Come vincere la trappola razzista?
di SENSO COMUNE (Stefano Bartolini)
Il ragionamento è semplice e penetrante: esiste un complotto a favore degli immigrati. Artefici di tale complotto sono degli anti italiani – genericamente intesi – che operano per togliere ai nativi e dare agli stranieri. Lo slogan che sintetizza come combattere il complotto è a sua volta breve ed efficace: prima gli italiani.
Con questa articolazione di base tale racconto è adottato da tutti quelli, dalla Lega nord a Casa Pound, che fanno del razzismo e della lotta all’immigrazione il perno della proposta politica. Subito dietro, il corollario aggiunto da destra è che il fine ultimo del complotto sia l’imbarbarimento dell’Italia, un attacco alla razza e alla cultura nazionale, a non ben precisati valori “italici”, tramite l’immissione di stranieri (neri, mussulmani, arabi, gente dell’est) e via dicendo. In pratica, una attualizzazione di idee fasciste non dissimile da quelle che portarono diritte ad Auschwitz.
A complicare il quadro si innestano le difficoltà che accompagnano la convivenza di culture storiche vicine e lontane al tempo stesso, insieme al drammatico fenomeno del terrorismo. Poco importa poi che la destra converge proprio con chi addita a nemico (come l’ISIS) nell’attaccare valori genuinamente italiani e costituzionali come la laicità, la presenza pubblica delle donne, la convivenza fra identità religiose e culturali diverse in una stessa comunità. Questi aspetti restano nell’ombra e quello che passa è che sono loro che si pongono il problema della sicurezza e della difesa degli italiani. Sullo sfondo, un permanente razzismo pronto a giocare la sua parte.
Ovviamente il complotto non è reale. Le migrazioni di massa sono un fenomeno storico epocale iniziato da diversi decenni che non possiamo ignorare – e che conosce in questi anni un’intensificazione – senza un centro coordinatore, una mente. E non sono nemmeno tutte uguali. Non ci sono solo differenze fra i paesi di provenienza, esistono anche fra chi è arrivato 10, 20, 30 anni fa e chi oggi. C’è un conflitto latente tra gli immigrati vecchi e nuovi, laddove i primi non si riconoscono nei secondi e capita che esprimano ostilità. E non è vero che minano il nostro Paese. Vi ricordate degli albanesi? Sembravano la fine del mondo a sentire la destra, oggi non li notiamo più nemmeno.
Quello che è reale è la spregiudicatezza con cui imprenditori grandi e piccoli, italiani e stranieri (come i cinesi di Prato) si approfittano di questo fenomeno (il capitalista è sempre un avvoltoio pronto a profittare delle circostanze che si presentano), procurandosi manodopera a prezzi stracciati se non schiavistica, compiacendosi del risultato collaterale che innesca una competizione al ribasso tra italiani e stranieri, anestetizzando eventuali lotte per i diritti. Ed è reale che trovano politici pronti ad assecondare i loro istinti rapaci, come l’idea di contratti con meno diritti e meno retribuiti per favorire l’inserimento degli immigrati, utile a portare avanti la linea della deregolamentazione e della frantumazione del lavoro, ma che si risolverebbe in una fabbrica di fascismo.
Quello che è reale è la trappola in cui cadono quelli che si oppongono alla teoria del complotto, finendo per foraggiarla. Si attaccano gli immigrati? Immediata indignazione, proclami, mobilitazioni. La protesta è legittima, persino dovuta, ma scatta la trappola allorché arriva la replica: “vedete, loro difendono solo gli immigrati, importano i terroristi, solo noi difendiamo gli interessi degli italiani”. Poco conta se tra quelli che si mobilitano ci sia chi (attivisti, sindacati, associazioni, comitati) in altre occasioni manifesta per difendere tutta la popolazione, non si nota, non viene percepito o comunque ormai si vuole una precedenza, i media amplificano il megafono razzista (mai quello delle lotte sociali, che anzi vengono ribaltate come se fossero nocive, vedi il caso dei voucher), e la frittata è fatta.
Quello che è vero è che chi si oppone ai fascisti, per paura di dargli spazio, finisce per sottacere, o addirittura negare, l’esistenza di problemi concreti legati all’integrazione di natura sociale, culturale, religiosa, valoriale e democratica, ed anche le pecche del nostro sistema di accoglienza e inserimento, finendo a volte per difendere l’indifendibile (un po’ come per l’Europa, dove si ripete la stessa forma mentis, per paura di aprire il campo alla destra si negano i problemi, lasciando libere praterie).
Sempre su questa scia, si assiste a isterismi veri e propri, si grida al razzismo in ogni occasione, per conflitti di ogni tipo, siano essi episodi di bullismo adolescenziale o questioni legate alla difficile convivenza in quartieri poveri e disagiati, o perplessità, se non inquietudini, rispetto ai migranti (spesso espresse dalle donne), oppure approcci genuinamente laici, perdendo la capacità di lettura dei casi concreti, di intervento ragionato, e inimicandosi fette di popolazione che si sentono additate (“siete degli ignoranti”), attaccate, non comprese nelle loro paure ed esigenze. In pratica, un’opposizione fatta così finisce per alimentare esattamente quello che vorrebbe combattere.
Certo queste dinamiche da sole non basterebbero, c’è una combinazione di fattori più profondi, strutturali, che fanno si che la teoria del complotto attecchisca. L’Italia non ha mai fatto i conti con il razzismo nazionalista e fascista, favorendo la favola dell’italiano buono e bravo – colpa trasversale a tutta la classe politica – e facendo sì che nelle pieghe dei modi di pensare sopravvivessero elementi razzisti pronti ad essere riesumati per convincere gli italiani del pericolo dell’infezione straniera. Un lavoro lungo, che dovrebbe investire la didattica, la formazione, la proposta culturale diffusa e chi produce cultura di massa (cinema, TV…), ma che le politiche ufficiali continuano a ignorare.
Inoltre il Paese è impoverito, vittima di crisi, austerità, tagli alla spesa, privatizzazioni, disoccupazione, precarietà. L’ascesa sociale è bloccata se non invertita. Per gli italiani far quadrare i conti è un rompicapo, ed ogni volta che provano a chiedere un servizio o un sostegno si accorgono che c’è sempre meno, ma non manca una burocrazia ostile. Indipendentemente dal colore politico, i governi hanno seguito i dettami liberisti e aumentato l’insicurezza distruggendo i diritti del lavoro, smontando la sanità, deprimendo i salari e le pensioni (un miraggio per molti ormai). Gli italiani non si sentono, a ragione, aiutati da chi li governa.
In queste condizioni, la popolazione è spinta ad una lotta per risorse che scarseggiano: servizi, sussidi, lavoro, case. Non dovrebbe sorprendere se chi si trova a barcamenarsi nella totale latitanza dello Stato si senta tradito e minacciato. C’è chi arriva alla disperazione e chi emigra all’estero. Ma la percezione è che invece per i “profughi” i soldi ci sono. Su questo crinale la teoria del complotto trova terreno fertile, si diffonde e si carica di bufale, come i 35 € al giorno, o il varo di leggi e norme per favorire gli immigrati, o addirittura l’idea che vengano pagate pensioni maggiorate ai rumeni. Quando le risorse mancano, chi può accampare un diritto di precedenza lo fa. In realtà non sono i migranti che “rubano” le risorse ma le politiche di austerità. Anche il sistema di accoglienza è senza fondi, vittima dei tagli alla spesa. Chi ci lavora con competenza è costretto a farlo con una carenza d fondi che non permette di operare nei modi necessari, e magari con contratti decenti. Non a caso assistiamo al fenomeno degli stabili occupati, dove le persone vivono in condizioni tragiche.
I soldi per l’accoglienza e l’integrazione vengono negati così come vengono negati per gli italiani, in entrambi i casi con miseri stanziamenti che bastano appena a mantenere una parvenza di intervento pubblico, per seguire ideologicamente politiche di contrazione della spesa che colpiscono tutti. Poco importa se la stessa destra abbia dato un suo cospicuo contributo, quando era al governo, alla creazione di questa situazione di impoverimento, complicando anche la gestione dell’immigrazione con leggi che fabbricano situazioni di illegalità. Ormai se n’è persa memoria.
Ma come ne usciamo? Non con la fandonia dell’aiutiamoli a casa loro. Non solo perché segue l’idea dell’apartheid. Chi parla di stanziare fondi per la cooperazione internazionale (che ha comunque forti limiti), sono gli stessi che con l’austerità fanno sì che non vengano stanziati i fondi nemmeno per aiutarli a casa “nostra”. Per intervenire sul fenomeno (ed i primi ad esserne felici sarebbero proprio i migranti) andrebbero fatte cose che saremmo ben lieti di vedere. Andrebbe ridimensionata la capacità attrattiva dei paesi europei e messo in discussione il sistema economico globale riequilibrando al rialzo le condizioni di vita, cosa che nessuno è disposto a fare tant’è che non se ne parla. Andrebbero cambiate davvero le politiche ambientali per evitare i disastri del global warming. Andrebbero fermate guerre dietro a cui si celano le grandi potenze. Una strategia globale di inversione di rotta che non esiste oggi. Chi parla di aiutarli a casa loro mente sapendo di mentire.
Quello che serve, realisticamente e nell’immediato, oltre a incisive politiche culturali, è un allargamento della spesa pubblica che ribalti i dogmi europei dell’austerity(come scrivono Nencioni e Gabellini) per trovare le risorse per tutti, italiani e stranieri, e disinnescare il conflitto relativo. Non ci stancheremo mai di dirlo, il prerequisito dell’integrazione, senza il quale qualsiasi politica sociale e culturale è inefficace, è il benessere economico. Va contrapposta alla parola d’ordine del prima gli italiani un prima il popolo, italiano e straniero insieme. E fintanto che andranno avanti le cieche politiche liberiste perseguite tanto dalla destra che dal PD e dal M5S il benessere sarà un miraggio, con o senza migranti sul suolo italiano.
Ma ancor prima, c’è da contendere il terreno del consenso ai fautori della teoria del complotto, attraverso l’azione politica, che si articoli prima di tutto intorno alla sua efficacia. Non ci si può rinchiudere in mobilitazioni basate su parole d’ordine – ormai più etiche che politiche – che non hanno più nessuna presa (antifascismo, antirazzismo, multiculturalismo), ci piaccia o no. Chiedere più spesa pubblica per costruire il futuro, affiancando la richiesta con attività pratiche e quotidiane capaci di avere presa, di far sentire alla popolazione che ci si interessa di lei, aggregando le persone intorno ad un’autodifesa popolare che diventi una richiesta politica, con un nuovo mutualismo che difenda chi ne ha bisogno, chieda diritti ed evidenzi la necessità di immettere risorse. Un mutualismo capace di strappare la rabbia della gente dalla fascinazione della teoria fascista del complotto.
Un’attività che diventi anche ascolto, capacità di lettura e comprensione, senza bollare di razzismo chiunque evidenzi le proprie difficoltà o paure. C’è da riconquistare un’ampia porzione della società, non è certo schifandola che questo avverrà. Una solidarietà che integri e crei fondi, attività, financo lavori. Siamo ormai lasciati a noi stessi, e da qui si deve ripartire. Un nuovo mutuo soccorso capace di costruire valori comuni (sulla laicità, sull’emancipazione femminile…) e rilanciare il progresso. Un mutualismo, dunque, dalla parte della gente comune, italiana o immigrata, partecipato e non egoistico, che crei un senso di unione, di popolo, che avvicini le persone e sia in grado di mettere al centro le privazioni di cui soffriamo e le vie d’uscita dalla subalternità.
Fonte: http://www.senso-comune.it/stefano-bartolini/1059/
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