La governabilità come strumento per colonizzarci
di STEFANO D’ANDREA
L’Italia ha avuto 58 governi dal 1860 al 1922 (3 durante la prima guerra mondiale); dunque 58 governi in 62 anni.
Un solo governo dal 1922 al 1943.
9 governi di transizione dal 1943 al 1948, ossia in 6 anni
45 governi dal 1945 al 1992, ossia in 47 anni (la stessa identica media che si è avuta nell’età liberale).
Poi alcuni pretesi intellettuali e modesti politici, secondo i quali saremmo stati sempre malati, salvo evidentemente sotto il fascismo – secondo loro siamo nati malati mentre essi sono l’intellighenzia che, avendo studiato negli USA, conosce la cura per farci guarire – hanno cominciato a diffondere il verbo della governabilità.
Tuttavia, a lungo, abbiamo mantenuto la media tradizionale con 11 governi dal 1992 al 2006.
Infine, la governabilità è arrivata, con soli 5 governi in 10 anni (dal 2006 al 2016).
Finalmente i sostenitori della governabilità avrebbero dovuto essere soddisfatti (anche se i risultati dei governi sono stati disastrosi)! E invece no. Siccome i risultati non si vedono, allora suggeriscono e approvano riforme come l’Italicum e argomentano la pretesa necessità della riforma costituzionale invocando l’esigenza di governabiltà.
La governabilità è un disvalore. Il Governo deve trovare il consenso del Parlamento, non lo deve avere per principio legislativo o per morte dei partiti. Senza governabilità siamo diventati la quinta potenza industriale, abbiamo abbattuto lo stato pontificio, abbiamo vinto la prima guerra mondiale, e ci siamo dati la Costituzione. La governabilità ci ha condotto al disastro della seconda guerra mondiale e ad essere politicamente dipendenti da una potenza straniera. Essa oggi è funzionale alla immediata e veloce esecuzione delle direttive euro-atlantiche e alla esigenza di non far risorgere dibattito politico e prima ancora nuovi e veri partiti politici.
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