Decreto-legge per le “correzioni” alla legge elettorale? (Votato dalle camere in prorogatio invertita)
di LUCIANO BARRA CARACCIOLO
- Nell’incapacità del pubblico dibattito – politico e mediatico- di focalizzare il vero tema politico intorno al quale ruotano sia i flussi del consenso sia la più sostanziale individuazione di politiche fiscali idonee a far uscire il Paese dalla crisi economica che lo attanaglia in modo irreversibile, e cioè la legittimità costituzionale ai sensi dell‘art.11 Cost., o anche solo la “sostenibilità”, del vincolo €uropeo, la cronaca politica trova il modo di evitare che la noia prenda il sopravvento.
Parlo di noia in quanto il flusso mediatico incalzante delle notizie sul fronte politico sono per lo più incentrate su questioni, dissidi e giochi di potere, in proiezione elettorale, che non toccano questo “vero” tema politico, così essenziale con riguardo al benessere ed alla democrazia del popolo italiano (e ciò, a differenza che nel resto dei paesi dell’UE; dove, come soprattuto nella importantissima Francia, e prima ancora, in Olanda, il tema dell’€uropa ha assunto, sia pure per motivi divergenti tra loro, quella centralità che la realpolitik gli attribuisce).
Ma, per l’appunto, l’irreal (o “surreal“) politik italiana si anima, di tanto in tanto, con questioni che, magari considerate distrattamente dall’opinione di massa, sono in concreto piuttosto rilevanti nel caratterizzare l’effettivo assetto istituzionale che s’è generato in Italia dopo decenni di “vincolo esterno”.
- Parliamo della questione relativa al “quando” si terrano le prossime elezioni, secondo le “voci” riportate in questo articolo, in cui lo sviluppo ulteriore è questo:
“Dal 25 gennaio, da quando la Consulta ha cambiato i connotati all’ Italicum abolendo il ballottaggio, Renzi aveva sempre pensato che in mancanza di un’ intesa in Parlamento si potesse andare a votare con i sistemi elettorali così come sono stati ritoccati dalla Corte Costituzionale.
Invece, negli ultimi giorni, dal Quirinale è stato alzato un disco rosso. Renzi ha saputo che, secondo Mattarella, con il doppio Consultellum non si potrebbe neppure disegnare la scheda elettorale. E che dunque, in mancanza di un’intesa in Parlamento, l’epilogo più probabile sarà un decreto tecnico varato dal governo di Paolo Gentiloni in gennaio.
Con due conseguenze. La prima: a dettare il contenuto del provvedimento sarebbe il capo dello Stato, visto che il premier ha sempre detto che non spetta a lui occuparsi di legge elettorale. La seconda, considerati i tempi di conversione del decreto e dei successivi adempimenti tecnici, la data del voto potrebbe slittare al maggio del 2018.
Da qui la frustrazione di Renzi, il suo sentirsi ostaggio della trattativa sulla legge elettorale. «Ma una cosa è certa», si affretta a dire uno dei suoi più stretti collaboratori, «il decreto non potrà cancellare i capolista bloccati, né il premio di maggioranza alla lista: il testo base resterebbe l’ Italicum corretto, con l’ aggiunta della doppia preferenza di genere e l’ armonizzazione delle soglie di sbarramento».
E qui, per l’ex premier, c’è un ulteriore problema: è probabile che Mattarella, per garantire la presenza nel prossimo Parlamento di quasi tutte le forze politiche, suggerisca una soglia bassa, estendendo anche al Senato lo sbarramento al 3% dell’ Italicum. E bye bye soglia dell’8% al Senato. Renzi, invece, punta almeno al 5% in entrambe le Camere nella speranza di cancellare i piccoli partiti. In primis il Mdp di Bersani e D’ Alema”.
- Va subito detto che il cronista politico ha una certa libertà di riferire ciò che le sue fonti confidenziali gli riferiscono: è chiaro che dal Colle più alto non sarà mai reclamata la prerogativa presidenziale di dettare il momento di adozione e il contenuto di un decreto-legge (in materia elettorale).
E va anche precisato che lo svolgimento a maggio delle elezioni è compatibile con le previsioni costituzionali in materia: l’art. 61 Cost., stabilisce che “le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti“. Poiché, come si desume dal secondo comma dell’art.61 (“Finché non siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti“), la fine del quinquennio di legittima durata delle Camere “precedenti” decorre dalla data di prima riunione delle nuove, e nel caso delle attuali tale “prima seduta” è avvenuta il 15 marzo 2013, aggiungendo i 70 giorni previsti alla scadenza del 15 marzo 2018, si arriverebbe a maggio inoltrato.
- I problemi di legittimità costituzionale che pone tale “visione” della fine dell’attuale legislatura sono però altri.
Un primo problema era quello della stessa legittimazione delle Camere, in quanto formatesi in applicazione di una legge elettorale dichiarata illegittima (dopo nemmeno 10 mesi dalla prima riunione).
I dubbi al riguardo erano piuttosto forti, anche se ormai siamo di fronte al fatto compiuto, pregresso e annunciato per il futuro anno di legislatura residua.
4.1. La Corte aveva infatti richiamato il principio di continuità degli organi costituzionali fondamentali e l’obiezione era questa: “Affermare come ha fatto la Corte, su questa scarna premessa (della continuità dello Stato), che come si dice “prova troppo”, che, “nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali”, significa confondere la continuità degli organi “essenziali” dello Stato, – che è piuttosto, nella sostanza, continuità dell’applicazione delle norme sulla costituzione dei suoi organi fondamentali (cioè proprio lo svolgimento di elezioni e con norme legittime)-, con la continuità della posizione di vantaggio acquisita dai singoli individui che compongono accidentalmente uno di tali organi.
E’, in altri termini, come affermare che, nonostante il vizio di rappresentatività che soffre l’individuazione di “quegli” individui” (eletti con legge incostituzionale), questi e solo questi possono svolgere le funzioni che l’organo deve svolgere a norma di Costituzione! Una giustificazione ben difficile da fornire, se si guarda alla realtà che dovrebbe contraddistinguere una democrazia!”
4.2. La sentenza della Corte aveva anche richiamato il principio della prorogatio e l’obiezione (sempre in sintesi) era quest’altra:
“…che sia per scadenza naturale o per scioglimento anticipato, la “fine” delle precedenti camere è il presupposto per la prorogatio dei poteri: cioè attiene, come è del tutto evidente, ad una fine certa e ormai proclamata di quella composizione degli organi (cioè della carica attribuita a determinati individui).
Ma la Corte costituzionale ha proprio negato tale presupposto.
Ha invece postulato, all’inverso, che la prorogatio sia motivo giustificativo per NON pronunciare la “fine” delle Camere (illegittimamente composte).
Cioè la Corte ha fatto uso di un principio organizzativo (a giustificazione emergenziale) derivante dalla “fine” delle Camere, per affermare che la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge elettorale che ha individuato quei certi individui (composizione non ritenuta rispondente alla rappresentatività dovuta per Costituzione!), NON comportasse la “fine” delle camere stesse.
E questo, poi, per legittimarne addirittura una sorta di illimitata durata in carica (nei limiti dei tempi della legislatura), richiamando a giustificazione proprio la norma che presuppone, in senso appunto inverso, la già avvenuta cessazione delle precedenti camere (quantomeno dalla pienezza della carica svolta in via ordinaria, cioè dalla legittimazione fisiologica, secondo Costituzione e democrazia).
Tutto il principio di prorogatio, in ogni settore del diritto pubblico, presuppone questa irrevocabile cessazione dei componenti (persone fisiche) dell’organo (pubblico) dalla carica “ordinaria” ed il residuo ed ESCLUSIVO esercizio di funzioni urgenti e indispensabili (da ravvisare perciò con estrema cautela); dunque un esercizio di funzioni ASSOLUTAMENTE TEMPORANEO, ECCEZIONALE, E PREDERMINATO LEGALMENTE NEI TEMPI.
In termini pratici, il principio della prorogatio addirittura spinge per il sollecito e pieno rinnovo della sua composizione mediante l’esperimento delle procedure legali a ciò volte. Nel caso specifico, proprio questa “inversione” di senso della prorogatio, nella forma per di più costituzionalizzata dall’art.61 Cost., fa emergere un risultato, per certi versi clamoroso: il richiamare correttamente, e non in senso invertito (e illogico) questo istituto avrebbe dovuto portare la Corte ad escludere qualsiasi esigenza di posporre la caducazione della composizione illegittima delle Camere, risultando comunque garantita, la (solo eventuale) funzionalità di emergenza del potere legislativo in caso di “fine” delle Camere, proprio dalla stessa prorogatio!
- Ma un altro punto appare molto controverso: quello dell’idea che a gennaio, e curiosamente soltanto a gennaio, venga emesso un decreto-legge, atto normativo di iniziativa, e responsabilità politica, del governo, per regolare in modo armonico la legge elettorale con cui si voterebbe per entrambe le Camere.
In linea teorica, seguendo la lettera e la ratio dell’art.72, comma 4, della Costituzione, un decreto-legge in materia elettorale sarebbe precluso: occorrerebbe “sempre” (dice la norma costituzionale) seguire “la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera“.
Peraltro, è anche vero che una “prassi” di decreti-legge in materia elettorale è stata talora seguita.
Ma questa prassi, al di là della sua controversa legittimità in sé (per la difficoltà quasi invalicabile di individuare i limiti del contenuto legittimo su cui il decreto-legge potrebbe intervenire), è stata oggetto di un accurato scrutinio da parte della parte più attenta dell’attuale dottrina costituzionalistica.
5.2. Ve ne riporto i passaggi fondamentali, aggiungendo una evidenziazione mirata, dato che lo “stato di eccezione” risulta oggi ancor più “permanente” rispetto al momento in cui questo brano fu scritto, e che i limiti invalicabili alla decretazione d’urgenza nella materia elettorale risultano precisati e difficilmente valicabili anche per le misure elettorali “minori” ipotizzate allo stato. E questo considerato che comunque inciderebbero direttamente sul meccanismo di voto e sulla conseguente rappresentatività del parlamento (e non sono le soluzioni ipotizzate, in sé, il problema, ma lo strumento extraparlamentare e procedurale che segnerebbe questa disciplina correttiva):
“Certo non appartengo a coloro che ritengono che il consolidarsi di una prassi basti a legittimare comportamenti illegittimi (altrimenti perché dovrei insistere a pagare le tasse, in Italia?), ma poi anche sulla prassi ci sarebbe molto da dire: ed è questo il secondo aspetto su cui intendevo richiamare l’attenzione.
Una cosa – e di questo si accorge anche Pizzetti – è ritoccare qualche meccanismo della disciplina elettorale per farla funzionare a dovere (per rimuovere possibili ostacoli alla sua corretta operatività), un’altra è modificare l’hard core del sistema elettorale, la trasformazione dei voti in seggi.
A parte il fatto che quando il Governo ha usato la decretazione d’urgenza in materia elettorale si è sempre trattato di aggiustamenti minimi e si è sempre mosso con il consenso unanime delle Camere (e quando non lo ha conseguito le polemiche sono state feroci), qui ci si immagina addirittura che il Governo intervenga per scegliere tra opzioni sulle quali gli stessi schieramenti parlamentari che lo sostengono sono duramente divisi. Possibile che non si noti l’enormità dell’ipotesi?
Che cosa c’è di più vicino ad un colpo di Stato “in doppio petto”, cioè ammantato di forme legali, di un Governo che cambi le regole elettorali alla vigilia dello scioglimento anticipato delle Camere, determinandone l’esito? Perché di questo si tratterebbe, se si modificasse l’attuale (deprecabile) meccanismo del premio di maggioranza, non c’è dubbio.
La sent. 161/1995, che viene richiamata, mi sembra indicare il confine invalicabile da qualsiasi prassi.
In quella occasione la Corte ha ammesso il conflitto di attribuzione contro i decreti-legge osservando come, con riferimento ad essi, “il profilo della garanzia si presenti essenziale e tenda a prevalere… su ogni altro”, perché (sta ragionando attorno agli strumenti di impugnazione dei decreti) una “limitazione nella garanzia costituzionale potrebbe… dar luogo a prospettive non prive di rischi sul piano degli equilibri tra i poteri fondamentali, ove si pensi – anche alla luce dell’esperienza più recente – al dilagare della decretazione d’urgenza, all’attenuato rigore nella valutazione dei presupposti della necessità e dell’urgenza, all’uso anomalo che è dato riscontrare nella prassi della reiterazione dei decreti non convertiti… Rischi, questi, suscettibili di assumere connotazioni ancora più gravi nelle ipotesi in cui l’impiego del decreto-legge possa condurre a comprimere diritti fondamentali (e in particolare diritti politici), a incidere sulla materia costituzionale, a determinare – nei confronti dei soggetti privati – situazioni non più reversibili né sanabili anche a seguito della perdita di efficacia della norma”.
Nel caso di specie, poi, la Corte dice testualmente che “il divieto – desunto dall’art. 72, quarto comma, della Costituzione e richiamato dall’art. 15, secondo comma, lettera b), della legge 13 agosto 1988, n. 400 – relativo alla materia elettorale” non opera perché “il decreto in questione ha inteso porre una disciplina che non viene a toccare né il voto né il procedimento referendario in senso proprio, ma le modalità della campagna referendaria”.
Dunque, la Corte costituzionale sembra esprimere un’idea molto chiara: l’hard core del sistema elettorale è sottratto alla decretazione d’urgenza dalla costituzione stessa, non solo dalla legge 400.
Mi sfugge davvero come questa sentenza possa essere superata.
Ma – sembra essere la risposta – la situazione attuale dell’Italia è eccezionale, essendo evidente che “il sistema complessivo sia entrato, nell’ultimo anno, in uno stato di conclamata e persistente eccezione, a fronte del quale sono stati e tuttora sono necessari interventi straordinari e urgenti”: lo mostrerebbe la stessa lunga (clamorosa e molto allarmante, a mio giudizio) sequenza di decreti-legge emanati dai Governi a partire dall’estate 2010 e convertiti grazie al voto di fiducia.
Questi – che sembrerebbero essere segnali assai preoccupanti di sistematica violazione del quadro costituzionale dei rapporti tra i poteri dello Stato – sono letti invece da Pizzetti in una chiave assai diversa.
L’idea di modificare la legge elettorale con decreto-legge non andrebbe infatti “valutata e apprezzata soltanto sulla base della lettura della Costituzione formale: in modo, cioè, del tutto avulso dal presente quadro complessivo, istituzionale, politico, economico e sociale connotato da elementi peculiari difficilmente riscontrabili nella storia della Repubblica”.
Ecco che al solito emerge l’equivoca e sinistra immagine della “costituzionale materiale”: le condizioni attuali “appaiono per molti versi ‘eccezionali’ rispetto al sistema costituzionale delineatosi a séguito dei mutamenti della forma di governo ‘materiale’ avvenuti a partire dalla precedente crisi ‘sistemica’ del 1992-1994”; “più ancora che l’emersione di singoli casi specifici di straordinaria necessità ed urgenza che fondano l’adozione del decreto-legge, a norma dell’art. 77 Cost., è dunque la stessa situazione generale del Paese, interna ed esterna (europea e internazionale), a manifestare quei tratti di straordinarietà, necessità e urgenza a provvedere che la Costituzione richiede che sussistano per poter legittimamente adottare un decreto-legge”.
È proprio vero che la storia non insegna più niente.
A nulla serve la drammatica lezione di Carl Schmitt che “la regola stessa vive solo dell’eccezione”. A nulla sono servite le mille e mille pagine sulla crisi del regime di Weimar.
Dimenticate anche le remore e la preoccupazioni dei nostri costituenti, che hanno discusso per ore dell’opportunità di ammettere un uso – strettamente regolato, s’intende – del decreto-legge, senza però lasciare tracce nella nostra cultura giuridica, a quanto sembra.
L’esperienza ha infatti dimostrato come qualsiasi tentativo di regolamentazione e di disciplina dell’emissione dei decreti-legge sia stata sempre esiziale, e non soltanto sotto il regime fascista.
Essa ingenera da una parte la tentazione da parte del Governo di abusarne per la più rapida realizzazione dei fini della sua politica; dall’altra parte, vorrei dire, eccita la condiscendenza del Parlamento, il quale tende a scaricarsi dei compiti di sua spettanza.
La impossibilità di stabilire limiti rigidi (e quindi suscettibili di un efficace sindacato giudiziario), accompagnata ai fenomeni di psicologia politica accennati, portano fatalmente ad una invadenza dell’esecutivo in quelli che sono i precipui poteri del legislativo.
Invadenza dell’esecutivo significa predominio della burocrazia nella formazione della legge, per la quale essa non ha, oltre che la responsabilità politica, neppure la preparazione tecnica necessaria.
Sono le parole di un oscuro giurista calabrese del passato, un certo Costantino Mortati:
L’esperienza ha infatti dimostrato come qualsiasi tentativo di regolamentazione e di disciplina dell’emissione dei decreti-legge sia stata sempre esiziale, e non soltanto sotto il regime fascista. Essa ingenera da una parte la tentazione da parte del Governo di abusarne per la più rapida realizzazione dei fini della sua politica; dall’altra parte, vorrei dire, eccita la condiscendenza del Parlamento, il quale tende a scaricarsi dei compiti di sua spettanza.
La impossibilità di stabilire limiti rigidi (e quindi suscettibili di un efficace sindacato giudiziario), accompagnata ai fenomeni di psicologia politica accennati, portano fatalmente ad una invadenza dell’esecutivo in quelli che sono i precipui poteri del legislativo.
Invadenza dell’esecutivo significa predominio della burocrazia nella formazione della legge, per la quale essa non ha, oltre che la responsabilità politica, neppure la preparazione tecnica necessaria.
(A.C., seduta pomeridiana del 18 settembre 1947).”
fonte: http://orizzonte48.blogspot.it/2017/04/decreto-legge-per-le-correzioni-alla.html
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