Alitalia: il fallimento del sistema paese
di L’intellettuale dissidente (Francesco Colaci)
Ancora una volta la compagnia italiana per eccellenza rischia di annegare nel mare dei debiti. Forti le proteste degli scali, che diffidano delle garanzie di Alitalia in merito al pagamento delle tasse portuali. Al di là delle eventuali responsabilità dell’azienda, i problemi per il sistema imprenditoriale italiano sono sempre più evidenti; ne è prova la difficoltà sempre più grande nel reggere la spietata concorrenza internazionale.
Com’è risaputo, un ecosistema che funzioni al 100% necessita della massima efficienza di ogni suo elemento. Lo stesso ragionamento vale per il corpo umano, che non funzionerebbe in maniera eccellente anche in presenza dell’inefficienza di un solo organo. E il medesimo discorso vale per il sistema portuale italiano, la cui sopravvivenza è legata alle sorti della principale compagnia, Alitalia. I commissari dell’azienda hanno rassicurato gli aeroporti italiani, garantendo il pagamento regolare delle tasse.
Per quale motivo, dunque, i responsabili degli scali avrebbero sollevato un grande polverone? Effettivamente, una risposta esiste. Nel 2008, anno che sancì il primo fallimento della nota compagnia di bandiera, si verificò una situazione di insolvenza da parte di quest’ultima nei confronti dei maggiori scali nazionali, i quali impiegarono anni per riemergere dai problemi finanziari.
Oggi, di conseguenza, si teme di incorrere nello stesso rischio. Il timore è stato scatenato dal mancato pagamento, a partire dal 2 maggio, dei diritti aeroportuali, ovvero le tasse sui movimenti di atterraggio e decollo che ogni aereo versa all’amministratore dello scalo. Preoccupati dalla situazione, i gestori dichiarano di fare eventualmente ricorso all’articolo 802, conosciuto come la norma che prevede le ganasce agli aerei; ogni singolo scalo ha il diritto di trattenere i veivoli di qualsiasi compagnia che sfugga al pagamento delle tasse aeroportuali. Da un lato, gli amministratori degli aeroporti, soprattutto quelli più piccoli danneggiati dall’insolvenza, insistono affinché Alitalia paghi i diritti in questione, poiché secondo gli stessi gestori la compagnia avrebbe ottenuto un prestito di 230 milioni di euro.
Dall’altro lato, tuttavia, la situazione per l’azienda non è facile, poiché questa deve far fronte a spese interne, secondo le priorità previste dalla legge. Alitalia, infatti, utilizza i prestiti per pagare i dipendenti, i piloti, gli assistenti di volo, gli impiegati al check-in e, solo successivamente, occorre contrarre il pagamento delle tasse portuali. La compagnia, dal proprio canto, giustifica il ritardo e l’insolvenza con questi meccanismi gestionali; Alitalia non può permettere che i propri aerei decollino senza che il personale venga prima posto nelle condizioni di lavorare e i voli siano caratterizzati dalle misure di sicurezza previste.
Ecco, dunque, come viene a crearsi una frizione di interessi fra gli scali nazionali e la compagnia. Fra i primi, Lampedusa e Pantelleria (quasi totalmente dipendenti da Alitalia) reclamano il mancato pagamento, mentre Alitalia deve prioritariamente utilizzare i prestiti elargiti dallo stato per far fronte alle difficoltà interne all’azienda. È evidente che, in questa situazione, non esistano personaggi buoni o cattivi, non vi sono attori nella ragione o nel torto. Aeroporti e compagnie di bandiera (e i relativi interessi) sono in conflitto, ma a causa di fattori esterni e condizioni di crisi economica strutturale. Sicuramente, l’avvento, nell’ultimo quindicennio, delle compagnie straniere low cost non ha giovato al mercato del trasporto aereo italiano. Dall’altro lato, tuttavia, è avvenuta una democratizzazione dei costi aerei cui Alitalia non è stata capace di far fronte, probabilmente a causa delle enormi spese annuali cui quest’ultima è tenuta ad affrontare.
È innegabile che la situazione della compagnia di bandiera sia analoga a tanti, innumerevoli settori dell’economia nazionale, che vivono quotidianamente sotto la morsa del default e nella speranza di un prestito salvifico. Tuttavia, come la storia insegna, i singoli prestiti non hanno mai salvato le sorti di un’azienda, quanto un piano d’intervento economico generale. Compagnie, aeroporti, dipendenti, piloti costituiscono alcune delle colonne portanti del sistema Italia, non sono parti in conflitto. Il problema è a monte. Il paese non è più in grado di imporre la propria egemonia o, quanto meno, un equilibrio economico in determinati settori. A causa delle leggi sull’importazione e l’esportazione previsti dall’Unione Europea, essa è costretta a sottostare a meccanismi che non ne consentono il decollo; meccanismi che vanno ad aggiungersi al mito oramai decantato del debito pubblico, il quale tiene sotto scacco la democrazia italiana.
Ricordiamo la medesima situazione di tracollo finanziario in cui è caduta la più antica banca d’Italia, Monte dei Paschi di Siena, le cui filiali sono in chiusura in numerosi luoghi d’Italia. Allo stesso modo si potrebbe riprendere l’esempio di migliaia di piccole e medie imprese che versano in uno stato di crisi profonda, la cui sopravvivenza tuttavia non è garantita dallo stato. Nessun prestito, nessun intervento è previsto per il recupero dell’imprenditoria danneggiata dalla speculazione finanziaria. Gli stati nazionali d’Europa non sembrano aver recepito la lezione del ’29; le crisi cicliche dell’economia di mercato liberista insegnano che gli interventi isolati non servono ad appianare le difficoltà, né tantomeno affidare la gestione della cosa pubblica ai dettami del privato e del mondo azionario.
L’assenza di una sovranità monetaria e, conseguentemente, delle politiche economiche, alimenterà lo status critico del paese Italia. Per questa ragione, scali aeroportuali e compagnie di bandiera possono anche muoversi causa reciprocamente, vincere o perdere una battaglia legale, ma senza riuscire a cogliere il disegno d’insieme. Un popolo di datori di lavoro e dipendenti, di aziende ostili ed enti pubblici che si additano a vicenda, senza lo sforzo comprensivo di individuazione di una causa politica ed economica superiore alla situazione conflittuale presente, è un popolo che ha già perso.
Piuttosto i cittadini italiani abbandonino il tradizionale individualismo sociale che li caratterizza, al fine di coalizzarsi con chi si ritiene sia il “nemico”, poiché le cause della difficoltà di ogni settore economico risiedono non soltanto nella cattiva gestione italiana, ma soprattutto nei meccanismi economici e speculativi internazionali.
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