Lavoro, smascherati i trucchi del governo: il baratro dietro i dati Istat
di SECOLO D’ITALIA (Guglielmo Federici)
C’è ben poco da ridere. Nonostante l’ultima rilevazione dell’Istat abbia messo evidenziato che gli occupati a luglio di quest’anno, pari a poco più di 23 milioni di unità, sono tornati allo stesso livello del 2008, il monte ore lavorate, invece, è diminuito di oltre 1,1 miliardi (-5 per cento). Il che è grave. Vuol dire due cose di segno negativo: cala la produttività e chi lavora guadagna molto meno di quanto dovrebbe e potrebbe. Con stipendi più bassi, i consumi non aumentano in modo significativo e la qualità della produzione ne risente. Dite voi cosa c’è da ridere e gongolare. Parlare di crescita in queto contesto dignifica continuare un un bluff ormai patetico che si scontra con la realtà.
I numeri vanno letti e interpretati, non vanno sciorinati pedissequamente tentando di darla a bere agli italiani. E’ quanto si legge in uno studio della Cgia di Mestre che evidenzia così l’aumento dell’occupazione, ma a tempo parziale con un impatto rilevante sulla produttività. Nei primi 6 mesi del 2008, infatti, annota ancora la Cgia, i lavoratori italiani erano stati in fabbrica o in ufficio per un totale di 22,8 miliardi di ore, nei primi 2 trimestri di quest’anno, invece, lo stock è sceso a 21,7. “In buona sostanza se a parità di occupati sono diminuite le ore lavorate, rispetto al 2008 i lavoratori a tempo pieno sono scesie, viceversa, sono aumentati quelli a tempo parziale, dai contratti a termine al part time involontario, dal lavoro intermittente alla somministrazione”.
Stipendi in netto calo
Insomma, il lavoro è in crisi nera e i trucchi del governo per edulcorare i dati sono ormai intollerabili. Infatti, se nel 2008 i dipendenti full time erano l’86% del totale, 8 anni dopo il dato si è ridotto all’81%. Gli occupati a tempo parziale, invece, sono saliti dal 14 al 19% del totale. Un calo che ha impattato sulla produttività del lavoro che ha subito una contrazione molto importante sia nei servizi (-3,1%) sia nelle costruzioni (-7,1%), settori, questi ultimi, che danno lavoro al 79% del totale dei dipendenti presenti nel Paese. In calo anche la retribuzione media per occupato che ha registrato una forte contrazione: tra il 2008 e il 2016 è diminuita, al netto dell’inflazione.
I dati istat edulcorati dal governo
Eppure tutto il governo aveva sorriso di questi dati Istat, da Gentiloni a Padoan a Renzi, che – da par suo- si era ascritto a suo merito esclusivo questo micro-finto successo decretato dai dati Istat. I numeri però vanno letti e a leggerli c’è da essere seriamente preoccupati. Lavorare meno ore e precariato rappresentano il fallimento del Job’s Act e della politica economica del governo. “Nonostante abbiamo recuperato gli occupati che avevamo prima della crisi -dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo- ciò è avvenuto a scapito della qualità dei nuovi posti di lavoro e della diminuzione della produttività nei settori più importanti che hanno trascinato verso il basso anche i livelli retributivi pro capite“.
Oltre a ciò, ricordano dalla Cgia, rispetto alla situazione pre-crisi l’Italia deve recuperare tra i principali indicatori economici 3 punti percentuali di consumi delle famiglie, 5,8 punti di Pil, 7 punti di reddito disponibile delle famiglie e ben 24,4 punti di investimenti. “Speriamo -conclude il segretario Renato Mason- che con la legge di Bilancio 2018 le risorse a disposizione vengano utilizzate per ridurre le tasse, in particolar modo attraverso il taglio dell’Irpef. Solo così possiamo sperare di rilanciare con vigore i consumi interni che, ricordo, costituiscono la componente più importante del nostro Pil”. Ma da questo orecchio il governo non sente molto, visto che nel 2017 le tasse che dovremo pagare – tra quelle già pagate e quelle in arrivo i prossimi mesi – ammontano a 8mila euro a famiglia. Un massacro, appunto.
Pil Italia penultimo in Ocse, peggio solo la Grecia
(ANSA) Il pil italiano è cresciuto nei primi due trimestri 2017 ma il livello resta inferiore a quello del 2010 con un andamento negli ultimi sette anni che risulta il peggiore tra i paesi Ocse dopo la Grecia (e pari al Portogallo): lo si legge nel rapporto mensile Ocse relativo ai primi due trimestri del 2017 secondo il quale il Pil in Italia nel secondo trimestre ha raggiunto 99,1 punti, fatto 100 il 2010, in aumento rispetto ai 98,7 del primo trimestre.
La media Ocse, riferita al primo trimestre dato che per il secondo mancano i dati di alcuni paesi è di 113,3 punti. La Grecia (ultimo dato è riferito al primo trimestre) è a 81,6 punti mentre la Germania nel II trimestre segna 112,6 punti, la Francia 107,6, il Regno Unito 114 punti e Gli Stati Uniti 115,2.
La Spagna che ancora nel 2014 registrava una perdita di Pil peggiore di quella italiana segna, sempre nel secondo trimestre, 104,8 punti. Nel primo trimestre l’Italia ha registrato un avanzamento del Pil dello 0,4% (+0,5% la media Ocse) così come nel secondo trimestre, piazzandosi comunque tra i paesi con la crescita più lenta.
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