Democratura e marketing. Il caso Schlein
di FERDINANDO PASTORE (Pagina FB)
Si avrà a lungo memoria della segreteria Schlein e del suo fare approssimato di monotona, tediosa, verbosità. Il suo parlare a raffica vorrebbe ingarbugliare a tal punto il discorso da far perdere costantemente il filo del ragionamento. È un barcamenarsi invariabile tra un qua e un là, tra una birretta universitaria e il rigore della responsabilità, tra un giochino a premi di ebbrezza adolescenziale (le primarie aperte) e il peso angosciante dei rapporti con le agenzie dei servizi segreti. Insomma tra astrazione e realtà.
In questa confusa felicità deresponsabilizzata è il marketing a tenere in vita il suo apparire. Giovanilismo e attivismo gioviale, movimentismo estemporaneo nell’immaterialità concettuale di una start up politica. Questo il respiro della sua azione, perfettamente compatibile con l’inganno della sua elezione. Le primarie aperte, difatti, hanno determinato una schizofrenia irreparabile. Il popolo della Schlein non accetta avversari alla propria sinistra, non tanto per convinzione, quanto per stile esistenziale. Per questo le sue prese di posizione per la pace appaiono fiacche e sterili; sembrano pronunciate per marcare un territorio di piazza, per stoppare l’avanzata inesorabile di una nuova e più realistica politicizzazione sociale contro la guerra.
I suoi tentennamenti muoiono a Strasburgo, dove il cuore autentico del Partito democratico ricorda a tutti noi il compito storico di quella combriccola. Rappresentare l’architrave del sistema istituzionale imperniato sul vincolo esterno, quello che ha volutamente fucilato la Costituzione repubblicana. Motivo per cui gli house organ del Partito democratico stanno scientificamente ignorando la manifestazione del 5 aprile contro il riarmo o al massimo cercano di ridicolizzarla, per rimarcare un’approssimazione dilettantesca degli organizzatori, contrapposta alla professionalità tecnica del fanatismo europeista.
Ma misconoscere la volontà della maggioranza degli italiani, contrari a una militarizzazione europea in tutte le sue forme, è atteggiamento tipico di quel fenomeno chiamato democratura. Nozione tanto cara ai periodici di regime quando si tratta di voler civilizzare gli estranei, ma poco utilizzata quando si dovrebbe ragionare sull’endemica mancanza di democrazia nei nostri sistemi politici, soggiogati dal multilivello decisionale; quel luogo asettico nel quel imperversa una certa sociopatia di apparato, che ha giurato fedeltà all’azienda Unione Europea, da difendere fino al martirio collettivo.
La scaturigine di questo arruolamento è il disprezzo persecutorio nei confronti della giustizia sociale, delle classi sfruttate, delle costituzioni che legittimavano il conflitto democratico. Il Partito democratico è l’estensore più convinto di questa retorica di spicciolo teppismo politico, pronta a disintegrare anche i maldestri equilibrismi di Elly Schlein.
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