico vero?
Al politico si chiede soprattutto di saper assumere decisioni adeguate ai problemi da affrontare: concludere un trattato commerciale, fare una legge per il contrasto alla corruzione, introdurre o abolire una tassa, affrontare il problema delle ondate di immigrati, modificare o meno il testo della Costituzione, progettare una riforma della scuola o della sanità sono tutte decisioni che presuppongono una preparazione in merito, e non solo sul singolo problema, ma capace di individuare gli effetti imprevisti.
Ad esempio, se decidi di obbligare i medici a denunciare l’immigrato clandestino che cura, devi mettere in conto che questo potrebbe avere conseguenze molto pericolose nel caso di malattie contagiose. Se, per combattere il terrorismo decidi di autorizzare intercettazioni di massa, devi anche capire che questo comporta un giro di vite nei confronti della privacy di tanti cittadini che con il terrorismo non c’entrano nulla. Se aumenti le tasse devi prevedere una caduta del Pil. Se concedi il reddito di cittadinanza, poi devi prevedere che una intera generazione, fra 20 o 30 anni andrà in pensione con poche centinaia di euro al mese. E se ci sono dei tagli da fare alla spesa pubblica non è la stessa cosa se tagli su pensioni, sanità e istruzione o se tagli le super retribuzioni di manager e consulenti che lavorano per lo stato o sui lavori pubblici e quali, così come fare una patrimoniale è meno semplice di quel che si pensa, perché le soluzioni possibili sono molte e molto diverse fra loro.
Dunque, occorre che ogni singola politica di settore sia inquadrata in una linea politica generale che abbia caratteri di coerenza ed organicità. E neanche questo è sufficiente, perché ogni decisione lede interessi di alcuni e favorisce quelli di altri, per cui occorre poi saper mediare fra le parti sociali, cercando una composizione degli interessi che confermi e non minacci la coesione sociale.
Soprattutto, ad un politico si richiede di avere molta fantasia per trovare le soluzioni migliori, magari nuove, man mano che i problemi vengono avanti. Come si vede, un’attività piuttosto complessa, che non ammette semplificazioni arbitrarie e richiede conoscenze, decisione, fantasia, coraggio nell’affrontare le resistenze dei nemici più forti,
Ma come formare un uomo politico che sappia muoversi su un terreno così complesso? Ovviamente è necessario che ci sia una preparazione teorica di fondo: la politica è anche studiata da una scienza specifica, appunto la scienza della politica o politologia, ed è opportuno che ci sia una preparazione di questo tipo, così come è opportuno che chi si prepara alla carriera politica abbia nozioni di sociologia, di diritto ma, soprattutto di economia (ed io direi anche storia). Poi è necessario avere competenze specifiche nel settore in cui vuoi operare: se vuoi fare il ministro degli esteri, magari è bene che tu sappia qualcosa di relazioni internazionali, geopolitica, diritto internazionale eccetera.
Detto questo, dovremmo concludere che un buon politico debba necessariamente essere laureato in Scienze Politiche? No direi di no, anche perché un laureato in qualsiasi altra disciplina, o anche un non laureato, può benissimo apprendere queste cose con studi personali o, magari, attraverso le scuole di politica che ogni partito dovrebbe organizzare.
Poi la lettura dei giornali e delle riviste specializzate, la partecipazione a convegni e le conversazioni con i colleghi sono altri veicoli di formazione.
Ma questo non basta: una formazione puramente teorica può produrre un buon accademico (forse) ma non è sufficiente per un politico. Neanche il governatore di una banca centrale può basarsi solo sulla sua formazione universitaria: una preparazione teorica è necessaria, ma non basta, a meno di non avere un approccio tutto libresco ai problemi. Poi quello che conta è la prassi: si impara a far politica facendola. La formazione di base serve a capire e valutare le proprie esperienze nel bene e nel male. Un eccesso di teoria porta ad un approccio dogmatico e sterile, ma l’assenza di una formazione di base precipita poi nell’empiria più pura, che impedisce di capire quello che si sta facendo. Dunque, la pratica è la seconda metà della mela, ugualmente necessaria quanto la prima. Ma, ovviamente si tratta di una pratica che ha un valore se è costruita nel tempo: nessuno “nasce imparato” si dice nella mia città d’origine, e la pratica politica è formativa se avviene in un periodo abbastanza lungo.
L’idea che si ottenga un personale di governo con, al massimo, cinque anni di partecipazione istituzionale, per poi congedarlo dopo altri cinque anni, è un’idea semplicemente delirante, scusatemi. Ovviamente, un simile specialismo non si costruisce in tre o quattro anni, ma esige un tempo necessario di maturazione. Però non è affatto vero il contrario: cioè che un personaggio politico che sta sulla scena da 20 anni sia anche un politico preparato, anzi è possibile che sia una capra assoluta. Durata non significa competenza, ma soprattutto, occorre non confondere un decisore politico vero con un volgare politicante.
La politique politicienne (come dicono i francesi) è cosa deteriore da non confondere con la politica e non tutti i politici professionali sono politicanti: Nenni, De Gasperi, Togliatti, Berlinguer, Lombardi, Moro, Fanfani e dico anche Almirante o Romualdi hanno fatto politica per tutta la vita, ma non erano affatto politicanti, erano politici di notevole livello ed alcuni di loro veri statisti. Ovviamente c’è un rischio: che a furia di metter radici nel Palazzo (quello con la P maiuscola) un politico anche di buona stoffa, un po’ alla volta, si affezioni troppo al ruolo e diventi un politicante. E’ un rischio molto forte, con il quale occorre misurarsi.
La classe dirigente va formata (possibilmente dal basso se crediamo nella democrazia), va selezionata con cura, badando tanto al disinteresse personale quanto alla preparazione e capacità, poi va responsabilizzata, controllata, periodicamente “potata” almeno in parte, quindi vigilata nei comportamenti, interrogata normalmente sui propri atti e decisioni, trattata con parsimonia quanto a incentivi selettivi, costantemente obbligata al confronto con possibili successori.
Anche le classi dirigenti prodotte dal basso, magari da una rivoluzione (e il caso Russo mi pare abbastanza istruttivo) fanno presto ad abituarsi alle soffici poltrone del potere: meglio delle poltrone sono le sedie, possibilmente dure e scomode…
Il punto debole più pericoloso del M5s non è quello di non avere una classe dirigente, ma di non aver fatto assolutamente nulla per formarsela. Cari amici ricordatevi di aver avuto successo perché avevate come pietra di paragone i cialtroni della Seconda Repubblica, ma la gente ora vuole di più.
Non basta che Di Maio o Di Battista non facciano peggio di Alfano o Del Rio: devono fare di meglio e di molto meglio. Pensateci.
Fonte: http://www.aldogiannuli.it/professionismo-politico/
Poiché è di sinistra e per la sinistra non ci sono interessi nazionali ma soltanto lotta di classe, Giannuli dimentica che il difetto più grave dei politicanti della seconda repubblica non è la corruzione o l’ignoranza (questi ci sono a profusione, per carità), ma il tradimento, il loro rispondere a interessi stranieri opposti agli interessi degli Italiani. Quando Napolitano non solo non difese Gheddafi, che era nostro alleato, ma aiutò Inglesi e Francesi a bombardarlo, non si trattò né di corruzione, né di incomprensione, ma di obbedienza a interessi anglo-americani in contrasto con gli interessi italiani. Per non dire dell’euro, dell’austerità e delle mille altre cose. E il Mov5stelle non ha fatto assolutamente nulla per formarsi una classe dirigente per il semplice motivo che è il gruppo più eterodiretto dall’estero della storia d’Italia.
Articolo semplice e chiaro su un argomento complesso la formazione necessaria per una classe dirigente. Si può condividere o meno ma l’esempio citato della formazione /conoscenza dei singoli argomenti e delle regole dell’azione politiche è sempre stato molto importante e oggi lo è ancora di più per la maggiore complessità dei problemi. Importante è anche il riferimento alla necessaria onestà dei pubblici rappresentanti come elemento indispensabile ma non sufficiente. Sono invece perplesso dal commento di De Remigio, ottimo in altre occasioni, perchè affronta un argomento diverso da quello in discussione e il riferimento poi alla sinistra assolutamente fuori luogo. La sinistra quando ha mantenuto il contatto con la sua base sociale e con i concreti interessi della stessa ha operato nella Resistenza come nelle lotte sociali con coerenza rispetto agli interessi nazionali. Il problema è che coloro che si dicono, per convenienza, rappresentanti della sinistra da qualche decennio operano per interessi diversi.Tanti elementi però ci dicono, dal processo di aggregazione europea a tante altre scelte , che anche forze che si ispiravano al centro e alla destra hanno sostenuto incredibili cessioni di sovranità. Resta quindi determinante al di la delle etichette analizzare le caratteristiche che un processo di rinnovamente deve contenere e valutare le influenze che possono essere esercitate anche dall’estero.
Condivido l’articolo di Giannuli, ma mi sembra gravato da una lacuna che riconduco alla sua cultura di sinistra. Ripeto: accetto quello che scrive, rifiuto quello che non scrive. Il problema più grave dei politici italiani della seconda repubblica non è teorico: è probabile che non sappiano tante cose, vero, ma non le sanno perché non vogliono saperle. Prendiamo la teoria dell’austerità espansiva: alcuni economisti l’hanno tirata fuori dal cappello, poi sono stati smentiti da altri economisti e dai fatti e non hanno osato insistere, anzi qualcuno, come Blanchard del FMI, ha fatto anche autocritica. Non per questo i politici hanno cessato di attuare l’austerità con l’aspettativa di un’imminente crescita; ma non perché abbiano capito la teoria dell’austerità espansiva e non abbiano capito la sua confutazione, bensì perché sono fantocci dei poteri atlantici e della loro UE che può sussistere solo a condizione dell’austerità suicida nei paesi meno competitivi. Credo che i politici della prima repubblica fossero meno fantocci – per questo sono stati eliminati; forse la loro vicinanza alla chiesa romana ha impedito loro di farsi umili esecutori dei troppo massoni poteri atlantici. L’asservimento allo Stato straniero è invece tipico della sinistra. Storicamente il PCI è stato finanziato dall’Unione Sovietica ed ha avuto molta tenerezza per la dottrina della sovranità limitata con cui l’URSS opprimeva i suoi satelliti. D’Attorre, in un bell’articolo di qualche tempo fa, mostrava che la passione europeista è nata nel PCI dopo la delusione sul compromesso storico. Secondo me le cose stanno messe peggio, cioè che lo sganciamento dell’eurocomunismo di Berlinguer dall’URSS si è trasformato da subito in una traiettoria di agganciamento agli USA, non è stato una liberazione ma un cambio di padrone. Qualcosa di simile si può dire dell’area a sinistra del PCI: non aveva patria, dunque è stata da sempre infiltrata dai servizi segreti stranieri. Alla permeabilità storica della sinistra italiana agli interessi stranieri corrisponde il suo massimalismo teorico, l’attenersi a Marx per cui il proletariato non ha patria e che concepisce la società come una guerra civile. Quando, con la fine della prima repubblica a guida DC, il massimalismo che si fa strumento di poteri stranieri pur di vincere i conflitti interni è diventato lo stile comune alla nuova classe dirigente, la sovranità italiana è decaduta a livelli ancora più bassi che nell’immediato dopoguerra; allora, infatti, dagli americani venivano i soldi per la ricostruzione, non il terrorismo e le guerre finanziarie. Il trilemma di Giannuli: politicanti corrotti – dilettanti onesti – tecnocrati, esiste, certo, ma non spiega il degrado politico della seconda repubblica. Non è difficile vedere che questo degrado è il frutto della slealtà e del tradimento di un ceto politico cooptato all’interno di poteri esteri che hanno programmato la ruralizzazione dell’Italia; non è neanche difficile vedere nell’antistatalismo marxista il presupposto teorico di questa slealtà. Che Giannuli non vi riesca, lo imputo alla sua appartenenza politica di sinistra, che gli fa credere che gli Stati-nazione non esistano e non abbiano interessi propri, che siano soltanto uno spazio di guerre civili.
E’ confermato, la posizione del PCI verso la UE e il Patto Atlantico si ha con Berlinguer nel tempo in cui lancia l’euromunismo, è sufficiente leggere gli interventi di Berlinguer di quel tempo. All’interno del PCI non è però mai mancato il confronto tra linee diverse, basta pensare ai fatti del 1936, 1956 e uscita del gruppo del Manifesto tra gli altri. La linea di Berlinguer prevalse ma altri , pur essendo marxisti, sostenevano idee ben diverse. Marxisti contro lo stato o le imprese pubbliche, non ha alcun riscontro, con amministrazioni legate al PCI sono state innumerevoli le aziende pubbliche come positivo è stato il giudizio sulla nazionalizzazione dell’energia elettrica , delle imprese telefoniche e delle imprese in difficoltà.Difficile pure sostenere il nazionalismo della DC impegnata dall’inizio nel progetto di unificazione europea e diligente esecutrice degli ordini USA e della Nato, le volte in cui ha disubbidito si contano facilmente. Giannuli ha affrontato un aspetto particolare è quindi naturale che esistano altri ambiti come la difesa degli interessi nazionali che non sono rientrati nel suo articolo ma non credo avesse la presunzione di essere esaustivo. Che poi l’asservimento a interessi esterni sia importantissimo è certamente vero ma non riguarda solo il ceto politico, purtroppo, ma uno schieramento enormemente più vasto che comprende gli organi di informazione, gruppi consistenti di intellettuali e importanti forze economiche e finanziarie.
Leggo sul libro di Barba e Pivetti che, nella sua desolante incultura economica, il PCI è restato sempre fermo al liberalismo moralistico di Luigi Einaudi: il caso Padoan, che nel 1975 su ‘Critica marxista’ scrive che Keynes va rifiutato perché (cito a memoria) attenua le contraddizioni del capitalismo dalle quali sgorga la rivoluzione socialista e da vecchio si fa alfiere dell’austerità espansiva, non ha nulla di eccezionale. Cerco di riflettere su fatti macroscopici: contro la prima repubblica si è scatenata prima la strategia della tensione, poi tangentopoli – dirette entrambe dall’estero, se è vero che il loro esito è la fine della sovranità italiana. Dalla tempesta è emerso il ceto dirigente di sinistra: quello derivante dalla sinistra parlamentare ha fatto da tramite tra poteri atlantici e politica italiana – il caso Napolitano è quello più eclatante; quello derivante dalla sinistra extra-parlamentare ha fatto da tramite tra poteri atlantici e mondo giornalistico e culturale italiano (vedi per es. il dottor Mieli o Luigi Berlinguer). Vero che la sovranità garantita dalla DC è stata minima; è anche vero, però, che la politica atlantica nei confronti dell’Italia fino agli anni ’70 non aveva un carattere distruttivo; perciò il problema della sovranità non si poneva con urgenza. Per la seconda repubblica vale il contrario; e la sinistra si è messa al servizio dei poteri atlantici proprio quando questi hanno deciso di ruralizzare l’Italia. So che l’articolo di Giannuli non voleva essere esaustivo, ma ha taciuto proprio la causa principale del fenomeno, come se qualcuno parlasse del fascismo saltando Mussolini. La ringrazio comunque dell’attenzione.
Nelle elezioni del ’48 , elezioni decisive per i 40 anni successivi , i soldi del capitalismo americano sono andati a sostegno della DC o del PCI e PSI ? a me sembra della DC..
Da Piazza Fontana e per tutti gli anni di piombo , non il gruppo de IlManifesto o PotereOperaio o LottaContinua , erano finanziati da , e in contatto con , i servizi segreti americani , ma il SISDE e i neofascisti …
Gladio , finanziata dai servizi segreti americani , era un’organizzazione neofascista .
I governi Berlusconi , dagli anni ’90 in poi , hanno sostenuto tutti i trattati neoliberisti .
Bush e il suo clan , 8 anni di presidenza degli Stati Uniti , erano amici di Berlusconi .