Il motore franco-prussiano
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Guido Rossi)
Quando a spiegare il pericolo economico del recente asse Parigi-Berlino ci pensa già la storia.
Chi ha consultato qualsiasi mezzo di informazione negli ultimi giorni non avrà avuto difficoltà a trovare approfondite analisi delle recenti elezioni francesi, e se prima del voto la stampa d’Oltralpe ha dato ben più ampio e vergognoso spazio al pupillo prediletto delle élites che – guarda un po’ – è stato eletto, adesso gli stessi pennivendoli, specie nostrani, non hanno più bisogno di dopare con la creatina mediatica notizie che forti della vittoria sgocciolano copiosamente di miele europeista. Primo fra gli esempi e non puramente casuale riferimento è La Repubblica, che da giorni festeggia la vittoria di Emmanuel Macron, lo stesso che da Skytg24 alla Rai già chiamano il “presidente europeista” anziché francese. Il foglio “democratico” attraverso la penna di Massimo Giannini, dall’edizione di ieri ha lanciato un preoccupante monito: “La Francia si è salvata. L’Europa si salverà. È l’Italia che rischia ancora”.
La nuova, la vecchia Europa
Perché la Francia si sia “salvata” è presto detto. Marine Le Pen, brutta, sporca e populista ha perso, e si sa, non può nascondersi né rifuggire il suo passato, rimane una cattivissima fascista, e i fascisti notoriamente hanno il peccato originale. Perché l’Europa si è “salvata”? Perché ha il suo nuovo alfiere, presto ospite a Berlino di Frau Merkel, regina del continente e signora dell’euro. Perché l’Italia ancora “rischia”? Proprio Giannini ce l’ha spiegato. Il successo di Macron è “una manna dal cielo”, rifarà l’asse franco-tedesco in nome di un “nuovo paradigma europeista” al quale ci dobbiamo addirittura “riconvertire”. Il paradigma non ha in realtà nulla di nuovo, né sembra essere in grado di cambiare la sostanza. La ricetta è infatti la stessa con la quale negli ultimi anni sono stati preparati piatti tutt’altro che piacevoli e nutrienti, a cominciare dai tagli alla spesa pubblica, altrimenti detta austerità. Ma no, se il problema fosse l’austerità, scrive Giannini – che forse non ha ben chiaro il significato del termine – “faremo bene a battere i pugni sul tavolo, come dice Renzi”.
La colpa siamo noi
Come spiega il giornalista i dati tutt’altro che confortanti che lui stesso riporta, ossia che “dal 2014 ad oggi il nostro surplus primario è calato di oltre 1 punto, il debito è salito dal 129% al 133%, la produttività è crollata dello 0,3 e gli investimenti pubblici del 2,2”? Austerità? Aumento della pressione fiscale? Tagli alla spesa? Privatizzazioni? Precarizzazione? Moneta unica? Ma figuriamoci, “l’Italia è l’unico Paese al quale l’austerità è stata risparmiata”; di più, “siamo stati gli unici ad ottenere flessibilità di bilancio”. Dove allora il problema, dove l’errore, se non proprio il vincolo esterno col quale l’Europa ci stringe il collo? Chiaro, il problema siamo noi, “abbiamo usato male” le possibilità che ci sono state date, “sprecando l’eccezionale bazooka di Mario Draghi”.
Insomma, la solfa è sempre la stessa: noi italiani siamo incapaci di governarci da soli, mentre la BCE sì che sa il fatto suo, guida illuminata e ispiratrice. Quale la sua musa? Angela Merkel, ça va sans dire, che se prima dava “la linea dottrinaria e gli altri capi di governo facevano le conferenze stampa”, ha detto Romano Prodi proprio a La Repubblica, adesso “finiranno i vertici europei a senso unico”, poiché “il motore franco-tedesco ricomincerà a funzionare con due pistoni”.
Ce lo chiede l’Europa. Ce lo chiede la Merkel. E ora ce lo chiederà anche Macron. Ma siamo davvero certi, poi, che il neo eletto presidente francese sia poi meno succube di Berlino dell’uscente Francois Hollande? A giudicare da come si è affrettato a prenotare il volo per la capitale alemanna si direbbe proprio di no, e se a dirlo non fossero sufficienti i fatti, ci pensa la storia.
L’eterno ritorno della guerra Franco-prussiana
Approfondire le cause scatenanti del conflitto e i singoli dettagli dello scontro tra la Francia di Napoleone III e la Prussia di Bismarck non ci interessa, e d’altra parte dei match conta il risultato. Quello del 1871 vide la totale sconfitta francese, e la nascita dell’impero germanico. Inutile dire che la storia la fanno i vincitori, stabilendone le regole a proprio piacimento: in questo caso, il trattato di Francoforte. Quest’ultimo prevedeva principalmente l’annessione dell’Alsazia-Lorena al territorio tedesco, comportando conseguenze non soltanto geografiche quanto socio economiche, trattandosi di zone ricche di ferro e carbone, risorse passate nelle potenti mani teutoniche, che avrebbero deciso le sorti galliche per i successivi quarant’anni. Un passato non troppo diverso dall’oggi, dunque.
Forse Macron ha vinto, ma la Francia ha perduto. Tra le intenzioni del novello presidente vi è quella di ridurre il rapporto deficit/Pil fino ad arrivare al pareggio di bilancio, un’insensatezza economica dettata dalle esigenze europee (perciò giammai francesi), da raggiungere attraverso un bel pacchetto di riforme che all’Italia vengono chieste da un pezzo, esattamente quell’austerità che Giannini non sembra comprendere e contro la quale bisognerebbe “sbattere i pugni sul tavolo”. Ma il tavolo, signori, non c’è. Vi è il banco, ossia Berlino. Berlino vince sempre.
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/economia/il-motore-franco-prussiano/
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