Geopolitica Esercitazioni cinesi al largo di Taiwan: la posta in gioco nello scontro tra Washington e Pechino
di Report Difesa: Fabrizio Scarinci
PECHINO. Questa mattina, alle sei ora italiana, le Forze Armate della Repubblica Popolare Cinese hanno dato il via alla più vasta campagna di esercitazioni militari mai condotta a ridosso di Taiwan.
Incentrate prevalentemente su scenari di tipo aeronavale e costiero, tali attività (che si concluderanno non prima del prossimo 7 agosto) si starebbero svolgendo “a fuoco vivo”, con l’impiego di proiettili d’artiglieria e missili di precisione all’interno di sette aree appositamente interdette alla navigazione e al sorvolo, alcune delle quali collocate addirittura a meno di dieci miglia dalle coste del Paese.
Questa iniziativa va, ovviamente, interpretata come la risposta di Pechino alla visita della speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti Nancy Pelosi a Taiwan, che secondo le autorità della Repubblica Popolare avrebbe costituito una palese violazione della propria sovranità sull’isola.
In concomitanza con l’esercitazione Taipei ha ovviamente allertato le sue difese, definendo irrazionale il comportamento di Pechino e sottolineando l’importanza di tenere il proprio strumento militare “pronto alla guerra pur senza cercare la guerra”.
Profonda preoccupazione sarebbe stata espressa anche dal Giappone, dove fonti locali ritengono probabile un’imminente accelerazione del dibattito politico riguardo al comportamento che Paese dovrebbe tenere nel caso in cui Pechino decidesse davvero di invadere l’isola.
Ad essere coinvolto nella crisi anche il G7 nel suo complesso, che avrebbe inviato a Pechino un comunicato congiunto con la richiesta di “evitare di agire in modo eccessivamente aggressivo e di non cercare cambiare unilateralmente lo status quo con l’uso della forza” solo per vedersi rispondere dal ministro degli Esteri della Repubblica Popolare Wang Yi che a innescare la crisi sarebbero stati gli americani, che con la provocazione dell’altro ieri avrebbero creato un pessimo precedente che ora andrebbe necessariamente “corretto e contrastato”.
Dal canto suo, Nancy Pelosi si è detta convinta del fatto che la sua breve permanenza sull’isola (durata in totale meno di 20 ore) sarebbe stata sufficiente a lanciare un segnale chiaro ed inequivocabile sul fatto che gli USA “non avrebbero mai abbandonato un alleato democratico come Taiwan”.
Nonostante il plauso bipartisan ottenuto in patria, nelle ultime ore diversi commentatori americani e stranieri non hanno rinunciato a sottolineare come la speaker avrebbe agito in tal modo sotto la spinta dal suo enorme ego e solo al fine di lasciare nella Storia una traccia di sé.
Naturalmente, non è questa la sede per analizzare l’ego di Nancy Pelosi (che senz’altro molto piccolo non sarà). Tuttavia, a prescindere dalle sue motivazioni personali, appare chiaro come, nel corso dell’ultimo quindicennio, gli USA abbiano dato in diverse occasioni l’impressione di essere una superpotenza strategicamente (e, in parte, anche internamente) “affaticata”, e come, col tempo, questo abbia contribuito a far sì che russi e cinesi iniziassero a pensare di poter ridisegnare a loro vantaggio la mappa dei rapporti di forza globali.
In tale contesto, il recente ritiro dall’Afghanistan, parte di una voluta e articolata revisione strategica ma gestito in modo a dir poco disastroso, dev’essere senz’altro apparso come una sorta di “luce verde”; considerando che di lì a poco Mosca avrebbe iniziato ad ammassare le sue truppe a ridosso del confine ucraino e Pechino avrebbe vistosamente intensificato le proprie incursioni aeree nei cieli di Taiwan.
Alla fine a rompere gli indugi sarebbero stati i russi, che avrebbero attaccato Kiev cercando di far leva sulle divisioni interne al mondo occidentale e sulla debolezza politica dell’Amministrazione Biden.
Tuttavia, le cose sarebbero andate in modo molto diverso rispetto a quanto avevano auspicato, poiché, avendo compreso l’entità della posta in gioco, gli USA non hanno potuto fare a meno di reagire; sia supportando le forze militari dell’Ucraina invasa (cosa che già di per sé costituisce messaggio importante; non solo per i russi ma anche per gli stessi cinesi), sia intraprendendo una serie di azioni volte a ribadire la propria volontà di proteggere l’indipendenza de facto di Taiwan anche facendo ricorso ad un intervento militare diretto.
Alla luce di ciò, comunque la si giudichi sul piano personale, l’iniziativa di Nancy Pelosi appare pertanto assolutamente in linea con gli attuali orientamenti strategici dell’Amministrazione statunitense, che in questa fase sembrerebbe aver riscoperto l’importanza di mostrare i muscoli al fine di non subire l’iniziativa avversaria.
La Cina, nn è al momento in grado di attaccare gli usa. Questo nn vuol dire che non lo faccia in altro modo. È un dare e avere… Attaccheranno quando gli usa, saranno in forte debolezza…