Il quarto partito diventa il quinto: e il voto è sup€rfluo
- In un convegno, guarda caso, su L€uropa, l’ex Presidente Napolitano fa un “discorso di verità“ secondo l’opinione del commentatore dell’Huffington Post.
In cosa consiste dunque questa verità?
In alcuni caposaldi che, più che constatazione di fatti incontrastabilmente evidenti (cioè “verità”, almeno in senso empirico), sono giudizi di valore sui fatti stessi, cioè valutazioni politico-morali, suscettibili di diverso opinamento dal punto di vista giuridico ed economico:
- a) “Napolitano cita Mario Draghi sull’irreversibilità dell’Euro” (si riporta l’opinione di Draghi, laddove il fatto incontestabile si limita ad essere che l’euro esista e costituisce un controverso vincolo monetario);
- b) “parla dell’europeismo come di fede incrollabile” (il fatto consiste nella personale enunciazione di tale fede o, più precisamente, di tale visione dell’ordine internazionale del mercato);
- c) “vede i segni – dopo le elezioni francesi – di una possibile “controffensiva europeista” (il fatto è l’elezione di Macron, ma la conseguente “controffensiva” non è un fatto bensì un auspicio, coerente con la condivisione dell’opinione di Draghi e con la propria personale “fede”);
- d) “Napolitano fa riferimento alla situazione delicata del debito e dell’economia italiana. E, ad ogni passaggio, sottolinea i limiti e superficialità del dibattito politico, proprio sul delicato terreno dei conti pubblici: “Si prospetta il rifiuto del previsto scatto della clausola di salvaguardia, senza proporvi valide alternative“; e ancora: “Può il sostegno alla crescita tradursi in una generalizzata propensione alla riduzione della pressione fiscale“. Insomma, dice Napolitano, “l’attuale incertezza politica circa gli intenti complessivi di politica finanziaria è una rilevante incognita che mina la nostra credibilità” (questi passaggi, senza alcun dubbio, sono l’enunciazione di una preferenza personale per una certa politica fiscale, conforme alla fede nella irreversibilità nell’euro; ma una polititica fiscale altrettanto opinabile e, infatti, discussa vivacemente in tutti i paesi dell’eurozona e, in generale, in tutta la comunità scientifica degli economisti).
- Tutte queste personali opinioni non potevano che condurre ad una forte critica verso la legge elettorale ed il suo legame con l’anticipazione della fine della legislatura; questo legame viene definito “patto extracostituzionale“, con un evidente “non sequitur”, quantomeno incoerente con la dubbia legittimità costituzionale degli eventi che hanno contraddistinto la presente legislatura.
Qual è la preoccupazione di Napolitano?
Questa legge (“iperproporzionale”!?!) mette a rischio la “governabilità” cioè il “”dare continuità all’azione del governo in carica invece di metterne in dubbio la sopravvivenza. Questo ci dice l’interesse del paese“.
L’interesse del paese, quindi, sarebbe di avere fede nella irreversibilità dell’euro e nella fantomatica crescita che conseguirebbe al rigido e pronto rispetto del fiscal compact, con un consolidamento fiscale che conduca entro due anni al pareggio strutturale di bilancio.
- E questo nonostante che lo stesso Padoan, ministro dell’Economia del governo in carica e non certo l’esponente di un presunto futuro governo eversivo dell’ordine sovranazionale dell’eurozona, abbia già ora indicato una consistente misura di flessibilità rispetto alle indicazioni della Commissione quali riportate nell’ultimo Def (!) alla sua pagina 5:
Napolitano pare dunque non conoscere correttamente la posizione del governo in carica e in cosa consista la “continuità di azione” che lo contraddistinguerebbe, invocando piuttosto una sua, diversa e personale, “continuità”.
- La “governabilità”, a sua volta, consisterebbe nell’avere una legge elettorale che porti ad un parlamento in cui vi sia una chiara e inequivocabile maggioranza che possieda la sua stessa “fede” e creda in questa politica economica minuziosamente prefissata dai trattati €uropei.
Alternative non ce ne sono: portare la legislatura alla sua scadenza naturale implica infatti, secondo Napolitano, che la legge di stabilità sia approvata, possibilmente applicando le “clausole di salvaguardia” (per circa un punto di PIL di inasprimento della pressione tributaria “teorica”), o con l‘alternativa previsione di misure equivalenti nel volume di consolidamento fiscale.
In un parallelo commento al discorso di Napolitano, l’Annunziata ci dà un’idea concreta delle forze che si sentono rappresentate in questa “fede” e in questo rigore fiscale (che va oltre, come abbiamo visto, la posizione assunta dal governo in carica):
“Il sistema istituzionale, nelle sue diverse forme, ha fatto di recente sentire il suo scontento per una prospettiva accelerata e incerta che mette sotto stress i passaggi economici del paese. Dalla Confindustria, a molti ministeri, dalla Bankitalia a Palazzo Chigi, a figure istituzionali come l’ex premier Prodi, arrivano echi di preoccupazioni identiche a quelle espresse dal Presidente emerito“.
- Bontà sua, l’Annunziata ammette che il “Paese reale” possa non essere d’accordo con Confindustria e Bankitalia (che predica un avanzo primario al 4% per dieci anni, senza saper indicare quali scontati effetti ciò avrebbe sul livello di disoccupazione e di precarizzazione del lavoro):
“Degli umori del paese reale in merito sapremo poco, almeno fino alle urne, dal momento che il primo effetto della grande ammucchiata dei principali quattro partiti è stato quello di edulcorare, deviare, spegnere ogni interesse per le opinioni dei cittadini.”
Sulla prima parte di quest’ultima affermazione non si può dissentire: il voto esprime infatti il (molto limitato) sistema di manifestazione del giudizio del popolo sovrano sull’indirizzo politico-economico che così tanto incide sui suoi interessi vitali.
Quello che invece risulta alquanto paradossale, è ritenere che una larghissima maggioranza sulla legge elettorale, da sempre (retoricamente) auspicata nel nome della massima condivisione delle comuni “regole del gioco”, spenga l’interesse per le opinioni dei cittadini: per dare un giudizio del genere, occorrerebbe almeno attendere che sia fissata una data per le elezioni, inizi la campagna elettorale e i vari partiti espongano i loro programmi, che servirebbero proprio a suscitare l’interesse dei cittadini al fine di ottenerne il voto. Infatti, i programmi elettorali dovrebbero: a) indicare i problemi e le esigenze dei cittadini ritenute prioritarie e b) offrire soluzioni che, per i cittadini-elettori, risultino condivisibili.
- Ma se l’invocazione di Napolitano, così entusiasticamente condivisa dai commentatori dell’Huffington Post (e non solo), si fonda su una “chiarezza di programmi” che coincide con la rigida ortodossia al fiscal compact, che, a sua volta, coinciderebbe con la “governabilità”, – e se qualsiasi deviazione da questa fideistica ortodossia viene definita come “opportunismo” dei leaders dei quattro maggiori partiti italiani (rappresentanti, secondo i sondaggi, circa l’85% dell’elettorato)-, sorgono alcuni interrogativi:
- a) se l’indirizzo politico, in tutti i suoi decisivi contenuti economico-fiscali a decisivo impatto sociale, è definito in sede €uropea, una volta per tutte, cosa cambierebbe per il fatto che si voti in una data piuttosto che in un’altra?
- b) Più ancora: se la “governabilità” è il bene supremo e consiste nel seguire queste euro-politiche economico-fiscali, e in null’altro, assecondando le preoccupazioni di Confindustria e Bankitalia, perché mai si dovrebbe votare, in qualunque data e a prescindere dalla scadenza naturale di una qualsiasi legislatura (anche se, in aggiunta, in questa legislatura il parlamento è stato incontestabilmente eletto con una legge incostituzionale)?
- Non si fa prima a dire che gli unici “voti” che contano sono quelli di Confindustria e Bankitalia e a passare direttamente alla formazione di un governo composto coi rappresentanti di queste entità o, comunque da essi designati, senza lo “spreco” di risorse scarse della campagna elettorale e delle elezioni?
In fondo si tratterebbe solo di un adeguamento istituzionale “austero”, coerente con il subentrare della “fede” incrollabile nell’europeismo e nella irreversibilità dell’euro, a quanto aveva avvertito De Gasperi nel 1947:
“i voti non sono tutto (…). Non sono i nostri milioni di elettori che possono fornire allo Stato i miliardi e la potenza economica necessaria a dominare la situazione. Oltre ai nostri partiti, vi è in Italia un quarto partito, che può non avere molti elettori, ma che è capace di paralizzare e rendere vano ogni nostro sforzo, organizzando il sabotaggio del prestito e la fuga dei capitali, l’aumento dei prezzi e le campagne scandalistiche. L’esperienza mi ha convinto che non si governa oggi l’Italia senza attrarre nella nuova formazione di governo (…) i rappresentanti di questo quarto partito” .
Magari, oggi, proprio alla luce delle proiezioni derivanti dalla legge elettorale in via di approvazione, lo si potrebbe opportunamente ridenominare “Quinto Partito”. Ma si tratta solo di nominalismi legati alla diversa situazione storico-politica…
In fondo, “entia non sunt multiplicanda“: è arrivato il momento di dichiarare la superfluità costituzionale del voto…
Mica vorremo contrariare “i mercati”?
- POST SCRIPTUM ESPLICATIVO –
Qualche ragguaglio sul “mito della governabilità” che diviene straordinariamente attuale in questa fase del dibattito nazionale:
“Ora, i ragionamenti contenuti nella Relazione della Commisione di Venezia e ricalcanti simili teorie non sono affatto da assumere come originali, dal momento che gli stessi si pongono in stretta continuità con il dibattito sulla “governance” messo in circolazione dal neocapitalismo sovranazionale nel celebre “Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione Trilaterale” del 1975 ove, invero, veniva già allora epigrafato che:
“… Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. In passato ogni società democratica ha avuto una popolazione di dimensioni variabili che stava ai margini, che non partecipava alla politica. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che ha permesso alla democrazia di funzionare bene …” [12].
2.1.4. In particolare sul mito della governabilità…
E’ a causa di tale format che nei decenni, tramite la ben collaudata tecnica della “doppia verità” veicolata dagli accondiscendenti carrarmati mass-mediatici, si è andato via via rafforzando quel
“… fuorviante connubio tra logiche decisionistiche ed esaltazione della c.d. “democrazia immediata”, nell’ambito del quale la retorica del “primato della politica” è sempre di più servita a dissimulare una situazione in cui “la politica in realtà decide poco o nulla di ciò che veramente è rilevante, e se le si chiede un incremento di efficienza, tale efficienza finisce col risultare funzionale alla sollecita realizzazione di obiettivi e disegni di riforma definiti in altre sedi. L’impressione è, in realtà, proprio che ci sia una stretta connessione tra il trasferimento delle decisioni chiave ad istanze non responsabili (nella forma del dominio del mercato, o nella forma attenuata e neutralizzata del dominio della “tecnica”) e la trasformazione – rectius la semplificazione, la banalizzazione – della democrazia parlamentare nella sua versione “maggioritaria” e ultra–competitiva”.
2.1.5. ADDE di Quarantotto:
Ed infatti, una volta introdotto il concetto, opacamente rappresentativo, della “democrazia immediata”, connessa al primato della politica contrabbandata come “libera”…di perseguire SOLO l’efficienza (senza “lacci e lacciuoli”, costituzionali “d’altri tempi”), si predica una politica all’occorrenza costretta a decidere, con le buone o anche con le cattive.
Perché la cosa giusta è decidere-attuare e null’altro: di conseguenza si passa alla critica della democrazia partecipativa e dialogata tra interessi sociali differenziati.
Conciliare e graduare tali interessi intorno al valore di vertice del lavoro e della sua dignità, come con ponderatezza aveva imposto la nostra Costituzione, diviene un inutile orpello, un intollerabile rallentamento, di fronte alla sicurezza a priori delle soluzioni, e dell’urgenza di “attuarle”.
In un’orgia mediatica di lamentele instillate nel singolo cittadino, si diffonde la para-logica che non importa CHI faccia, e in nome di quali interessi: l’importante è “fare”.
Dilaga così in automatico l’invocazione della “governabilità”, senza interessi di riferimento, se non quelli assurti a prioritari nelle “altre sedi”, rigorosamente tecnocratiche:
La mitologia della governabilità risponde, infatti, nel complesso all’idea di un buongoverno ex parte principis e non ex parte populi, poiché, propugnando un elevato grado di separazione e di auto-legittimazione dell’apparato politico-istituzionale, mette in discussione la stessa teoria democratica e il suo posto nello Stato costituzionale. Al primato della Costituzione vengono così contrapposte, secondo necessità e nei termini di un logorante “processo decostituente”, l’onnipotenza della politica ovvero la preminenza della tecnica, in virtù di schemi organizzativi e di dispositivi di funzionamento tesi a veicolare la presunta neutralità e apoliticità delle decisioni tecniche e, specularmente, a dissimulare le valutazioni e le scelte politiche nascoste dietro la facciata della tecnica …” [13].
fonte: http://orizzonte48.blogspot.it/2017/06/il-quarto-partito-diventa-il-quinto-e.html
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