Egitto e Paesi del Golfo rompono con il Qatar: la “Nato araba” si frantuma prima di nascere
di ALBERTO NEGRI
Nel Golfo forse è cominciata una nuova era: dopo avere esportato instabilità in tutta la regione favorendo una versione dell’Islam retrograda e radicale le monarchie assolute del petrolio sono ai ferri corti.
Il quartier generale americano in Medio Oriente, il Centcom, ha sede in Qatar e gli Stati Uniti allo stesso tempo sono i maggiori protettori e fornitori di armi dell’Arabia Saudita, che insieme agli inglesi aiutano nella guerra in Yemen contro i ribelli Houthi sciiti. La rottura diplomatica tra Doha, l’Arabia Saudita, l’Egitto, gli Emirati Arabi e il Bahrein (cui si è aggiunto anche lo Yemen), incrina proprio il sistema di sicurezza americano e occidentale nel Golfo, cuore strategico del Medio Oriente e custode del 40% delle riserve petrolifere mondiali. Ecco perché questo scontro nel mondo sunnita degli sceicchi ci riguarda direttamente con tutte le implicazioni economiche, finanziarie e soprattutto per gli appoggi delle monarchie petrolifere ai movimenti radicali islamici e jihadisti.
In sintesi si frantuma ancora prima di nascere la “Nato araba” contro il terrorismo proposta durante il viaggio del presidente americano Donald Trump in Arabia Saudita, quando gli Usa avevano firmato con Riad una fornitura in armi record da 110 miliardi di dollari. Anzi proprio il viaggio di Trump aveva fatto esplodere le tensioni, neppure troppo latenti, tra i Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo. Sui media qatarini erano comparse dichiarazioni di fuoco attribuite all’emiro Tamim bin Hamad Al-Thani contro la “linea anti-Iran” dettata da Riad e soprattutto contro la presa di posizione durissima nei confronti dei Fratelli Musulmani e del movimento palestinese Hamas, organizzazioni appoggiate e finanziate da Doha.
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