Sul referendum unilaterale catalano
di ANTONIO GISOLDI (FSI Bologna)
Il 90 per cento (i Sì) del 42 per cento (gli aventi diritto che hanno votato) fa il 37,8 per cento dei catalani che si sono espressi a favore dell’indipendenza.
SOLO il 37,8 per cento ha dunque deciso un atto enorme come l’indipendenza dallo Stato spagnolo (e comunque con procedure di voto lontane dall’essere impeccabili).
Nei giorni precedenti il referendum, inoltre, è stato pubblicato un sondaggio su El Pais che mostrava come il 61 per cento dei catalani ritenesse privo di validità legale il referendum promosso dal governo autonomo di Barcellona.
Di più: un altro sondaggio per La Vanguardia a fine giugno mostrava la grande eterogeneità della Catalogna rispetto alle questione del referendum: il 71 per cento voleva sì un referendum, MA solo il 37,8 per cento voleva un referendum unilaterale e non concordato con lo Stato (quale quello che si è svolto). Inoltre solo il 26 per cento dei catalani considerava l’indipendenza come la migliore soluzione tra tutte quelle possibili, laddove il 36,8 per cento preferiva una riforma della Costituzione e il 20,6 per cento un’interpretazione diversa del dettato costituzionale (che permettesse un sistema finanziario-fiscale più favorevole alla Catalogna).
Al netto di altre considerazioni, quali il modo in cui è stato gestito politicamente il processo di avvicinamento al referendum e sopratutto il contesto economico in cui è venuto a maturare (la drammatica crisi spagnola, dovuta in origine agli squilibri economici determinati dall’adesione alla moneta comune, e che ha poi portato all’adozione di misure di austerità) si dovrebbe riconoscere, se davvero si è amanti del principio dell’autodeterminazione dei popoli, che qui un “popolo” che si vuole autodeterminare attraverso un atto di rottura come l’indipendenza dalla Spagna non c’è.
Un’altra cosa deve esser fatta notare, ed è fondamentale (più della altre considerazioni sopra esposte): fino a 10 anni fa l’indipendentismo era un fenomeno che interessava una quota assolutamente minoritaria della popolazione (il 10-15 per cento), mentre ora, dopo la crisi economica e la gestione scellerata della stessa in ossequio alla “logica dell’Euro”, che esige austerità e “svalutazione interna” dei salari diretti e indiretti, interessa il 40-45 per cento della popolazione, soprattutto con riguardo alla classe media e i giovani (guarda caso le categorie che hanno subito maggiormente la crisi economica).
Se ne deduce che tutto quello che sta avvenendo in Catalogna non è che, alle fondamenta, il fallimento dello Stato spagnolo non tanto nel gestire politicamente l’indipendentismo catalano (per quanto si siano fatti errori anche in quel senso) ma nel gestire opportunamente la catastrofe dell’Euro e dell’Unione Europea, riconoscendone nell’austerità e nel riequilibrio degli squilibri esterni attraverso la bastonatura della domanda interna la cifra anti-sociale e portatrice di conflitti ANCHE sul piano interno: la classe dirigente spagnola, rifiutando di guardare in faccia il problema posto dalla follia dell’Euro, finisce, di fatto, per dover mandare i suoi poliziotti a malmenare altri cittadini spagnoli. Si può constatare che dalla bastonatura della domanda interna in senso economico si sta passano alla bastonatura fisica dei cittadini (pur se in questo caso si tratta di catalani che vogliono pagare meno tasse alla Spagna).
L’Unione Europea e l’euro non solo ci stanno facendo odiare di più tra stati europei, ma stanno facendo odiare di più tra loro segmenti della cittadinanza di uno stesso Stato (sia in senso geografico che anagrafico – si pensi alla retorica sul taglio delle pensioni per “aiutare i giovani”).
Questa cosiddetta Unione Europea è un matrimonio fallito e tossico che consuma perfino all’interno le anime dei “coniugi”. Altro che pace e concordia dei popoli! Altro che difesa dal rischio di nuovi conflitti!
Cosa aspettiamo a divorziare? (E che sia un divorzio breve, meglio se lampo!!!)
E’ chiaro che la globalizzazione ed il liberismo, dei quali la UE si fa interprete, determinano un aumento delle diseguaglianze, non solo tra le persone, ma anche tra gli stati e tra le diverse regioni all’interno degli stessi. Numerosi sono gli irresponsabili che, in questi giorni, cercano di sdoganare l’idea che qualunque minoranza etnico/linguistica, o presunta tale, possa, in nome di una strana idea di democrazia, indire unilateralmente un referendum per la secessione. Se tale pratica dovesse dovesse prendere piede, si aprirebbero in Europa, e non solo, scenari imprevedibili e drammatici.