Disoccupazione, precarietà e asimmetrie
di ALBERTO BAGNAI
Sono usciti gli ultimi dati sull’occupazione e Americo Mancini mi ha appena intervistato per il GR1 delle 24:00 (e poi delle 6:00 o delle 8:00, non ricordo bene). La situazione si presenta così:
Dopo un 2015 sostanzialmente piatto, più o meno dal novembre 2016 si intravede una certa moderata diminuzione, che ci riporta ai valori dell’autunno 2012. Certo, una differenza c’è: allora la situazione stava rapidamente peggiorando, grazie a Monti e alla sua distruzione di domanda (cioè di vostro reddito): oggi sta lievemente migliorando. Ma, appunto: lievemente! Il problema è che la variazione media del tasso di disoccupazione dal novembre 2016 a oggi è di -0.1 al mese, il che significa che occorrerebbero 52 mesi per tornare ai livelli di disoccupazione precrisi, attorno al 6%.
La domanda è: siamo sicuri di avere davanti a noi 52 mesi di queste condizioni relativamente favorevoli (non per tutti, fra l’altro): bassi tassi di interesse, bassi prezzi delle materie prime, nessun rilevante shock finanziario esterno (sull’interno mi taccio per carità di patria)?
Secondo me è improbabile.
Va anche detto che osservando i dati si nota questo:
Da quando il tasso di disoccupazione ha accennato una timida discesa, la percentuale di dipendenti con contratti a termine ha marcato una successione di massimi storici, fino a raggiungere il 16.5% nello scorso mese di agosto. Che in agosto ci sia un picco di contratti a termine è un dato ovvio. Il punto è che il picco di quest’anno è il più alto mai raggiunto.
Qualcuno potrebbe parlare di “successo delle riforme”! Vedi? Evidentemente è vero che precarizzare riduce la disoccupazione!
Certo, però… non aumenta la domanda! Il lavoratore “a termine”, a meno che non sia un inguaribile ottimista (o un incosciente) credo che tenderà a tenerseli ben stretti i pochi soldi che guadagna. E se lui non spende, qualcun altro non guadagna (insomma: voi lo sapete: si chiama moltiplicatore keynesiano…).
Il nostro governo, quindi, se fosse effettivamente il governo di noi, dovrebbe fare politiche più incisive, e in particolare violare (e poi discutere) le famose “regole europee”, il cui nonsenso è ormai acclarato. Invece non lo fa: preferisce stare a rimorchio della debole crescita altrui:
Ma questa strategia passiva non è particolarmente propizia, e ci espone a rischi. Diceva stamani Stefano Feltri alla rassegna di Radio3 (nonostante non sia quasi mai d’accordo con lui, ascoltarlo è stato una boccata di ossigeno, il che vi fa capire per quale deserto di luogocomunismo spicciolo siamo passati nelle settimane scorse), diceva Stefano che quando gli altri paesi peggiorano, noi facciamo un disastro, mentre quando vanno bene, noi andiamo benino. Non ha tutti i torti. Coi dati in figura, la situazione si presenta così:
Quando il tasso di crescita dell’Eurozona aumenta di un punto, il nostro aumenta di 0.86 punti, e quando diminuisce di un punto il nostro diminuisce di 2.10 punti! Naturalmente ci vorrebbe un campione più lungo, ecc. (aspettiamo gli espertoni, siamo qui per servirli). Resta il fatto che questa asimmetria nei dati c’è (e ci sono anche fior di modelli che la spiegano). L’implicazione in termini di politica economica è che stare ad aspettare gli altri non ci conviene. Nel senso che non conviene a noi cittadini. Al governo, evidentemente, sì…
fonte: http://goofynomics.blogspot.it/2017/10/disoccupazione-precarieta-e-asimmetrie.html
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