Dal diario di un impaziente Note sparse su sinistra, Europa, sovranità (Prima parte)
di MIMMO PORCARO
Schivare il concreto
E’ da quando ho compreso il nesso tra Unione europea, dominio di classe e crisi irredimibile della sinistra, è da quel difficile passaggio (dovuto alla dura esperienza del secondo governo Prodi, da me vissuta direttamente anche a livello comunitario, ad una rilettura dei classici e poi ai testi di Bagnai, Cesaratto, Barra Caracciolo, Giacché ed altri) che mi torna spesso in mente una frase di Elias Canetti: “Schivare il concreto è uno dei fenomeni più inquietanti dello spirito umano”. Schivare il concreto, per la sinistra, significa per esempio schivare il problema del potere, e quindi il problema dello stato. Da convinto marxista so bene che è caratteristica specifica del capitalismo quella di esercitare il dominio di classe attraverso i meccanismi apparentemente impersonali e neutri dell’economia (non altrettanto bene lo sanno coloro che continuano a dire che l’euro è “solo una moneta”…). Ma so anche che, perché questi meccanismi apparentemente solo economici funzionino è necessario, Marx dixit, l’intervento disciplinante dello stato. E so (da Giovanni Arrighi) che alle fasi di crescita in cui il dominio si esercita in forma prevalentemente economica (finanziarizzazione e globalizzazione) succedono le fasi di crisi in cui lo stato ritorna prepotentemente sulla scena, e diviene evidente che chi lo controlla decide se si esce dalla crisi in direzione progressiva, ossia col socialismo, oppure con la guerra e con una nuova forma di capitalismo.
Eludere lo stato
Eppure dello stato la sinistra (soprattutto quella sedicente antagonista, critica ed alternativa) non parla quasi mai. Parla invece molto del non-stato: autorganizzazione, autogestione, produzione diretta di socialità, sperimentazione di forme extrastatuali di politica e di forme extramercantili di economia. Che bei concetti, che finezza di analisi, che assoluta, totale, irresponsabile mancanza di concretezza! Poi dice che il “popolo” si butta a destra! Prendiamo il sistema sanitario nazionale: disegnatene, se siete capaci, un modello fondato su autogestione e produzione diretta di socialità (con l’inevitabile corredo del decentramento…), dimostratemi che funziona e, se funzione, dimostratemi che non aggrava le differenze tra classi e territori. Come dite? Dite che è difficile? Che questo è un esempio estremo? Ma quale esempio estremo! Si tratta dell’essenziale, dell’eguaglianza di tutti di fronte alla malattia ed al dolore: e per ottenere questa eguaglianza è necessaria l’esistenza di strutture burocratiche, centralizzate e dotate della capacità di finanziarsi, ovvero di imporre anche ai riottosi la solidarietà fiscale. Dunque serve, ahinoi, un apparato coercitivo. Che orrore, vero? Si dirà che apparati del genere tendono inevitabilmente a sclerotizzarsi, a divenire autoreferenziali, autoritari ecc. . Verissimo! Affianchiamoli allora con agili ed efficaci associazioni autonome di cittadini e lavoratori che sappiano controllarli, contrastarli, proporre modelli alternativi, preparare gruppi dirigenti di ricambio. Ma non pensiamo di sostituirli con queste associazioni. Elaboriamo una nuova teoria dello stato ed una teoria della dialettica permanente tra stato e organismi di classe e cittadinanza. Non lòimitiamoci a pensare soltanto a ciò che sta fuori dallo stato, perché così lasciamo la gestione dello stato stesso ad altri (ben contenti del nostro antistatalismo…) e partecipiamo alla privatizzazione delle funzioni pubbliche sotto il manto della loro socializzazione.
Come superare il lavoro salariato
Un discorso analogo vale per la questione del lavoro. Vogliamo superare la forma-salario? Bene: cominciamo a garantire la piena occupazione (cosa che oggi, e soprattutto in Italia, si può ottenere solo con l’intervento pubblico e con la proprietà pubblica nei settori strategici) e così riduciamo al minimo l’esercito industriale di riserva e con esso il ricatto costante del licenziamento, che è la forma più brutale della schiavitù salariale. Poi riportiamo ad un livello decente le prestazioni del welfare, e così aumentiamo la quota del reddito percepito indipendentemente dalla prestazione lavorativa. Poi, sulla base della piena occupazione, iniziamo a ridurre l’orario di lavoro a parità di reddito (anche utilizzando, a questo punto, forme di reddito integrativo), e sviluppiamo libere – ma socialmente verificabili – attività di cura dell’ambiente sociale e naturale che costituiscano non già il titolo individuale per la fruizione dei servizi del welfare, ma la condizione sociale perché detti servizi siano sempre più estesi e gratuiti. Non basta? Fate un po’ voi. Vi sembra una proposta reazionaria (come dicono Grillo ed i postoperaisti) perché prevede il lavoro per tutti quando oggi non ci sarebbe più bisogno di lavorare, o quasi, e quindi sarebbe giunta l’ora del reddito incondizionato svincolato dal lavoro? Un tempo vi avrei detto: liberi di pensare e dire quel che volete. Oggi vi dico che ogni parola spesa in questo senso alimenta la crescita della destra dura. Perché?
Come non superare il lavoro salariato
Perché, vedete, potrei farvi tanti bei discorsi in cui spiegarvi l’ovvio. E cioè che si deve preferire il lavoro garantito al reddito garantito perché ci sarà pure l’espansione del lavoro intellettuale (che comunque è anch’esso lavoro, e assai più duro e “materiale” di quanto molti non dicano), ma qualcuno deve pur lavorare per costruire le sedie dove il “cognitariato” posa il suo pensoso posteriore, qualcuno deve pur scaricarsi i bancali carichi delle merci ecologicamente irreprensibili che consumate tra un clik e l’altro. E poi che non si può dire che si partecipa alla cooperazione sociale (e quindi si ha diritto per questo solo motivo a un reddito) anche solo facendo zapping davanti alla TV, perché così, secondo la vostra ipotesi, si forniscono informazioni che poi il capitale usa per valorizzarsi. In quel momento infatti non si è lavoratori (ossia membri di un processo collettivo consapevolmente orientato) ma prodotti,merci (ossia individui trasformati in spettatori dalla macchina mediatica), attori passivi dellacircolazione del capitale: altro che espressione della libera cooperazione produttiva, base del comunismo. Potrei dirvi questo ed altro, ma preferisco per una volta avere un approccio diverso, e mettermi nei panni di un lavoratore che, sia privato o pubblico, schiacciato dal superlavoro, non vede l’ora che una bella leva di giovani venga a dargli man forte. Provate a dirgli che tutti quei giovani disoccupati, in realtà disoccupati non sono perché producono socialità, e “quindi” valore, anche quando sparano cazzate al bar (attività peraltro nobilissima), e che perciò devono percepire un bastevole reddito a prescindere. E che poco importa se per fornirglielo si dovrà attingere dalla sanità o dal sistema pensionistico o magari ridurre un tantinello il reddito di chi si ostina a fare il lavoratore tradizionale. Provate a dirgli che invece di avere al suo fianco un paio di nuovi colleghi che alleggeriscono il suo lavoro, verranno piuttosto alleggerite le sue tasche per finanziare una indennità di disoccupazione mascherata. Provate a dirglielo: non voterà per Salvini, ma direttamente per Hitler. Insomma: non abbiamo diritto al reddito perché siamo “sempre” lavoratori. Abbiamo diritto al lavoro e al reddito, diretto o indiretto che sia, perché siamo cittadini. E dobbiamo lavorare, ossia svolgere una funzione socialmente essenziale, perché tutto ciò che giustamente percepiremo a prescindere dal lavoro non sia una mancia revocabile a piacimento, non sia una diminuzione della nostra dignità, ma un frutto di essa.
Giochi di sovranità
L’odio per lo stato si accompagna benissimo all’amore sconsiderato per l’Europa. Perché l’Unione europea si presenta come un non-stato: e poco importa se in essa il (presunto) declino dello stato si accompagna al dominio del mercato: secondo la nostra sinistra basta sostituire le relazioni mercantili con quelle sociali e il gioco è fatto. E che ci vorrà mai? Gli è, però, che l’Unione non è la tomba della sovranità in generale: è la tomba della sovranità democratica e popolare, di quella sovranità che è essenziale al funzionamento di ogni costituzione. Anche la forma in apparenza meramente economica assunta dell’Unione è in realtà frutto della sovranità, o meglio, dell’incrocio di tre distinte sovranità statali: quella degli Stati uniti (che non hanno mai voluto un’Europa apertamente politica), quella della Germania (che sapeva di non poter egemonizzare l’Europa, almeno all’inizio, in forma direttamente politica) e quella degli altri stati europei, che regolavano così i conti con le proprie classi subalterne fingendo che le decisioni dipendessero da altri. L’emergere della crisi ha fatto riemergere il carattere totalmente intergovernativo delle decisioni, e se un qualche superamento della frammentazione premierà gli sforzi dei fanatici del “più Europa” (trai quali, of course, la sinistra) sarà, non tanto paradossalmente, un rafforzamento della forma peggiore di sovranità: una kernEuropa unita da vincoli economici ancor più classisti e soprattutto da un comune potere militare. Bella fine, per gli antisovranisti, partecipare alla costruzione di un maxi-sovrano che premierà la Germania conferendole l’arma nucleare!
La riforma impossibile
Eppure, perseverare diabolicum, si continua ad illudersi sulla riformabilità dell’Unione, a predicare piani B, ad esigere riforme dei trattati, a volere l’Europa “sociale”, a chiedere cioè cose che, se mai si realizzassero, provocherebbero l’exit della Germania e la fine dell’Unione, e a chiederle avventuristicamente, ossia senza minimamente prepararsi a quel ritorno alla nazione che sarà la forma inevitabile (almeno all’inizio) della rottura dell’Ue. Ma in realtà si chiedono queste cose perché si sa benissimo che non si realizzeranno mai. E’ infatti impossibile che non si capisca che non esistono le condizioni politiche né per la formazione di un’efficace movimento di classe o di cittadinanza europeo, né per utilizzare una qualche positiva divisione delle classi dominanti europee. Negli ultimi dieci anni e più abbiamo visto crisi, disoccupazione, guerre, miseria crescente, muri contro i migranti, ma non abbiamo visto mainessun movimento sindacale o civile a livello europeo capace anche solo di iniziare una vera controffensiva. Abbiamo avuto l’evidente sofferenza dei paesi dell’Europa meridionale e la risposta dei dominanti europei è stata la punizione della Grecia: e se qualche divisione si vede in Europa non è tra la Merkel e qualcosa di meglio, ma tra la Merkel e la destra peggiore. Tutto ciò non avviene a caso. La “cecità” dell’Europa centro-settentrionale è in realtà il lucido perseguimento dell’obiettivo della centralizzazione dei capitali e dello sfruttamento del lavoro e del risparmio del sud a profitto del nord. E l’inesistenza di movimenti antiliberisti efficaci deriva dal fatto che l’Unione non è semplicemente uno spazio, che qualcuno può ritenere “migliore” di quello nazionale per il semplice fatto che è più “grande, ma è piuttosto unamacchina che avanza distruggendo le forze che dovrebbero – in ipotesi – democratizzarla.
Trappole europee
Sono tre le micidiali trappole che impediscono sul nascere la formazione di una opposizione sociale unitaria a livello europeo. La prima è la “trappola di Von Hayek”, il quale fin dagli anni trenta aveva capito che per rendere strutturalmente impossibile il socialismo sarebbe stato opportuno costruire una bella federazione con una bella moneta comune, perché in tal modo ogni singolo stato, vincolato da una disciplina monetaria decisa altrove, avrebbe dovuto rinunciare a politiche di redistribuzione del reddito, delegandole al livello sovranazionale: ma al livello sovranazionale le storiche divisioni fra stati avrebbero avuto il sopravvento rendendo così impossibile qualunque tipo di redistribuzione. Ben pensato e ben fatto, direi! La seconda è la “trappola della sovranità”: protestate a Roma e vi dicono di andare Bruxelles, andate a Bruxelles e vi dicono di rivolgervi a Francoforte, e qui il banchiere centrale vi dice che si limita ad applicare norme tecniche coerenti con le dinamiche del mercato mondiale: e vorrete mica mettervi contro il mercato mondiale, voi poveri untorelli? E poi, alla fin fine, sono gli stati nazionali a nominare di fatto il banchiere: rivolgetevi a loro! La terza è la trappola dellagovernance: chi comanda davvero, in questi decenni, ha centralizzato e reso impermeabili le decisioni strategiche ma ha delegato alla negoziazione sociale quelle secondarie: una vera bazza per tutte quelle ong, quei sindacati e simili che così possono illudersi di contare qualcosa, e soprattutto possono contare i denari che vengono dalla partecipazione a questo o quel progetto europeo. Credete che da questo mondo associativo, che costituisce una delle più strutturate basi della sinistra, possa venir fuori qualcosa di serio contro la logica dell’Unione? (FINE PRIMA PARTE)
Commenti recenti