Giù le mani da Antonio Gramsci!
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Matteo Persico)
In occasione degli ottant’anni della morte di Antonio Gramsci non ci si può esimere dal domandarsi cosa, nel corso degli anni, sia divenuta la sinistra italiana, dove stia andando e cosa ne sia rimasto. Un’ideologia che ha tradito se stessa sfregiando indelebilmente la lapide commemorativa del filosofo sardo.
Sarebbe troppo comodo limitarsi, come stanno facendo molte delle sinistre europee in queste ore, ad omaggiare l’immensa figura di Antonio Gramsci nell’anniversario della sua morte, avvenuta esattamente ottant’anni fa. Se da una parte partecipare al corteo dei non-pensanti non è nel nostro stile, dall’altra recitare la solita pomposa solfa “Gramsci fu un grande pensatore” non basta più, bisogna porsi un quesito ulteriore per onorare fino in fondo la sua memoria: Gramsci sarebbe fiero della sinistra odierna? La sinistra sta perseguendo i dettami dell’uomo che tanto avidamente oggi omaggia? La domanda è legittima e quanto mai attuale, perciò deve esser adeguatamente sviscerata. Per farlo adopereremo alcune delle nozioni lasciateci in eredità dallo stesso Gramsci, su tutte quella di “Blocco storico” e di “Sistema egemonico”.
Prima ancora di addentrarci negli aspetti nozionistici di questo nostro personalissimo omaggio polemico dedicato ad Antonio Gramsci, si vede necessario anzitutto partire da qualche considerazione di carattere storico. In parole povere, un rapido riassunto per contestualizzare il pensiero del filosofo sardo. Chiediamoci dunque: che mondo ha lasciato Gramsci nel 1937? Qual’era l’assetto geopolitico e quale la condizione della sinistra europea al momento della morte di Gramsci? In Spagna si stava combattendo da poco meno di un anno la guerra civile, anticamera del Secondo conflitto mondiale. In Italia si stava ultimando il processo di avvicinamento del fascismo al nazismo tedesco, che avrebbe raggiunto il suo culmine nel 1939 con il famigerato Patto d’acciaio. In Russia l’Urss guidata da Josip Stalin aveva infine trovato il suo equilibrio, non senza notevoli spargimenti di sangue, dopo i tumultuosi anni post rivoluzione d’ottobre.
Proprio dall’Urss, dove si erano rifugiati, i massimi esponenti del socialismo italiano e tedesco continuavano a tessere le fila in attesa del tanto agognato ritorno in patria. Questa che abbiamo presentato in modo estremamente semplificato è una fugace fotografia della situazione europea al momento della dipartita di Gramsci. Quello che accadde dopo è per noi la storia del XX secolo. Tuttavia Gramsci non vide nulla di tutto ciò, di tutto quello che noi già chiamiamo “Storia”. In tal senso oggi vogliamo “raccontare” ad Antonio Gramsci, adoperando il suo stesso lessico e i concetti della sua filosofia, qual’è stata la storia della sinistra italiana ed europea dopo la sua morte. Vogliamo raccontargli, nostro malgrado, del grande tradimento ordito nei suoi confronti dalla sinistra mondialista e globalista dei giorni nostri. Subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale e gli accordi sulla spartizione dei domini territoriali, l’Urss avviò una fase di scontro decennale con gli Stati Uniti, comunemente chiamata guerra fredda. L’obiettivo prestigioso di questa guerra di posizione, più e più volte dichiarato, consisteva nel distruggere il sistema capitalistico ed estendere a tutto il globo l’egemonia del sistema comunista. In ultima istanza, la realizzazione dell’utopia comunista teorizzata da Karl Marx. Ciononostante, da questo punto in avanti, la situazione prese una piega ben diversa rispetto alle aspettative delle sinistre marxiste.
Arrivati a questo punto della nostra riflessione risulta ora di vitale importanza spiegare il senso di due concetti gramsciani che ci torneranno utili da qui in avanti: Blocco storico ed Egemonia. Risulta evidente già a prima vista come i due termini siano strettamente collegati tra loro, in una relazione di vicendevole condizionamento, a tratti quasi di sovrapposizione. Per quanto riguarda il Blocco storico, termine che Gramsci riprende da Georges Sorel, esso rimanda alla annosa questione del rapporto tra struttura e sovrastruttura. Secondo Gramsci il rapporto tra struttura (forze materiali) e sovrastruttura (ideologie) è di forte reciprocità: le ideologie senza le forze materiali sarebbero delle astrazioni fini a sé stesse, le forze materiali senza le ideologie non potrebbero essere colte nel loro contesto storico e sociale particolare. La carica innovativa di questa rilettura gramsciana del rapporto struttura/sovrastruttura fu enorme, basti pensare che prima di lui (e paradossalmente tutt’ora nei nostri licei!) il rapporto tra struttura e sovrastruttura, economia e ideologia era considerato unilaterale: in altre parole, era la sola economia a dare forma e contenuto alla sovrastruttura (religione, cultura, arti, politica, pedagogia ecc.). Per Gramsci invece la struttura rappresenta il contenuto (materia), mentre la sovrastruttura dona il proprio contributo in quanto forma.
Altrettanto importante nella filosofia gramsciana è il concetto di Egemonia, legato strettamente alla nozione di Blocco storico. Per Egemonia si intende l’imposizione, da parte di un gruppo dominante, di una certa visione politica, sociale, culturale, filosofica agli altri individui, i quali a loro volta devono allinearsi con la visione dominante. L’Egemonia è ottenibile, e qui si rimanda al primo termine esposto, quello di Blocco storico, quando c’è totale accordo tra la struttura e la sovrastruttura, quando le ideologie si sovrappongono perfettamente con le forze materiali. In questo modo si viene a creare un unico blocco inossidabile e incontestabile, il quale verrà poi sostituito da un altro modello egemonico a seguito di, come riporta Gramsci, una lenta ed estenuante guerra di posizione. Il ribaltamento avviene infatti quando le forze materiali entrano in contrasto con i rapporti di produzione, ossia si manifesta un’incrinatura interna al blocco storico.
Torniamo ora allo scontro tra Urss e Usa. La guerra fredda può ora essere definita per quello che fu: la lotta per la prima egemonia globale nella storia dell’umanità. Nessuno Stato, nessuna nazione, nessuna tribù, nessun impero, nessuna monarchia era mai riuscita ad imporre la propria egemonia su tutto il globo. La posta in gioco era altissima. Dal canto loro le sinistre europee, le quali erano largamente foraggiate dall’Urss, condividevano i principi e i valori del modello sovietico. Tuttavia dal 1968 in poi avvenne il primo dei grandi stravolgimenti della sinistra: con il ’68 iniziò a prendere piede la deriva internazionalistica. Non più dunque solo attenzione per il lavoro e la condizione del proletariato, ma anche la richiesta a gran voce dei diritti liberali e di un pacifismo globale. Questo fu il primo di una lunga serie di passi che indussero le sinistra ad avvicinarsi sempre più al modello dominante, il sistema borghese.
Proprio l’abbattimento dell’egemonia borghese, punto focale del programma fino a quel momento, venne presto soppiantato da un radicale sentimento pacifista. L’Utopismo“degli apolidi” stava lentamente infettando il socialismo europeo. Ma ciò che indusse definitivamente le sinistre europee a tradire il marxismo, e con lui Antonio Gramsci, fu l’avvento di Michail Gorbacev alla presidenza dell’Unione Sovietica: con le sue riforme disastrose in campo economico e sociale (Perestrojka), con la sua politica anti-imperialista (dottrina Sinatra) e con le concessioni fatte agli Stati Uniti, Gorbacev portò presto l’Urss alla dissoluzione. Gli esponenti della sinistra, resisi conto che la lotta per l’egemonia con gli Stati Uniti era oramai andata perduta, decisero così di scendere a patti. L’unico modo per imporre il proprio modello, un po’ comunista e un po’ liberale, era stato fino ad allora il raggiungimento dell’egemonia politica con l’Urss, ma davanti al fallimento di quest’ultima il socialismo iniziò a calcolare rischi e vantaggi del farsi assimilare dal modello americano. Ciò avvenne già prima della caduta del muro nell’89, fu un lento ma progressivo fenomeno che si svolse per tutti gli anni ’80 e in parte ’70. Il tradimento era così compiuto.
In ultima istanza il tradimento del socialismo europeo è da ricondurre alla naturale tendenza dell’utopismo ad una inattuabile volontà di realizzazione pratica. Quella che Gramsci chiama, nella teoria della prassi, l’unione di teoria e pratica, è fondamentalmente il fine ultimo a cui ogni utopismo aspira ma che, per sua stessa definizione, non può raggiungere. La sinistra europea, dopo il suo totale allontanamento dal marxismo, ha finito per abbracciare un folle utopismo di carattere iper-liberale e di forte impronta radical-pacifista, finendo però per incorrere in un definitivo appiattimento ideologico. Scendendo a patti con l’apparato borghese essa pensava dunque di poter unire teoria e prassi (che altrimenti sarebbe rimasta inespressa) all’interno del sistema egemonico capitalista, non intuendo però che dì lì a poco sarebbero stati letteralmente raggirati. Ma di questo parleremo tra poco.
Il patto suggellato tra le due parti è un accordo di compromesso. La sinistra europea ha negli anni chiuso gli occhi su abusi riguardanti la politica del lavoro, le politiche salariali e più in generale, abusi di carattere sociale. Dall’essere paladina dei diritti dei lavoratori, la sinistra è finita per essere la prima rappresentate dello sfruttamento capitalistico. Dal canto suo il capitale ha in parte assecondato le istanze della sinistra liberale sotto forma di pacifismo apparente, buonismo formale, globalismo sfrenato e, a livello linguistico, con la formazione della neolingua che tanto piace ai Radical-chic di mezzo mondo. La sinistra è entrata a far parte del blocco storico imposto dall’egemonia capitalista, vedendo così raggiunti alcuni dei suoi obiettivi. Ciononostante la verità dei fatti non è così semplice: non solo la sinistra ha venduto l’anima al diavolo in nome del suo utopismo alienato, ma è stata per giunta raggirata. L’accordo è stato una grande truffa e la sinistra non sembra essersene ancora resa conto. Riempiendola infatti di false promesse, l’apparato egemonico borghese ha fatto credere alla sinistra di perseguire prioritariamente pace, libertà, diritti, quando la realtà era però ben diversa. I valori del capitalismo non sono mai cambiati, sono sempre stati e saranno sempre incentrati sull’interesse economico ed il guadagno, ossia su quell’insieme di valori che Max Weber aveva identificato ne “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”.
La sfrenata passione per i diritti umani, le libertà individuali e la cessazione delle ostilità sono solo apparenti. Riassumendo potremmo affermare che nell’accordo che avevano stabilito, sia la sinistra che l’apparato egemonico si erano ripromessi reciprocamente un cambiamento dei propri valori. La sinistra è cambiata, il capitalismo nemmeno di una virgola. Dunque non possiamo fare altro che ammettere l’evidenza dei fatti: gli Stati Uniti hanno vinto la guerra fredda, il sistema capitalistico ha trionfato nella lotta egemonica contro il modello proposto dal comunismo sovietico e ha finito per assorbire gli ultimi residui di una sinistra ormai appiattita e alienata. Il capitalismo ha sconfitto Gramsci ubriacando i suoi nipoti con belle ma false speranze, trasformandoli in nient’altro che l’ultimo stato-satellite del capitalismo.
In conclusione, non c’è niente di più giusto che omaggiare Antonio Gramsci. È sacrosanto. Ma per evitare facili ipocrisie va anche ammesso che non tutti possono permetterselo. Capita ad esempio di ascoltare discorsi e leggere stati su Facebook e Twitter di partiti come Sinistra Italiana che ricordano Gramsci ed auspicano una sua riscoperta. Quegli stessi partiti i cui massimi esponenti furono diretti responsabili, o discendenti politici dei responsabili, del grande tradimento perpetrato nei confronto dello stesso Gramsci e del suo pensiero. La dura verità, cari esponenti di Sinistra Italiana e partiti similari, è che se davvero Gramsci venisse riscoperto e venisse studiato come si deve, Voialtri sparireste in un baleno. Sparireste come sparisce la tempesta quando arriva il vento di maestrale, come i topi quando torna il gatto o come Bersani quando si tratta di vincere le elezioni. Lasciate che Gramsci venga celebrato da chi può farlo con cognizione di causa, da chi può farlo coerentemente con la sua filosofia. Ma soprattutto, non lo celebrate solo per accaparrarvi pochi voti in più di qualche anziano elettore della vecchia guardia.
Insomma, giù le mani da Antonio Gramsci!
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/storia/giu-le-mani-da-antonio-gramsci/
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