Dentro l’Alt-right americana
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Daniele Perra)
Il fenomeno Alternative Right, difficilmente collocabile all’interno del più vasto orizzonte del populismo, seppur lodevole nella sua lotta contro l’egemonia culturale della sinistra liberale e liberista, rappresenta il controverso ed ambiguo esito della deriva a-culturale propria della società nordamericana.
Recentemente ha fatto scalpore un articolo del New York Times che riportava una presunta citazione del filosofo tradizionalista Julius Evola da parte di Steven Kevin Bannon, già stratega della campagna elettorale del presidente Trump e membro del National Security Council. La stima che l’aspirante guida metapolitica della Casa Bianca nutrirebbe nei confronti del pensatore romano, presentato come feticcio ideologico di vecchie e nuove forme di fascismo, rappresenterebbe, agli occhi di Jason Horowitz, autore dell’articolo, l’ennesima dimostrazione della deriva estremista e reazionaria che l’amministrazione Trump si proporrebbe di perseguire durante il suo mandato presidenziale. Tuttavia, il problema di fondo rimane il fatto che tanto Horowitz, e forse un po meno Bannon, scrivano e parlino senza reale cognizione di causa. In primo luogo perché Bannon avrebbe citato Evola solo indirettamente ed in riferimento al filosofo russo Aleksandr Dugin in una conferenza tenuta al Vaticano nel 2014 su populismo ed immigrazione. In secondo luogo perché risulterebbe quantomeno paradossale per un uomo che ha impostato la campagna elettorale di Donald Trump sullo slogan “Make America Great Again” ispirarsi ad un pensatore che proprio nell’America e nell’americanismo intravedeva i caratteri più nefasti della modernità.
Tuttavia, la soluzione al dilemma non è così semplice. Se l’articolo del quotidiano newyorkese altro non è che l’ennesimo prodotto dell’isteria anti-Trump dei media mainstream, la formazione culturale del consigliere del Presidente merita invece particolare attenzione in quanto rappresenta l’ulteriore dimostrazione del corto circuito ideologico entro il quale si muove la destra statunitense in cerca di riferimenti filosofici utili a colmare un gap culturale che è diretta espressione della natura intrinsecamente anti-intellettuale del discorso politico-culturale nordamericano. Laddove l’ipocrisia democratica e la sua altrettanto limitata prospettiva culturale hanno fallito, ibride ideologie reazionarie, ma ben poco conservatrici e tanto meno rivoluzionarie, hanno trovato un fertile terreno di coltura ed una quasi insperata visibilità mediatica alla quale la campagna elettorale anti-sistema, impostata proprio da Bannon, ha dato ulteriore contribuito.
Le due principali piattaforme, l’una consustanziale all’altra per ammissione dello stesso Bannon, attraverso cui la destra nordamericana dà ampio sfogo alla sua intrinseca capacità volgarizzatrice di qualsivoglia ideologia politica sono le celeberrime Breitbart (sito di informazione ed opinione fondato dal sionista radicale Andrew Breitbart – uomo che ha dimostrato come si possa essere sionisti, ebrei ed antisemiti allo stesso tempo – e di cui lo stesso Bannon è stato executive chief) ed Alternative-Right; blog creato dal paladino della “supremazia bianca” Richarda B. Spencer (ora ritiratosi) ed i cui principali organizzatori sono Colin Liddell e Milo Yainnopoulos che nella sua “omofobica omosessualità” rappresenta uno dei più tragicomici esiti della volgarità postmoderna.
Entrambe le piattaforme offrono un vasto ed oltremodo eterogeneo ambito di riferimenti ideologici che vanno proprio da Julius Evola e Renè Guenon ad Oswald Spengler e Carl Schmitt, fino a, dulcis in fundo, Aleksandr Dugin. La disarmante superficialità e la volgarità brutalizzante con la quale larga parte dei teorici della destra nordamericana si approccia agli intellettuali tradizionali europei rappresenta la principale causa della controversa prospettiva ideologica del fenomeno Alternative-Right in cui tematiche più che onorevoli come la lotta all’egemonia culturale della sinistra liberale e la difesa dell’industria e dell’economia nazionale si miscelano con ambigue forme di razzismo biologico, di istinti nazionalistici ed imperialistici, e di un anti-globalismo che paradossalmente accetta acriticamente il capitalismo, anche nelle sue forme più aberranti, in quanto fenomeno intrinsecamente “americano”
Di fatto, come ha affermato John Morgan, che dell’Alt-Right è un teorico di rilievo, la destra nordamericana è assolutamente ossessionata dalla razza e dalla presunta “superiorità” dell’America. Un retaggio culturale, o meglio a-culturale, intrinsecamente legato all’isolazionismo della Dottrina Monroe che, su basi tipicamente puritane e protestanti, rivendicava una sorta di supremazia morale degli Stati Uniti rispetto all’Europa. Una prospettiva al tempo definita “indecente” dal principe Metternich; colui che proprio Julius Evola definì l’ultimo grande europeo. Ed una prospettiva ripresa dal presidente Wilson al termine della Prima Guerra Mondiale, quando il “destino manifesto” degli Stati Uniti si palesò in forma di messianesimo laico e profano volto ad imporre la propria legge ed il proprio ordine nel mondo. E lo stesso John Morgan ha riconosciuto come vi siano elementi legati al fenomeno Alt-Right che tendano a glorificare in modo paradossale colonialismo, imperialismo e lo sfruttamento capitalistico. Soprattutto se si tiene in considerazione il fatto che i violenti fenomeni migratori che contraddistinguono il nostro tempo, e contro i quali si costruiscono muri e barriere, sono diretta conseguenza proprio di suddetto sfruttamento. Come afferma Alain De Benoist nel suo saggio Immigrazione: l’esercito di riserva del Capitale:
“Chiunque critichi il capitalismo approvando o favorendo le migrazioni, farebbe bene a stare zitto, e chiunque critichi il fenomeno migratorio rimanendo in silenzio sul capitalismo dovrebbe fare altrettanto”
John Morgan ha altresì proposto un quantomeno impietoso paragone tra la Nouvelle Droite europea e l’Alternetive Right nordamericana riconoscendo ancora una volta come quest’ultima, al contrario del movimento politico fondato proprio da De Benoist e capace di produrre una bibliografia estremamente vasta, abbia prodotto fino ad ora solo blog, memes, podcasts e video. L’unico scritto che potrebbe essere considerato quale manifesto dell’Alt-Right sarebbe New Right versus Old Right di Greg Johnson, le cui idee di base vennero racchiuse in nove punti (enfasi su rifiuto del multiculturalismo, del politicamente corretto, sul protezionismo economico e sulla difesa della comunità dalla violenza delle corporazioni internazionali) ripresi da uno schema fatto circolare sul web l’anno passato.
Allo stesso tempo, dal saggio di Johnson si evince la relativa mancanza di una concreta visione geopolitica. Un vuoto ideologico che non può essere colmato dal vero o presunto isolazionismo; visto e considerato anche il fatto che l’amministrazione Trump, nei primi mesi del suo mandato, anche perché costretta a sottostare al rispetto di diversi interessi strategici ed economici, si è mossa in direzione assolutamente opposta, perseguendo, sotto certi aspetti, lo sviluppo della conflittualità geopolitica innescata dalle amministrazioni precedenti. Tuttavia, è proprio dal punto di vista prettamente culturale che il fenomeno Alt-Right mostra le lacune più evidenti. Lacune che sono il riflesso di una prospettiva ideale in cui l’America è divenuta, a seguito di quello che Carl Schmitt ha chiamato “lo sradicamento dell’Europa dalla sua naturale collocazione storico-spirituale”, centro del mondo e centro di irradiazione di una civiltà in cui, usando ancora una volta le parole di Evola, l’utile (inteso nel mero senso economico) diventa il criterio del vero.
L’Alternative Right è una creazione prettamente americana con delle peculiarità prettamente americane. Ed il reiterato richiamo ai pensatori della Tradizione che talvolta molti teorici dell’Alt-Right fanno è il nefasto esito di un processo culturale che tende a volgarizzare una scuola di pensiero re-intepretandola nella prospettiva della modernità profana nordamericana. Tuttavia, è proprio grazie ai pensatori tradizionali che si può comprendere quali siano le cause della deriva a-culturale propria della società nordamericana e di cui la stessa Alt-Right è espressione. Nella prospettiva dei pensatori tradizionali l’America è il paese della coincidentia oppositorum: la terra dei dormienti o “l’isola dei morti”, spazio geografico dell’estremo occidente dal simbolismo estremamente negativo di luogo di degrado, dominio del male e della corruzione. Nell’ottica di Rene Guenon, essa è l’emanazione del mondo anglosassone e delle eresie escatologiche protestanti che rispetto all’Europa si sono sempre trovate ai margini politici e geografici. Nel protestantesimo il dogma svanisce per lasciar sussistere solo il moralismo umanitario la cui presunta ed ostentata superiorità conduce direttamente al moralismo puramente laico ed anti-religioso, o velato di un falso sentimento religioso, che la grandiosità nordamericana ha innalzato a sua bandiera.
Nella prospettiva evoliana l’America ha creato una civiltà che rappresenta l’esatta contraddizione dell’antica tradizione europea. In essa l’essere umano diviene mezzo più che scopo e la religione del profitto ha prodotto le trasformazioni e perversioni che l’America ancora oggi rappresenta. Di fatto, l’omogeneità culturale tra l’Europa e l’America è una pura invenzione. L’America ha dato vita ad una “grandiosità senz’anima”; quella stessa grandiosità che il motto elettorale trumpiano, portato ideologico del fenomeno Alt-Right, si propone di riconquistare. Mentre Aleksandr Dugin, il cui pensiero risente della prospettiva leonteviana che vedeva negli Stati Uniti una sorta di Cartagine nata già vecchia che avrebbe dovuto puntare sull’aggressività per auto-mantenersi e dare solidità alle sue istituzioni, percepisce l’America come il paradiso dell’eterodossia.
Gli americani non attendono il Messia perché esso è già arrivato: è l’America stessa.
Uno pseudo-Cristo transatlantico che cerca di imporre la sua presenza messianica attraverso l’ideologia globalista, ultra-laica ed anti-tradizionale, della pax americana. Se è vero che Dugin esultò all’elezione di Donald Trump, è altrettanto vero che tale atteggiamento era imposto da considerazioni di una natura prettamente strategica. Il teorico russo del multipolarismo è ben conscio dell’inaffidabilità della nuova amministrazione USA, ancora troppo compromessa con interessi strategici ed economici intrinseco retaggio della tradizione politica nordamericana, e del carattere assolutamente anti-tradizionale ed a-culturale della destra statunitense. Il divario culturale tra America ed Europa, nonostante l’ostentata superiorità nordamericana e il supino appiattimento della politica europea ai suoi voleri, rimane ancora incolmabile. Il fenomeno Alt-Right è un fenomeno prettamente nordamericano e come tale deve rimanere. Importare nuovi modelli culturali estranei al continente europeo ha già prodotto mostri. L’Europa deve in primo luogo riscoprire se stessa partendo dalla prospettiva geopolitica che è “centro” e non Occidente.
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/esteri-3/dentro-laltright-americana/
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