Merito del Jobs Act?
di CARLO CLERICETTI
Interessante la tesi di Matteo Renzi e di tutto il governo. Sarebbe merito del Jobs Act il fatto che il numero di occupati abbia raggiunto i 23 milioni per la prima volta dal 2008. Ora, a parte che siamo ancora al di sotto del massimo di allora, sorge spontanea una domanda: ma come diamine ci si era riusciti, visto che nel 2008 il Jobs Act non c’era? Non solo: c’era anche il famigerato art. 18, ancora nemmeno indebolito dalla prima modifica del governo Monti.
La propaganda renziana ignora – o finge di ignorare – che nessuna legge crea posti di lavoro. Se l’occupazione aumenta ciò è dovuto alla crescita dell’economia, che sarà pure deboluccia, ma va pur sempre meglio di quando i dati sulla variazione del Pil erano negativi o poco sopra lo zero. Le leggi servono per influenzare le condizioni del lavoro, e sarebbe ardito affermare che oggi siano migliori che nel 2008.
La rilevazione Istat, infatti, ci dice anche che – rispetto a un anno prima – i dipendenti con contratto a tempo indeterminato sono aumentati appena dello 0,6%, mentre i contratti a tempo determinato segnano un + 11,7%, proseguendo in un trend che le ultime leggi sul lavoro hanno accentuato. Questo senza dimenticare che per chi è stato assunto dopo il Jobs Act “tempo indeterminato” vuol dire semplicemente che non si sa quanto durerà il contratto, visto che licenziare è diventato facile e poco costoso.
Anche il presidente francese Macron ha appena varato una legge sul lavoro il cui punto principale è di portare la contrattazione al livello aziendale, lasciando a quella nazionale un ruolo men che residuale. La logica è di frammentarla il più possibile, in modo da stroncare il peso politico dei sindacati. E questo, se vogliamo fare una previsione, sarà il prossimo obiettivo anche in Italia.
Ma allora, fanno tutti così perché “ce lo chiede l’Europa”?
In realtà ce lo chiede una classe politica e tecnocratica trans-nazionale che, indipendentemente dalla casacca di partito che indossa, per convinzione o per interesse (non importa) fa di tutto per ridurre quel po’ di potere che i lavoratori si sono conquistati nel secolo scorso, in base alla teoria che così l’economia andrà meglio. Il che è più che dubbio, mentre è certo che vanno meglio i profitti di chi le aziende le possiede. Finché i cittadini continueranno a votare per questi politici, le cose andranno così.
Fonte:http://clericetti.blogautore.repubblica.it
Commenti recenti