di LUCIANO BARRA CARACCIOLO
Si esclude infatti che tale intervento peggiorativo sia retroattivo allorché ci si trovi di fronte ad un “rapporto di durata“, ove cioè la posizione soggettiva sostanziale (cioè il diritto a percepire la pensione) consista in un credito pecuniario, ma il suo adempimento da parte dello Stato, cioè il pagamento, si svolga nel tempo attraverso prestazioni (versamenti di denaro), di carattere periodico che si verificano nel futuro rispetto al sorgere del diritto alla prestazione.
2.
Nell’escludere la retroattività come carattere delle leggi che dispongono il peggioramento del trattamento pensionistico (o di qualsiasi altro diritto di prestazione verso lo Stato, d’altra parte), detto in pillole, si distingue grosso modo (
le formulazioni dottrinali e teorico giurisprudenziali sono tra le più varie e incerte) tra
fattispecie generatrice della posizione giuridica di vantaggio (nel caso delle pensioni, il raggiungimento di una certa età e l’aver versato un certo ammontare di contributi per un certo numero di anni)
ed effetti, protratti nel tempo, del rapporto giuridico (v.
qui, in specie note 20 e 22: cioè il pagamento periodico, tendenzialmente mensile, di assegni pensionistici, sarebbe un autonomo effetto giuridico, scisso dal sorgere del diritto e, come tale, soggetto alla legge del tempo in cui verrà erogata, purché non si chieda la restituzione delle rate precedenti erogate sotto la legge vigente al tempo del collocamento in pensione).
Se la “fattispecie generatrice” del rapporto di durata non è
rivalutata dalla nuova legge, cioè diversamente regolata a posteriori (come ben definisce Luciani parlando di “dissolvimento della retroattività”,
sempre qui, nota 117), – e in pratica,
se non viene ridisciplinato ex tunc lo stesso sorgere del diritto, fino al punto che la legge successiva arrivi a escluderne il riconoscimento “ora per allora”-, considerando costitutivi del diritto solo i diversi requisiti di età e contributivi ANCHE per chi fosse già andato in stato di quiescenza negli anni passati (in base ai requisiti della precedente legge),
si arriva comunemente a sostenere che un “taglio” delle pensioni in godimento, non risulterebbe retroattivo.
3. Questo modo di considerare le cose, ormai assolutamente prevalente in Italia, pone dunque un unico limite per così dire “estremo” agli effetti di QUALSIASI legge peggiorativa in materia pensionistica, (al fine di non considerarla retroattiva): quello di negare gli effetti della precedente legge (in vigore al momento del “pensionamento”) nell’aver GIA’ dato luogo al diritto a pensione.
Ma è anche da aggiungere (e se avete voluto leggere i links inseriti lo potrete approfonditamente constatare) che questo limite vale solo e sempre “dopo” la transizione del lavoratore nello stato di quiescenza: prima, durante la vita lavorativa del dipendente, in teoria, qualunque modifica della disciplina pensionistica sarebbe consentita, o almeno non incapperebbe nella qualificazione di retroattività, proprio perché, per definizione, non si è ancora perfezionata la fattispecie generatrice del diritto (alla prestazione).
4. Va anche ricordato che l’art.11 delle c.d. “preleggi” (preambolo al codice civile) prevede sì che “la legge non dispone che per l’avvenire; essa non ha effetto retroattivo“: ma questa indicazione è un mero principio posto in una fonte legislativa, mentre la Costituzione esclude la retroattività della solo legge penale, cioè “punitiva” (art.25). Quindi, una legge “civile” (nel senso ampio di “non penal-sanzionatoria”) successiva, che non intervenga in materia penale,non ha ostacoli a disporre in senso retroattivo e la retroattività delle leggi non penalistiche, in linea di principio, deve solo essere giustificata in base alla sua “ragionevolezza“.
5. Questo quadro presupposto,
non esclude che la Corte, o molto più raramente, Cassazione e giudici amministrativi, possano rinvenire altri profili di illegittimità di discipline peggiorative di prestazioni erogate dallo Stato, o anche, cosa che dal punto di vista finanziario pubblico assume lo stesso significato, peggiorative di pagamenti in corrispettivo dovuti dai privati che si trovino in un rapporto (di diritto pubblico) “di durata” con l’amministrazione (ad es; i canoni pagati dagli assegnatari di pubblici alloggi o dai concessionari di beni demaniali marittimi). Ma
non si tratta, appunto, di illegittimità
legate alla retroattività in sè.
Con una considerazione molto empirica e soggetta a valutazioni caso per caso, che risentono moltissimo delle convinzioni extratestuali, rispetto al dettato costituzionale, determinate dal senso comune generato dal controllo mediatico e dal connesso indirizzo politico affermatosi di forza nei rapporti sociali,
la Corte potrà giudicare certi peggioramenti legislativi della situazione di creditore dello Stato, entro rapporti a esecuzione periodica di prestazioni, come
irragionevoli o “non consentanei”.Cioè, secondo orientamenti ormai difficilmente prevedibili e sempre più restrittivi, la Cortepotrebbe ritenere questi peggioramenti “eccessivi“, perché troppo drastici o prolungati nel tempo: in genere si censura la non temporaneità del sacrificio, in quanto non commisurato alla durata dello stato di “emergenza” che lo giustifica, ovvero, si censura il suo incidere in una misura non sufficientemente graduata nel tempo.
6. La posizione attuale della giurisprudenza parrrebbe decisamente limitata ad affermare che “est modus in rebus“: e dunque si orienta nel senso che la formula del “legittimo affidamento“, che ha sostituito nella pratica quella della (esclusa) retroattività della legge peggiorativa della condizione, costituzionalmente tutelata, di lavoratori (e operatori economici in genere), operi essenzialmente come graduazione e attenuazione nel tempo della restrizione dei diritti sociali. Questa restrizione viene ritenuta, comunque, “finanziariamente” lecita in linea di massima, salvo temperamenti apportati caso per caso (per la pensione come per il pagamento di corrispettivi per il godimento di beni pubblici, sia pur essenziali secondo le norme costituzionali).
Ma questa moderazione quantitativa e questa gradualità sono affidate, per definizione, a un concetto di “legittimo affidamento” storicamente mutevole: ciò che ieri, o qualche decennio fa, poteva apparire un’irragionevole ed eccessivamente drastica, e non graduale,privazione di utilità economiche erogate dallo Stato, via via, fino ad oggi, muta di senso.
Questo nuovo e inarrestabile “senso” si sviluppa sulla base
della
assoluta convinzione(anch’essa extratestuale rispetto alla Costituzione)
che il risanamento finanziario dei conti dello Stato, imposto dalla benefica e moralizzatrice adesione agli obblighi imposti dalla partecipazione all’Unione europea, sia sempre più un obiettivo prevalente e assolutamente ragionevole, in quanto tale risanamento sia imposto dalla “scarsità di risorse” e dalla finalità di “promuovere la crescita”.
Siamo nell’ambito del
perseguimento di un unitario disegno che considera in termini morali (come ogni
rivendicazione anticasta, che si
manifesta esclusivamente col pre-giudizio di immoralità dell’intervento dello Stato nel perseguimento dei suoi fini costituzionali essenziali), un problema di democrazia sociale: cioè ad un’esigenza di “rimozione degli ostacoli” che, anzitutto, si legava alla
possibilità di tutti, anche dei meno abbienti, di partecipareeffettivamente alla vita politica del paese: senza provvidenze mirate a coprire sul piano previdenziale chi si fosse dedicato a svolgere ruoli elettivi al servizio del paese, solo gli abbienti e coloro che siano i mandatari di questi potrebbero dedicarsi alla politica attiva (e all’elettorato passivo).
E’ anche ovvio che
chi, tra gli eletti, come in concreto risulta dalla composizione professionale dei parlamentari (
sempre più negli ultimi decenni, imprenditori, grandi professionisti e dirigenti d’azienza),
disponesse di redditi e patrimoni di rilevante consistenza, non dovesse essere, in radice, destinatario di provvidenze, indennitarie come previdenziali, di cui non avrebbe altrimenti avuto alcun reale bisogno: o almeno avrebbe dovuto esserlo nella ridotta misura rapportata alla sua effettiva condizione economica.
8. Il fatto di aver affidato all’auto-gestione dei detentori del potere legislativo la fissazione della esatta e sempre crescente misura delle proprie provvidenze, come pure di ogni altra indennità per l’esercizio delle funzioni, e che ciò abbia dato luogo ad abusi, che urtano il senso comune, non esclude che permanga la validità di un sistema che tuteli la fasce sociali più deboli consentendogli di essere rappresentate nelle assemblee elettive.
Una correzione ragionevole degli eccessi che si sono accumulati nel tempo, purtroppo, non è resa possibile da questa situazione di radicale conflitto di interesse creato da decidenti che disciplinano i propri stessi interessi economici.
Il “giochino”, in compresenza della crisi finanziaria pubblica permanente (qualificazione insostenibile sul piano della corretta individuazione di cause/effetti, e di cui la Corte costituzionale stenta a rendersi conto per le ragioni sopra esposte) in cui viene gettato lo Stato a seguito dell’adesione alla moneta unica e ai vincoli fiscali conseguenti, è andato troppo oltre: ne discende una perdita di consenso che mette in pericolo la prospettiva di rielezione, per cui si corre ai ripari proponendo alla “gggente” uno scambio tra il “merito” di essere divenuti fanatici sostenitori dell’abolizione di privilegi (di cui non si riconosce più l’originaria finalità di democrazia sostanziale), e la riconquista della popolarità in quanto crociati moralizzatori.
9. Ma poiché si tratta di un unico disegno realizzato in “crescendo”, – oltre a rinunciare a fare quello che sarebbe più logico, cioè rivedere secondo canoni di ragionevolezza e di attualità l’insieme delle norme auto-dettate che regolano i vari compensi dei parlamentari, magari fissando una volta per tutte criteri veramente trasparenti, che rendano tali disposizioni vincolate a oggettivi parametri esterni e determinati da soggetti terzi ed imparziali-, si generaun altro effetto.
E questo ulteriore effetto appare poi in effetti la “vera posta in gioco” di tutta la faccenda, rendendo la finalità della riconquista della popolarità nella veste di “pentiti della casta” un mero scopo esteriore e strumentale: e invero, si pone il precedente che l’applicazione di quasi qualunque drastica e non graduale riduzione dei diritti previdenziali sia accettabile,a maggior ragione se l’esempio è dato da chi sta per deliberarne di molto più estese e generalizzate per tutti i lavoratori.
Insomma, si pone una nuova frontiera nell’assottigliare, fin quasi ad azzerarlo, il “legittimo affidamento”: la suggestione che ne risulta è del tutto irrazionale.
10. Se infatti si era esagerato coi vari compensi dei parlamentari, la rinuncia ad una complessiva rimodulazione ed oggettivazione neutrale della materia, lascia il campo al solo criterio che, in effetti, si vuole affermare: ogni trattamento pensionistico, futuro o in godimento, può essere rivisto in base all’integrale calcolo contributivo.
11. E poco importa se l’idea di rideterminare in peius le pensioni in godimento o in procinto di essere maturate non sia conforme al criterio dell’adeguatezza che, l’art.38 Cost., imponeva di estendere e proseguire proprio rispetto alle “future generazioni”, sicché far stare male, e progressivamente peggio, tutti i lavoratori non è un rimedio all’ingiustizia già perpetrata in nome de L€uropa, ma solo il perseguimento “militarizzato” e avallato dalla Corte costituzionale, dell’assetto sociale implicito nell’euro.
Quell’assetto che Carli, pur principale ideatore e propugnatore del “vincolo esterno”, sapeva essere scientemente perseguito dalla
moneta unica in quanto ad effetti equivalenti al gold standard (
qui, p.4) e che, appunto, Carli stesso descriveva così (
p.8):
“…il ritorno alla convertibilità aurea generalizzata implicava governi autoritari, società costituite di plebi poverissime e poco istruite, desiderose solo di cibo, nelle quali la classe dirigente non stenta ad imporre riduzioni dei salati reali, a provocare scientemente disoccupazione, a ridurre lo sviluppo dell’economia”.
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