La legge elettorale in discussione con l’emendamento Fiano.
Articolo utile come approfondimento tecnico sulla legge elettorale in discussione.
di ALDO GIANNULI
La discussione presso la commissione Affari Costituzionali della Camera ha avuto uno sviluppo: il progetto Rosatellum è stato rivisto complessivamente con un maxi emendamento presentato da Fiano per conto del Pd e che avrebbe dovuto rendere la legge elettorale più simile a quella tedesca. In realtà resta una cosa ancora diversa dal Geyerhahan (al massimo parlerei di un Germanicum, un po’ tedesco ed un po’ Italicum). Rispetto al modello tedesco ci sono queste differenze sostanziali:
a. il voto disgiunto fra uninominale e proporzionale è sostituito da un voto unico per tutti due
b. viene abolita la possibilità di accedere alla distribuzione del proporzionale anche quei partiti, che non avendo raggiunto il 5% nazionale, abbiano, però, vinto in almeno tre collegi uninominali
c. Il capolista del listino uninominale precede, nella elezione, tutti gli eletti nei collegi uninominali
d. Ovviamente non c’è possibilità di integrare qualche seggio agli altri nel caso un partito, con gli uninominali, abbia più di quel che gli spetterebbe nel complesso. Qui la logica è invertita: prima si fissa il numero totale sulla base del proporzionale e poi si vede se c’è capienza con gli uninominali
e. I listini bloccati hanno un numero molto ridotto e non pari a quello dei 303 da assegnare in tutto per quella quota (mentre nel tedesco la divisione è perfettamente simmetrica), pertanto, eventuali eletti aggiuntivi di quota proporzionale verranno presi dai migliori “non eletti” di quel partito nei collegi uninominali
f. A differenza del modello tedesco, la proposta Fiano introduce le quote rosa
g. Viene introdotto uno strano meccanismo per cui i partiti che non siano esentati dalla raccolta delle firme debbono raccogliere le firme tanto nella circoscrizione che raggruppa gli uninominali, quanto nei singoli uninominali (ne riparliamo più avanti)
h. Si reitroducono, pur se eventualmente ed a livello locale le coalizioni per l’uninominale (cosa impensabile in Germania)
Come si vede, le differenze sono troppe e di non poco conto, per poter parlare di modello tedesco, anche se restano la divisione proporzionale dei seggi, la clausola di sbarramento al 5% ed i listini bloccati. Non è il modello tedesco (votato dalla rete domenica scorsa nella consultazione on line fra gli aderenti al M5s), ma uno strano intruglio fra il tedesco Doc e un po’ di pastrocchi all’italiana, dove anche le cose formalmente uguali, di fatto funzionano in modo diverso.
Ed iniziamo proprio dalla questione della clausola di sbarramento al 5% che è l’arco di volta dell’intera manovra renziana ed il maggiore imbroglio della legge.
Quel numero non venne scelto dai legislatori tedeschi in grazia di una particolare virtù orfico-pitagorica del numero 5, ma perché si cercava una soglia abbastanza alta per far fuori il Partito Comunista (che era intorno al 4) ma più bassa del 7% che era la percentuale dei liberali, che invece, bisognava garantire. L’obiettivo non era quello di “razionalizzare” il sistema limitando il numero dei partiti ammessi in parlamento, ma farne fuori solo uno (non c’erano altri partiti di qualche consistenza sotto clausola) e, alla fine, l’incide di distorsione risultò molto contenuto proprio perché l’escluso era solo uno. Poi, però, sono arrivati man mano i verdi, quindi la Pds-Linke, adesso Afd. Ed i partiti sono cinque e stanno diventando sei. Quindi lo sbarramento al 5% non è un dogma, e tutto sta a vedere come si distribuisce il voto e capire quale è il senso dell’operazione politica. A differenza della Germania nei primi anni cinquanta, in Italia abbiamo 7 partiti (FdI, Ala, Udc-Ap, conservatori-riformisti, Socialisti, Art. 1 e Si) che sarebbero sotto quota e che, con le liste piccolissime, assommano a circa il 20-25% dei voti, una quota decisamente troppo alta, suscettibile di produrre un implicito premio di maggioranza e quindi una massiccia distorsione della rappresentanza, superiore a quella determinata dall’Italicum, con una sola differenza: che l’Italicum attribuita il premio ad un solo partito, mentre qui il premio viene “spalmato” proporzionalmente sui partiti che entrano in Parlamento.
Ma ugualmente non si può parlare di un sistema propriamente proporzionale perché sacrifica troppo il principio di rappresentanza. Allo stato attuale, questo significa realisticamente M5s, Pd, Forza Italia e Lega, per cui ai partiti a rischio non resterebbe che fare coalizioni fra di loro o confluire nelle liste dei partiti maggiori. Nel primo caso a avrebbero qualche probabilità di successi i partiti di centro se riuscissero a fare un’unica lista ed a non perdere troppi elettori (le liste comuni realizzano sempre meno della sommatoria delle varie componenti), mentre sarebbe a forte rischio un eventuale polo Mdp-Si che si collocherebbe a ridosso della linea di galleggiamento e quasi nessuna speranza avrebbe Fratelli d’Italia che non ha nessuno con cui fare lista comune.
Dunque resta l’altra ipotesi: la confluenza di tutti o parte i soggetti a rischio nelle liste dei partiti maggiori. Il che andrebbe a tutto vantaggio di Fi e Pd (forse Lega, se Fdi vi confluisse), mentre nessun vantaggio verrebbe al M5s che, come è noto, non accetta accordi elettorali con nessuno. Il più interessato all’operazione è ovviamente il Pd che cercherebbe sicuramente di rosicchiare sia alla sua destra che alla sua sinistra sia per togliersi dai piedi i suoi scissionisti, sia per giocare la carta del “voto utile” e riconquistare il primo posto ai danni del M5s.
Mentre non si capisce che vantaggio abbia il M5s da questa soluzione il cui esito più probabile sarebbe quello di regalare all’asse Pd-Fi una comoda maggioranza sia alla Camera che al Senato.
E veniamo all’altro punto principale che stravolge il “modello tedesco” trasformandolo in una cosa diversa da quel che è: il voto congiunto fra uninominale e proporzionale. Il voto unico, di fatto, avvantaggia i partiti con candidati che hanno seguito clientelare, con una forte quota di amministratori locali e con insediamento territoriale a tutto svantaggio dei partiti con candidati deboli o poco conosciuti, con scarso o frammentario insediamento territoriale, e con scarsa presenza negli enti locali. Il candidato nell’uninominale farebbe da traino, e i suoi voti inciderebbero direttamente anche sulla quota proporzionale. E’ ovvio e comprensibile che questo avvantaggi soprattutto il Pd ed , in piccola misura, la Lega che hanno forti insediamenti territoriali, potrebbe anche avvantaggiare Fi nel sud, dove la tradizione del voto clientelare è forte (per non dire del voto organizzato dalla malavita). Unico a rimetterci tutto sarebbe il M5s che è esattamente il partito con candidati meno conosciuti, limitata presenza negli enti locali (e per di più con una regola interna che proibisce loro ulteriori candidature durante il mandato) e con un insediamento territoriale a chiazze.
Sarebbe opportuno il voto disgiunto e possibilmente su due schede diverse (come effettivamente è nel modello tedesco) anche se questo apre la ferita delle liste civetta.
Peraltro, sorgono dubbi sulla costituzionalità di questo metodo, perché questo forza la volontà dell’elettore: facciamo il caso di un elettore che voglia votare per un partito ma astenersi sul candidato del suo collegio, perché ne ha un giudizio negativo, che fa? O vota il partito e si becca il candidato sgradito o si astiene e non vota per il partito. Di fatto è la riproposizione del “Porcellum” con le sue liste bloccate.
Un terzo punto di cui si discute poco è quello dell’art. 18 bis comma 7 che reintroduce surrettiziamente le coalizioni: infatti si ammette la possibilità che un candidato in un collegio uninominale sia collegato a più liste, con l’unico limite che la medesima coalizione deve essere riproposta in tutti i collegi uninominali della circoscrizione (poi c’è da capire come si farà a stabilire sul conto di quale partito mettere il vincitore, ma è questione diversa).
C’è poi una norma un po stravagante sulla proclamazione degli eletti, per la quale, fissato il numero dei seggi spettanti a ciascun partito e distribuiti essi sul territorio in base ai voti ottenuti dal partito in ciascuna circoscrizione, si proclama eletto per primo il numero 1 del listino proporzionale, per procedere dopo alla proclamazione dei vincitori nei collegi uninominali, poi, se co sono ancora seggi da aggiungere si procede con i candidati del listino, e se ci sono ancora seggi da coprire, si attinge ai migliori non eletti nei collegi uninominali.
Facciamo un esempio: il partito A nella circoscrizione 33 ha avuto un solo eletto nel collegio uninominale VI, ma in tutto gli spettano due seggi per il computo proporzionale, dunque, mentre il partito B non ha avuto nessun eletto negli uninominali, ma ha avuto 4 seggi per il proporzionale, mentre il listino è di tre candidati, per cui:
-il partito A eleggerà il numero 1 del listino, ma non eleggerà nessun deputato negli uninominali, mentre
– il partito B, oltre ai tre del listini, avrà un altro seggio in uno dei collegi uninominali (magari il III dove ha vinto il partito C),
con il risultato che il collegio Vi non avrà nessun rappresentante, perché quello arrivato primo non è scattato perché il seggio è andato al capolista del listino, mentre il collegio VI avrà due deputati, uno perché eletto con l’uninominale (partito C) ed uno di recupero proporzionale (partito B). Siamo sicuri che questo non violi l’eguaglianza del voto e il diritto di ogni collegio ad avere un rappresentante?
Tutto questo è il prodotto di un meccanismo perverso per cui i candidati negli uninominali sono le bestie da soma che devono portare voti utili anche nel proporzionale, ma i listini devono essere coperti da uomini di sicura lealtà verso il segretario del partito. Ed anche questo è sicuramente nell’interesse del segretario del Pd che non vuole sentir parlare di preferenze (questione della quale il M5s aveva fatto una questione di principio che ora sembra dimenticata).
Ci sono poi una serie di questioni tecniche per cui la legge risulta abbastanza malfatta, ma lasciamo perdere, salvo una questione che merita d’essere segnalata. Come avevo avuto modo di scrivere in questo blog già da dicembre, se la nuova legge elettorale prevede collegi uninominali poi bisogna avere il tempo di farli ed un paio di mesi vanno via tutti, per cui non se ne parla di votare ad ottobre. Finalmente se ne sono accorti anche alla Camera e l’emendamento Fiano stabilisce che, in caso di elezioni anticipare, si useranno i collegi già pronti del Mattarellum vivente sino al 2005. Solo che qui i collegi da fare sono 303 e quelli del Mattarellum erano 475: come si accorperebbero tenendo fermi le bande di oscillazione minimo/massime?
A volte mi chiedo quanti deputati supererebbero un esame di diritto pubblico sui sistemi elettorali.
Ma, soprattutto, mi chiedo: ma perché il M5s vuol fare questo regalone a Renzi?
Fonte: http://www.aldogiannuli.it/accordo-legge-elettorale-fiano/
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