Piccole riflessioni sulla questione catalana
di MAURIZIO MOSCATELLI
Pochi giorni fa scrivevo su un altro giornale che occorreva attenzione prima di cavalcare per partito preso una situazione di tensione particolarmente elevata e che la balcanizzazione dell’Europa potrebbe essere dietro l’angolo.
Scrivevo anche che nella vicenda catalana pesano fortemente gli errori commessi sia dal Governo Centrale, sia dal Governo Locale nello sviluppare la vicenda che ormai non è più un solo fatto interno spagnolo.
La Cecenia iberica poteva finire peggio: trovarsi davanti un altro Putin. Ma ha solamente un Rajoy e chissà se per fortuna o meno. Trovare conforto nelle parole pressochè identiche espresse da Giovanni Maria Flick (escluso il paradosso ceceno), Massimo Cacciari ed il Sole 24ore non è di molto conforto, perché l’ideale sarebbe stato non arrivare a questi punti.
E naturalmente l’epilogo attuale, che neppure è definitivo, è solo la convergenza di più passi attivi/passivi delle parti. Lo Stato spagnolo avrebbe potuto affrontare la questione da molto tempo attraverso due azioni parallele, come sempre dovrebbe uno Stato sovrano: la prima diplomatica e negoziale. E’ facile parlare di maggiori autonomie per una regione già fortemente beneficiata da questo status economico, perché diciamocelo a chiare lettere, la questione risiede tutta lì non certo nell’identità culturale, storica, linguistica che, seppur con innegabili documenti storici e libri di storia alla mano, passano in questi casi in secondo piano.
Facile perché i vincoli posti dall’Unione Europea, impongono agli Stati centrali di tagliare risorse finanziarie a chiunque ed in qualunque questione economica interna. Quindi anche alle autonomie. Con questo espediente si erano trovati accordi importanti con i Paesi Baschi sotto Aznar, ad esempio. E lo stesso si sarebbe potuto fare con la Catalogna. Ma ora al contrario questa via risulta non praticabile e avrà ricadute anche nel caso Basco. Attendiamoci pertanto una ripresa delle tensione su tutta la penisola iberica. Perchè no anche la Galizia, ad esempio?
Quindi la questione doveva essere affrontata politicamente fin dall’inizio cercando di coinvolgere anche quella UE ultraliberista somigliante sempre di più ad un’Operazione Condor 2.0. Oltre a ciò immagino – almeno io avrei fatto così – che il Governo abbia , diciamo così, potenziato le attività di intelligence sul territorio sia Catalano, sia fuori i confini spagnoli. Se così fosse stato fatto, si sarebbe dovuto percepire, non ieri, non ieri l’altro, non un anno fa ma sei/sette anni fa, la presenza di spinte irredentiste che andavano oltre la prevista autonomia.
Qui in Italia esiste ancora l’articolo 243 del Codice Penale che prevede in questi casi non meno di dieci anni di carcere e l’ergastolo nel caso di guerra. Ma in guerra il Codice di competenza diverrebbe quello militare ed in questi casi mi pare si applichino pene diverse.
Quindi da questo punto di vista la questione era da affrontare al semplice emergere di questa ipotesi. Autonomia e smembramento dello Stato sono due cose ben diverse.
Ma a cosa punta, se non a questo, l’Europa dei Popoli, saltando gli Stati? Con le strette finanziarie progressive, con il rifiuto di affrontare e risolvere in comunità le questioni non procrastinabili derivanti dall’immigrazione? Siete al corrente, Voi, dei programmi europei che finanziano progetti comuni destinati alle “popolazioni montane” e appartenenti a più Stati, per identificarne e promuoverne la comune identità, la “collaborazione” e l’unità di intenti di vedute e di lingua? Visto lo scenario, a me pare una strada alquanto pericolosa. Perchè il MISE non si accorge, o fa finta di non accorgersi, di aspetti come questi? E forse neppure il MISE dovrebbe farlo, ma altre stanze. Altri Noti, o meno, Servizi.
L’errore compiuto dai politici catalani è stato invece quello di lasciarsi prendere la mano e non essere, a loro volta, andati alla ricerca di un dialogo e di una negoziazione, tenendo ben conto di ciò che il Governo poteva e NON poteva fare, in modo obbiettivo. Il NON, sta per non poteva in punta di diritto e NON poteva in punta di finanza.
E’ mia impressione, dunque suscettibile di smentita del che mi rallegrerei sinceramente, che la parte politica locale abbia coscientemente proceduto con tutti i mezzi a propria disposizione, nessuno dei quali in punta di diritto perché non solo la Costituzione Spagnola non lo prevede, ma anche perché lo stesso statuto regionale prevede 2/3 dei voti per decisioni di questo genere (e peraltro neppure credo che una consultazione sull’indipendenza possa avere effetto esecutivo invece che meramente consultivo, diversamente ne sarei assai sorpreso), e la decisione di andare al voto per l’indipendenza è stata presa con 72 voti su 135. Il che ci riporta al punto precedente sulla prevenzione, o almeno su uno dei suoi aspetti.
Neanche menziono l’effetto domino che dobbiamo attenderci, e in Italia non ne siamo immuni. E’ sufficiente leggere le dichiarazioni ufficiali che si sono susseguite da parte di movimenti e politici in alcune, non in tutte, realtà. Che magari hanno mancato di battersi il petto, come diversamente in altri casi, ad agosto dopo il terribile attentato slle Ramblas già in atmosfera anti-spagnola, ma a cui questa vicenda ha ridato fiato.
Che mai può succedere adesso? L’UE ha finalmente pronunziato che il sentiero che ha condotto al referendum non è stato legale. Ma ha mancato di dichiarare che gli Stati non si toccano. Come potrebbe se promuove l’identità culturale “dei popoli”? Di questo passo, se dovessimo andare in ordine di importanza storica, dovremmo allora attenderci un ricorso delle Repubbliche di Genova e di Venezia perché nel 1821 i loro stati millenari non furono rispettati, ad onta degli obbiettivi che le diplomazie dell’epoca si diedero. Oppure i Marchesati di Saluzzo o il Ducato di Asti, peraltro imparentati con i reali di Aragona, potrebbero a loro volta avanzare rivendicazioni. Prima facciamo la mai esistita Padania, poi rivendichiamo i Marchesati ed i Ducati. Mica pizze e fichi. Stati veri, stati storici. Ma dove risiede la logicità in tutto ciò, se non ridurre la territorialità in un arlecchino di Staterelli, tutti ricattabili finanziariamente ed economicamente dal grande capitale finanziario, con pochi Stati egemoni?
Il mondo in sé rischia un’esplosione supernovica e una seguente implosione da buco nero. Qualcuno circa cento anni fa si pose una domanda: Che fare? Innanzi tutto, a mio avviso, sottolineare urbi et orbi e con una certa decisione, la volontà di essere Stato e di tale voler restare. Anche vis a vis con l’UE. Essere Stato con politiche economiche indipendenti, essere Stato con politiche di welfare indipendenti, essere Stato con difese dei confini rigorose e indipendenti, seppure inquadrati in più ampi ambiti di collaborazione, essere Stato, con una Banca Centrale a trazione diretta con il Governo, essere, infine, indipendenti con un motto sul crest: “ Amico o non amico, scendi già dal mio albero”. E resteremo amici.
In fondo una dichiarazione di Indipendenza, no?
Sempre che la questione fosse l’indipendenza e non, piuttosto, il diritto di voto dei cittadini. Si continua a leggere la “superficie”, ciò che appare e che i media veicolano, ma la sostanza potrebbe essere ben diversa! Certo, si può continuare a pensare che tutto accada per caso, per errore, che i “decisori” siano incompetenti, ingenui e, occasionalmente, singolarmente truffaldini, ma basterebbe dimostrar loro un briciolo di rispetto e considerazione per vedere sorgere spontaneo un dubbio: stanno seguendo un disegno, forse? Sanno quel che fanno e non è quel che sembra? Il caso catalano è quasi trasparente, in questo senso, grazie anche a un parziale fallimento: si è imbastito un voto in modo provocatorio, un voto sentito da parte della popolazione, ma da una parte esigua, non in grado di prevalere, e quindi sarebbe bastato farlo esprimere per spegnere ogni possibile principio di incendio e, invece, lo si è contrastato con forza, mettendo in discussione il principio del “votare”: se un “potere superiore” non vuole che il popolo esprima una opinione, il popolo deve tacere. Tale opinione gira già da un po’ per il mondo, e in Europa in particolare: chi non è “competente” non ha diritto ad esprimersi, che è già uno schiaffo alla democrazia, ma quando a stabilire le competenze sono gli stessi che pretendono di decidere si scivola rapidamente nella tirannide.
I catalani hanno deciso di votare, anche chi non era per il “si”, perché votare è un diritto inderogabile e hanno votato. E’ questo, io credo, ciò che che è accaduto e che non è stato gradito. L’esito del referendum è un aspetto secondario. Certo: potrebbe essere il pretesto per altri “esperimenti”…