di LUCIANO BARRA CARACCIOLO
1. In Francia alle elezioni legislative del trionfo mediatizzato di Macron, come in Italia alle ultime amministrative, si manifesta sempre più la prevalente preferenza dell’elettorato per il c.d. partito dell’astensionismo.
Di questo argomento abbiamo già parlato, in diverse occasioni e prospettive: ma data la tendenza alla ulteriore crescita del fenomeno e la simultanea assenza di una qualsiasi sua seria spiegazione nel dibattito politico-mediatico, vale la pena di tornarci su.
2. Ampliamo cioè le informazioni significative dateci da questo, ormai noto, studio del 2000 di Carles Boix dell’Università di Chicago.
E’ abbastanza evidente, innanzitutto, che un regime autoritario è tendenzialmente portato a politiche neo-liberiste e quindi si connota come Stato minimo monoclasse: cioè oligarchico e tutorio della conservazione dell’assetto allocativo ottimale coincidente con l’accumulo e la concentrazione della ricchezza acquisita.
Questo caratterizzante aspetto conservativo dell’allocazione (di terra-oro, nel più tradizionale titolo di legittimazione della timocrazia, legato tradizionalmente al gold standard o, più di recente, al peg su valute estere “forti”), nell’immaginario collettivo mediatizzato risulta spesso posto in secondo piano rispetto a quello della natura poliziesco-repressiva che controlla il corpo sociale in luogo delle elezioni a suffragio universale.
3. Uno Stato autoritario, quindi, nell’ottica allocativa “efficiente”, liberista-paretiana, presenta delle inefficienze che sono dovute all’esigenza di mantenere questo apparato militar-poliziesco ed a quella di retribuire le relative “gerarchie” in qualche modo (parliamo di quella spartizione che si lega al c.d. “effetto pretoriani“): retribuzione per lo più tollerata in forma di concussione e di accumulo di ricchezze da abuso di potere “incontrollabile” (per definizione), forme peraltro raramente sanzionate in assenza di un potere giudiziario indipendente dall’esecutivo.
Sia la classe economica dominante, sia quella, strumentale ad essa, militar-poliziesca, tendono a sottrarsi in via istituzionale, cioè per previsione normativa del sistema tributario, al pagamento delle imposte in forma progressiva, aggiungendosi che corruzione e elusione fiscale portano, come spesso accade, alla sistematica esportazione di redditi e capitali all’estero (sottraendo ulteriore base imponibile).
4. Le predette “inefficienze” tendono a tradursi dunque in spesa pubblica “di apparato” – e relativo prelievo fiscale, sulle fasce politicamente e socialmente più deboli-, cui si aggiungono concessioni “sociali” per stabilizzare paternalisticamente l’instabilità che ne deriva: a quello poliziesco si aggiunge un apparato assistenziale-propagandistico, infatti, spesso presente al fine di prevenire e indirizzare lo scontento della maggioranza dei cittadini. Ciò si associa anche ad elezioni per candidati di un partito unico, in simulata competizione tra propugnare certe “concessioni” assistenziali minime.
5. Può quindi dedursene che l’efficienza maggiore, in termini di riduzione del bilancio statale e di assetto allocativo-conservativo pro-oligarchie, derivi dalla formula della democrazia “liberale”, in cui esiste formalmente un suffragio che pone in competizione diverse formazioni partitiche, ma che predetermina le politiche “possibili” in funzione dell’ordine naturale del mercato, assunto come Legge razionale incontestabile, e che trova la sua istituzionalizzazione nelle banche centrali indipendenti legate all’obiettivo della “stabilità monetaria” (qui, p.7), considerato a priori assolutamente prevalente, in base a regole normative “supreme”, su quello del mantenimento di un alto livello di occupazione e di una crescita dei salari legata alla produttività.
Questo assetto si rivela “ideale” per realizzare lo Stato minimo – e certamente più efficiente dello Stato autoritario- e, quindi, per l’affidamento al mercato di ogni possibile servizio di interesse generale, come istruzione, sanità, previdenza, (persino per le funzioni di ordine pubblico e di difesa, per taluni) riducendo, appunto, “il perimetro dello Stato”.
5.1. Ecco la rappresentazione grafica (qui più volte riportata) risultante dall’ampia indagine comparativa dello studio citato:
Come si vede dalla “legenda” in calce al grafico, la situazione più “efficiente” è quella di una democrazia “liberale” in cui l’astensionismo, cioè, simmetricamente, la partecipazione dell’elettorato giunga alla soglia del 50%.
6. Vi riporto alcune delle conclusioni dello studio:
“Tributi e spesa pubblica sono determinati tramite un meccanismo politico, laddove i politici assecondano le preferenze di coloro che godono pienamente dei diritti politici…
Nei regimi autoritari, generalmente impostisi per bloccare la redistribuzione, o in democrazie con basso grado di affluenza alle urne, la tassazione [e la spesa pubblica] tendono a rimanere basse. Per converso, nei regimi democratici, il settore pubblico cresce in quanto la “modernizzazione” modifica la distribuzione sottostante degli interessi nella direzione di una redistribuzione sia intra-generazionale (ndr; cioè la redistribuzione da tassazione progressiva, assimilabile tendenziale a quella ex post), sia, specialmente, inter-generazionale.
Quanto a quest’ultima, (qui, p.4) si tratta della redistribuzione ex ante che implica l’intervento dello Stato per rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena parità di ciascun cittadino nell’esprimere appieno le proprie capacità.
Lo Stato, perciò, interviene con l’istruzione pubblica (gratuita), il sistema delle borse di studio, e, più in generale, col sostegno al reddito delle famiglie dei lavoratori, e quindi alla loro effettiva possibilità di risparmio, realizzato tramite redditi aggiuntivi indiretti, tipica l’assistenza sanitaria pubblica universale, e differiti, tipico il sistema previdenziale pubblico alimentato da prelievi sia sul salario che sul datore di lavoro.
6.1. Tutto ciò non ha nulla a che fare con la solidarietà intergenerazionale invalsa sotto il regime €uropeista, e accettata dalla nostra Corte costituzionale, fondata sull’idea della scarsità delle risorse conseguente alla privazione della sovranità monetaria statale.
Questo euro-concetto di solidarietà intergenerazionale, corrisponde in essenza a una revanche del neo-liberismo che si “riprende il maltolto”: essa, infatti, si concretizza in forme di prelievo a posteriori sul reddito previdenziale o sullo stock di risparmio delle classi lavoratrici, prelievo giustificato da limiti di bilancio istituzionalizzati per favorire la “stabilità monetaria”.
Questo tipo di prelievo è dunque teso a riappropriarsi, espropriandoli, del reddito e della ricchezza derivanti dalla precedente redistribuzione ex ante, per finanziare la carenza di reddito delle più giovani generazioni dovuta essenzialmente all’effetto del regime di mercato del lavoro conforme all’obiettivo della stessa “stabilità monetaria”.
7. La lettura dello studio qui commentato è interessante perché contiene anche una confutazione dettagliata dell’ipotesi di Baumol per cui la rigidità della domanda di pubblici servizi in democrazia (sostanziale) porterebbe ad un consumo di risorse altrimenti destinate ad un impiego più efficiente nel settore privato (ipotesi del c.d. crowding-out): la conclusione è che, sebbene il costo del lavoro nel settore pubblico, dovuto alla minor propensione all’investimento e all’innovazione nel settore, possa risultare crescente, la quota di spesa pubblica in proporzione alle “risorse disponibili” non cresca.
In pratica, la stessa esistenza dei servizi pubblici, gestiti dallo Stato, accresce il prodotto complessivo in misura tale da non sottrarre, e anzi da accrescere, la redditività e la propensione all’investimento del settore privato.
7.1. Ora, questo studio avvalora, col riscontro empirico dell’andamento delle politiche pubbliche nelle diverse condizioni istituzionali, quanto già avevamo visto in tema di moltiplicatore e acceleratore finanziario della spesa pubblica.
L’aumento della domanda causato dalla spesa pubblica, infatti, da un lato accresce i profitti e la capacità conseguente di investimento delle imprese, dall’altro ne accresce la stessa “solvibilità”, determinando lo “sblocco” del credit crunch, laddove, appunto, il “miglioramento della posizione finanziaria delle banche consente loro di espandere il volume dei prestiti: e l’accresciuta disponibilità di capitale determina a sua volta l’espansione della produzione“.
8. Ma tutto questo è vietato e impraticabile dentro l’eurozona.
Di più, questo assetto istituzionale, incentrato sulla stabilità monetaria come prioritaria e immutabile politica deflazionista – per di più, a un certo punto, incorreggibile nei suoi stessi eccessi, come dimostra la vicenda del QE e la “clamorosa” recente invocazione di una crescita dei salari, per produrre “inflazione buona”, da parte di Draghi!-, si alimenta, in una vicendevole induzione circolare, proprio dell’astensionismo.
Alle ultime amministrative siamo arrivati al 40% pieno.
Macron, nello stesso giorno, ha fruito di un turn-out /affluenza del 49,8%, la più bassa nella storia della Quinta Repubblica, cioè di un astensionismo a 50,2!
9. Per la Francia, Macron è ora in condizioni istituzionali ottimali per realizzare l’efficienza ottimo-paretiana dello Stato minimo.
L’Italia pare avviata sulla buona via.
La nostra Corte costituzionale, d’altra parte, disinteressata degli effetti costituzionali (ai sensi dell’art.48 Cost.) del sistema elettorale maggioritario, circa il suo inevitabile accompagnarsi ad un crescente astensionismo (un astensionismo originato proprio dalla limitazione e selezione degli interessi rappresentabili insita strutturalmente nel sistema), non esclude la legittimità costituzionale del sistema francese per le elezioni legislative, cioè di un maggioritario mediante ballottagi nei singoli collegi.
10. La strategia della gradualità dell’euro-ordoliberismo (v. alla voce Padoan-Moscovici e prossima legge di stabilità), tornata in auge con l’esigenza di neutralizzare la reazione popolare incarnata dai “populismi”, ha dunque buone prospettive di stabilizzarsi.
Ma solo finché siamo in clima pre-elettorale: perché la tattica di astuto buon senso di Amato (“Non penso che sia una buona idea rimpiazzare questo metodo lento ed efficace – che solleva gli Stati nazionali dall’ansia mentre vengono privati del potere– con grandi balzi istituzionali…Perciò preferisco andare lentamente, frantumando i pezzi di sovranità poco a poco, evitando brusche transizioni dal potere nazionale a quello federale. Questo è il modo in cui ritengo che dovremo costruire le politiche comuni europee...”), potrebbe essere abbandonata dalla spinta della Merkel al “grande balzo istituzionale”.
Magari già a luglio a livello di grande decisione che, in Italia, come accadde per l’Unione bancaria, verrà raccontata come una grande vittoria.
11. Certo, le due cose, – gradualità e “balzo istituzionale” -, sono in qualche modo transitoriamente conciliabili: per vedere Weidman alla BCE e per la formalizzazione e l’entrata in vigore delle modifiche dei trattati, con l’accentramento definitivo della sovranità fiscale nella Commissione e nel suo apparato sanzionatorio-repressivo, si arriverà presumibilmente alla fine del 2019.
Per allora, l’astensionismo istituzionalizzato, in Italia, potrà aver fatto grandi progressi…
Commenti recenti