Ma la Francia non è Macron
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Lorenzo Vita)
Macron ha vinto, è vero. Ma in realtà non ha la Francia. Parafrasando una frase tanto cara a noi italiani, fatta la Francia bisogna fare i francesi, o meglio, presa la Francia, ora bisogna prendere i francesi
Ha vinto Macron. È andata così. Ma d’altronde, per quanto ci si potesse sperare veramente, era difficile credere che la Francia potesse davvero virare sul voto per Marine Le Pen lasciando il giovane rampollo dell’establishment senza la sua bella poltrona all’Eliseo. Eppure, c’è una parte di questa storia che sfugge. Sfugge perché, in fondo, non è così chiara, così limpida, questa vittoria. È una vittoria dai lati tristi, quasi di Pirro, perché effettivamente non è stato un trionfo.
Macron ha vinto, è vero. Ma in realtà non ha la Francia. Parafrasando una frase tanto cara a noi italiani, fatta la Francia bisogna fare i francesi, o meglio, presa la Francia, ora bisogna prendere i francesi. Perché in realtà questi francesi, tutto sono fuorché macronisti. In un recentissimo sondaggio Ipsoa, sembra che soltanto il 16% degli elettori di Macron al ballottaggio si sia recato nella cabina elettorale davvero consapevole della scelta che stava facendo. Il 43% ha votato soltanto contro Marine Le Pen. Ed è da questi due dati che bisogna partire per comprendere questo voto di Francia.
Una Francia che non deve illudere né il fronte euroscettico né il fronte europeista. Ma che deve, allo stesso tempo, non funestare le aspettative di nessuno. C’è sicuramente un dato da cui partire, ed è il primo turno, che è il voto d’opinione e non è il voto pro o contro Macron e pro o contro Le Pen. È il primo turno che messo a nudo il vero sentimento del popolo d’Oltralpe. Ed il sentimento è largamente euroscettico, quantomeno diviso equamente a metà. Se si sommano i voti di Mélenchon, Le Pen, Dupont-Aignan, partiti antisistema più piccoli e astensione ragionata, il quadro che ne esce fuori è che i convinti europeisti a queste elezioni erano forse un terzo del popolo francese. I macronisti ancora meno perché in fondo molti hanno votato En Marche! semplicemente perché attratti dal bombardamento mediatico e dall’ignoto della novità di questo giovane enigmatico speculatore finanziario. Ma la realtà è che la Francia è anche quei milioni di voti di destra e sinistra radicale che non possono essere nascosti dalle luci della vittoria di Macron.
Ma c’è poi un altro dato che fa riflettere, sempre al primo turno. Ed è il fatto che moltissimi giovani hanno votato, secondo i sondaggi, per Le Pen e Mélenchon e solo al secondo turno hanno deciso di votare per Macron, in maggioranza. Questo significa che i giovani di sinistra, non sono macronisti, ma hanno semplicemente votato contro Marine Le Pen, in un archetipo di patto repubblicano che curiosamente li avvicina molto di più ai “vecchi” francesi degli anni Novanta e Duemila rispetto a quelli di adesso, che, al contrario, il fronte repubblicano l’hanno negato.
Il vero grande scoglio di Macron è questo: comprendere che la Francia non l’ha votato in massa. L’hanno votato in massa i francesi contrari a Marine Le Pen al secondo turno, ma quella non è la Francia profonda. È la Francia del patto repubblicano che ancora persiste, seppur indebolita, ma che al primo turno si frantumata, atomizzata in quattro partiti tutti intorno al 20% e nella divisione sociale e politica delle elezioni. C’è una Francia divisa geograficamente, socialmente, culturalmente ed economicamente. Questa Francia è quella delle periferie rispetto ai centri delle metropoli, è quella dell’Ovest rispetto all’Est, ed è quella dei poveri rispetto ai ricchi. La vera sfida di Macron ora è quella di prendere atto della situazione e convincere i francesi che lui non è solo il figlio prediletto della classe dirigente francese, europea e delle grandi banche mondiali. Un compito tutt’altro che facile.
Macron arriva al Louvre sulle note dell’Inno alla Gioia
Ma è una sfida che, di contraltare, deve interessare anche tutte le opposizioni. Il voto ha dimostrato che c’è una Francia ribelle, euroscettica e contraria al mercato e alla globalizzazione. Ma questa Francia di opposizione deve riuscire a fare il salto di qualità e porsi non più, davanti al popolo, come qualcosa “contro”, ma proporsi come qualcosa “a favore di” determinati obiettivi. Serve chiarezza, lucidità di analisi e soprattutto capacità di sintesi fra i poli opposti dello schieramento. Il problema è che la sintesi non è facile, perché si cade in un facile tranello, e cioè che l’Unione Europea sia l’unico oggetto del confronto. Lì c’è l’errore essenziale di molti, e cioè quello di considerare il mondo fra europeisti e contrari all’Unione Europea. Non è così, ed il voto francese ce lo ha dimostrato. Non esiste solo l’Europa a fare da spartiacque ideologico, c’è anche molto altro, ed è il motivo per cui i voti di Mélenchon non si sono sommati a quelli di Marine Le Pen. Il grande movimento sovranista francese contrario a Macron non è “di destra e di sinistra” tutto unito, ma è di destra e di sinistra. C’è poi chi vuole, giustamente, unirlo. Ma è questo il momento di fare il grande salto di qualità ideologico e mentale.
L’europeismo, il globalismo, il “sistema”, se così volgiamo chiamarlo, questo salto di qualità l’ha fatto. Oggi centrodestra e centrosinistra si sono fusi in un intreccio senza fine. Socialisti e conservatori votano compatti lo stesso uomo nuovo che rappresenta in realtà il vecchio e che accontenta tutti. Il problema è l’opposizione, che invece è ancora divisa nonostante si stia facendo di tutto per riuscire ad unirla. Di queste elezioni francesi, sono quindi due i messaggi dalla Francia profonda che ci devono far riflettere e sperare. Il primo è che la Francia non è Macron, e che questo problema, prima o poi, lo dovrà affrontare il caro Emmanuel prima che si accorga di avere un Paese incandescente sotto le scarpe. Il secondo messaggio è quel rifiuto di Mélenchon a dare indicazione di voto in favore di Macron: lì c’è una speranza, un segnale. C’è il senso di un futuro che ancora va scoperto, ma che, a lungo termine, potrebbe finalmente ridare luce al buio della nostra Europa.
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/esteri-3/ma-la-francia-non-e-macron/
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