Italia, Francia, Germania, Austria, Slovenia, Svizzera, Malta, Tunisia, Algeria e Libia. Secondo il ministro dell’Interno italiano, Marco Minniti, il Gruppo di contatto Europa-Africa Settentrionale, che si è riunito a Roma lo scorso 20 marzo, è «un’iniziativa epocale, senza precedenti, che ha grandi potenzialità». Il prossimo incontro si terrà a Tunisi e l’idea è di creare un tavolo di lavoro permanente.
Obiettivo dichiarato del Gruppo è contenere i flussi migratori nel Mar Mediterraneo centrale, rafforzando i rapporti di cooperazione tra i Paesi interessati, anche indirettamente, dal fenomeno. In questo senso, si deve intervenire «su entrambe le sponde del Mediterraneo, attraverso politiche di controllo delle frontiere». In particolare, a nord della Libia e a sud al confine con il deserto.
Nel 2016, 181.436 migranti hanno raggiunto le coste italiane, lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Solo nei primi mesi del 2017, si sono registrati oltre 23.000 arrivi lungo questa rotta. Nigeria, Eritrea, Gambia, Costa d’Avorio, Sudan, i principali paesi di provenienza dichiarati all’arrivo. Mentre la Libia risulta il primo paese di transito e di partenza per i migranti sub-sahariani. Dalle sue coste, lo scorso anno, è partito il 90% dei migranti.
Il Memorandum d’intesa tra Italia e Libia
Per questo, sia per l’Unione Europea che per l’Italia, la Libia è l’interlocutore principale con cui discutere di politiche migratorie per trovare soluzioni di lungo termine. Non a caso, il piano d’azione tracciato a Roma dai ministri dell’Interno ricalca il Memorandum d’intesa firmato a febbraio dal presidente del consiglio italiano, Paolo Gentiloni, e da Fayez Al Serraj, premier del Governo di Accordo Nazionale libico (GNA) con sede a Tripoli, riconosciuto a livello internazionale.
(L’incontro a Roma tra il premier libico Al Serraj e il ministro dell’Interno italiano Minniti)
Un accordo basato sulla cooperazione allo sviluppo e sul contrasto dell’immigrazione illegale, che l’Unione Europea aveva sostenuto con la Dichiarazione di Malta, ma che nelle scorse settimane è stato bocciato dallo stesso tribunale di Tripoli. Da una parte, Al Serraj non ha il riconoscimento del parlamento di Tobruk, controllato dal generale Khalifa Haftar, ma solo quello delle Nazioni Unite. Di fatto, quindi, non avrebbe alcun mandato per firmare un accordo sui migranti. Dall’altra, per la corte d’appello di Tripoli, l’intesa comporterebbe degli impegni troppo onerosi, celando in realtà dietro questa giustificazione formale la presenza nella stessa capitale libica di forze – politiche, militari così come all’interno della stessa magistratura – che continuano a opporsi all’insediamento di Al Serraj alla guida di un governo unitario.
Il Gruppo di contatto UE-Nord Africa
Sulla base del Memorandum, il piano definito a Roma si articola in vari punti. Innanzitutto, prevede di completare l’addestramento della Guardia costiera libica nell’ambito dell’operazione Sophia, avviata dall’Unione Europea.
In secondo luogo, prevede di predisporre un sistema di sorveglianza per il pattugliamento delle coste, in modo da fermare in acque territoriali libiche i migranti, che saranno quindi riportati in Libia. A questo proposito, è fondamentale la creazione di centri di accoglienza in cui siano rispettati i diritti umani. Per mettere in atto queste strategie, il premier Al Serraj il 20 marzo scorso aveva avanzato all’UE una serie di richieste: dieci imbarcazioni di soccorso e dieci motovedette, quattro elicotteri, 24 gommoni, dieci ambulanze, 30 veicoli a trazione integrale, così come telefoni satellitari. E in questi giorni, ha aggiunto alla lunga lista la fornitura di navi e radar per fermare il traffico di migranti dalle coste occidentali del Paese.
Infine, in base al Piano, sarà rafforzato il controllo delle frontiere meridionali della Libia (al confine con Algeria, Niger, Ciad e Sudan). Significativo, da questo punto di vista, l’accordo di pace raggiunto in questi giorni, almeno formalmente, dai capi delle tribù Tebu, Suleiman, Tuareg, che dovrebbe facilitare il contenimento dei flussi e il contrasto dei traffici illeciti.
Il Fondo per l’Africa
Finora, l’Italia ha destinato al Fondo per l’Africa 200 milioni di euro che andranno a finanziare, secondo quanto dichiarato dallo stesso ministro degli Esteri Angelino Alfano, la cooperazione allo sviluppo in paesi come Libia, Tunisia e Niger. Intervento che si inserisce, comunque, in un complesso di misure stabilite dal governo italiano per il contrasto all’immigrazione irregolare e al traffico di esseri umani.
Mentre l’Unione Europea ha stanziato altri 200 milioni, per rafforzare i controlli alle frontiere e aiutare l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) a migliorare le condizioni all’interno dei centri di detenzione libici. Luoghi in cui il rispetto dei diritti umani non è garantito e i migranti sono esposti a malnutrizione, estorsioni, detenzioni arbitrarie, lavoro forzato, violenza sessuale e torture, come ha denunciato l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Ma la realtà sul campo rimane piuttosto complicata per l’IOM, visti i tanti attori coinvolti: dai trafficanti, ai gruppi jihadisti, alle milizie armate che gestiscono i campi senza rispondere ad alcun governo.
I nodi da sciogliere
In questo quadro generale, nonostante le buone intenzioni, l’intervento internazionale in Libia si scontra con un problema di fondo. Ad oggi, il premier libico Al Serraj non ha il controllo né delle risorse petrolifere, né del territorio, né tantomeno dell’area di Tripoli. Di conseguenza, non è in grado di garantire la sicurezza e la stabilità politica ed economica del paese, prerequisiti necessari per affrontare il tema delle migrazioni. Al contrario, il generale Haftar ha la fiducia dell’esercito, il Libyan National Army, e il controllo di una parte della Libia orientale, oltre che l’appoggio di nazioni quali Russia, Egitto, Francia e Arabia Saudita.
Dunque, gli strumenti messi in campo dall’Europa potrebbero risultare inadeguati. E il rischio è che siano le persone più vulnerabili, i migranti, a subire le conseguenze di questi accordi. D’altra parte, bisogna ricordare che il successo delle politiche migratorie non dipende solo dalla stabilità di un paese. Basti pensare alle conseguenze dell’intesa raggiunta nel 2008 con il governo libico di Muammar Gheddafi. Un’intesa che aveva interrotto quasi del tutto i flussi verso l’Italia, senza però assicurare il rispetto dei diritti umani in Libia.
fonte: http://www.lookoutnews.it/libia-migranti-mediterrano-memorandum-italia/
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