M5S-Lega vogliono andare al governo, e l’euro non è più un problema
di LINKIESTA (Alessandro Franzi)
Di Maio e Salvini hanno cercato di convincere la platea europeista di Cernobio. Uscire dalla moneta unica non è più la priorità, porta con sé troppe incognite e ci sono questioni identitarie più forti di quelle economiche. Ma la critica all’UE resta, pur sotto traccia.
Non c’è più un solo partito italiano, fra quelli che siedono in Parlamento, che chieda ufficialmente l’uscita dell’Italia dall’euro. E nemmeno, dunque, dall’Unione Europea. Movimento 5 Stelle e Lega Nord – fino a pochi mesi fa i due alfieri dell’euroscetticismo più spinto – hanno sancito la svolta nel salotto buono di Cernobbio, a pochi mesi dalle elezioni Politiche. Al forum Ambrosetti, gli aspiranti premier Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno spiegato la loro idea alternativa di Italia a manager e banchieri, che ancora li guardano con studiata prudenza. Ma non hanno affondato la lama nel tema più destabilizzante, quello che metterebbe maggiormente in discussione le attuali relazioni di potere. L’abbandono della moneta unica, appunto.
Grillini e leghisti hanno una nuova missione: rassicurare, far vedere di essere affidabili, mostrare il volto costruttivo della loro irruenta cavalcata politica. E’ stata una scelta esplicita, una scelta che è però maturata nel tempo e non è stata improvvisata (solo) per blandire Cernobbio. Tre anni e mezzo fa, alle elezioni europee del 2014, i partiti anti-Ue dettarono l’agenda politica continentale. In Italia, M5S e Lega presero il 21,16% e il 6,15% contestando frontalmente non solo le politiche economiche dell’Ue (l’austerity) ma anche il suo impianto istituzionale considerato privo di controllo democratico. Il partito di Beppe Grillo chiedeva un referendum consultivo sulla permanenza dell’Italia nell’euro, entrando a far parte dello stesso gruppo parlamentare dell’Ukip, di lì a due anni principale vincitore del referendum per la Brexit. Il partito di Salvini aveva promosso un lungo ‘Basta euro’ tour in giro per l’Italia e prometteva di uscire direttamente dal sistema monetario europeo, facendo squadra invece con il Front National di Marine Le Pen.
Sembra passata un’epoca.
Alle elezioni europee del 2014, i partiti anti-Ue dettarono l’agenda politica continentale. In Italia, M5S e Lega presero il 21,16% e il 6,15% contestando frontalmente non solo le politiche economiche dell’Ue (l’austerity) ma anche il suo impianto istituzionale considerato privo di controllo democratico
A Cernobbio, Di Maio ha confermato con parole circostanziate quello che già il Movimento aveva anticipato nei mesi scorsi: “Noi vogliamo restare nell’Ue e discutere alcune delle regole che stanno soffocando e danneggiando la nostra economia. Anche ai soldi che diamo al bilancio europeo ogni anno devono essere un tema da sottoporre alle altre nazioni. Sulla politica monetaria abbiamo avuto il merito di scatenare il dibattito, e a questo è servito il tema del referendum sull’euro come peso contrattuale, come estrema ratio”. Salvini ha assicurato che “la sovranità monetaria” resta una priorità, diverso è il come declinarla: il suo responsabile economico, Claudio Borghi Aquilini, ha spiegato che serve una strategia di lungo periodo, perché attualmente non ci sono le condizioni “per un’uscita coordinata”.
Hanno cambiato idea sull’Europa? No. E’ cambiata solo l’aria. Perché 5 Stelle e Lega restano critici, ma si sono orientati verso la richiesta di rinegoziare i trattati comunitari per ottenere maggiori vantaggi all’Italia, una volta conquistata la guida del governo nazionale. Le loro previsioni di un crollo imminente dell’Ue non si sono rivelate giuste. E hanno probabilmente capito che l’incognita del dopo euro impaurisce gli italiani ma soprattutto gli imprenditori presso i quali vogliono accreditarsi come forza di governo. La Brexit resta un mito politico positivo, ma la confusione che ne è seguita lo è un po’ meno. Del resto anche la Le Pen, in vista del secondo turno delle presidenziali francesi, aveva dovuto dire che l’uscita dall’euro non era più la priorità. Da lì è cambiata la retorica anti-europeista anche in Italia.
Oltre a questo, c’è un cambio di scenario complessivo. Se nel 2014 il problema era la Grecia, era la crisi finanziaria ancora acuta, nel 2017 si inizia a guardare avanti. Servono ricette nuove per l’economia: Di Maio dice ‘smart nation’ con investimenti in tecnologia, Salvini dice ‘flat tax’ con un’aliquota del 15% uguale per tutti. E soprattutto i nemici sono aumentati e diventati più inquietanti, si sono aggiunti l’immigrazione, la sicurezza, il terrorismo islamista. L’unico che a Cernobbio ha difeso apertamente la sua idea di smantellare non solo la moneta unica ma tutta l’Unione Europea è stato l’olandese Geert Wilders, che ha sottolineato: “Il problema non è l’economia, ma la nostra identità”. E’ su questa che si giocheranno le prossime elezioni in Europa, non tanto sui tecnicismi.
Ecco, dunque, che il tema euro tira meno di prima. C’è tempo ancora per combattere la moneta unica apertamente. Lo si farà domani. Anzi no, dopodomani. Quando tornerà utile.
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