Intervista a cura di Anna Riva; fonte: “Il filo di Arianna”, ottobre-dicembre 2004.
Nel suo libro Il Padre. L’assente inaccettabile [ed. San Paolo, 2013, ndr] sostiene che la figura del padre sia stata rimossa dalla nostra società e quindi dall’educazione dei figli lasciando un grande vuoto. Ci può spiegare meglio quali conseguenze comporta per l’individuo questa ”inaccettabile assenza”?
In prima istanza il padre rappresenta la figura del creatore. Venendo meno la figura paterna viene a mancare l’esperienza di appartenenza all’origine che il padre assicura in quanto creatore cioè la risposta alla domanda: “Da dove vengo?”. Se non siamo collegati con le radici non potremo neanche gettare i nostri rami nel cielo. Il padre è però anche il testimone della ferita. Rappresenta infatti, per l’individuo, la ferita iniziale che il padre infligge al figlio interrompendo la simbiosi con la madre. Questo si traduce in un rifiuto da parte dell’individuo dell’esperienza del dolore e della morte che invece rappresenta un momento insostituibile perché strutturante l’identità della persona. La mancanza di questo senso di appartenenza provoca una debolezza di identità. Molti individui oggi non sanno individuare una meta, un progetto e questo crea una sorta di stagnazione, visibile in fenomeni molto diffusi come la permanenza allungata presso la famiglia d’origine e l’incapacità di progettare il futuro.
Perché la madre non può realizzare questa spinta al trascendente?
Perché la madre nello sviluppo del bambino appaga i bisogni primari. C’è una specializzazione delle figure. Il padre, in quanto promotore di creazione, è fin dall’inizio colui che mette il bambino nel mondo prima attraverso la fecondazione dell’ovulo e poi interrompendo la simbiosi con la madre, ferita importantissima che provoca il distacco del bambino dalla madre e lo proietta nella s o c i e t à , nell’esperienza della sofferenza, del dolore e del desiderio.
L’allontanamento della figura paterna non riguarda solo la dimensione individuale ma anche la dimensione più ampia della società occidentale. La società senza padri appare quindi come un mondo che ha smarrito il senso religioso e, con esso, la capacità di dare significato alla propria vita. Nel suo libro ha individuato anche una serie di tappe storiche che hanno segnato questo processo. Quali sono?
La figura del padre biologico, in quanto creatore, è la controfigura del Padre Celeste. L’uomo ha però rifiutato di appartenere al Padre Celeste: è la questione della secolarizzazione cui io faccio risalire il progressivo sbiadimento della figura paterna in
Occidente. Da un certo punto in poi, e in maniera più evidente con l’Illuminismo, l’accento viene posto sull’acquisizione di cose, sugli oggetti, sulla vita sentimentale eliminando la relazione dell’uomo con il sacro che viene così ad appartenere ad una dimensione separata dal quotidiano. La rimozione di questo legame paterno – quello con il padre naturale, ma anche con
quello trascendente – priva l’uomo, ed anche il singolo individuo umano, della propria storia. E così facendo chiude ogni visione che illumini le sue possibilità di sviluppo, di direzione e di senso della propria esistenza. L’individuo perciò si arresta al livello materno, quello del soddisfacimento immediato dei bisogni.
Un’altra tappa di questo processo è ravvisabile nella riforma di Lutero. E’ la riforma protestante che statalizza in qualche modo la paternità, cioè comincia a fare del padre un funzionario. Questo processo poi continua con la rivoluzione industriale, quando il padre diventa un amministratore perdendo i tratti del formatore di personalità. Altro passaggio chiave è quello delle due guerre mondiali, quando i padri, rimasti lontani da casa per lungo tempo, al ritorno si trovano di fronte alla società della grande madre che è la società dei consumi, quella che spinge l’ individuo a consumare e a soddisfare solo i bisogni materiali.
Il Padre è anche colui che ti inizia alla ferita.
La morte e prima di essa la vecchiaia è un’ esperienza che fa parte della condizione umana ed ha un aspetto strutturante così come spiego nel mio libro Felicità è donarsi. Contro la cultura del narcisismo [ed. San Paolo, 2004, ndr]. Consente di guardare al mondo da un punto di vista diverso e meno interessato e di cogliere la bellezza nella vecchiaia e nella morte che per noi cristiani rappresenta la rinascita. Le esperienze più profonde, a cominciare da quella dell’amore, prendono origine e forma proprio da quella perdita. La ferita fa anche parte di un’esperienza costitutiva essenziale della vita umana e il padre è colui che passa al figlio il sapere di come trasformare la perdita, da esperienza distruttiva in un passaggio indispensabile per la costruzione della personalità umana. Senza di essa il figlio rimane nella simbiosi, nella stasi che gli impedisce di lasciare l’adolescenza per cui in assenza di intervento paterno si ha la formazione di personalità pseudo-adulte, che in realtà adulte non sono perchè non sono mai state separate dalla madre. Questo non significa che l’individuo rimane legato alla madre naturale, ma che cercherà di ricostituire quello stesso legame di dipendenza rimanendo legato al gruppo di conoscenze più vicine, dal sistema dei consumi, compreso lo spettacolo mediatico, cui l’individuo non riesce a sottrarsi. Non per niente i popoli tradizionali avevano i riti di iniziazione.
Quali sono le conseguenze sulla famiglia?
Le conseguenze sono che non essendoci più il padre, l’individuo non regge la ferita non avendone avuto esperienza. Ecco allora che alla prima difficoltà le coppie ricorrono al divorzio.
Di fronte a questa situazione qual è il ruolo delle donne nella famiglia?
Le donne dovrebbero favorire la relazione tra padre e figlio, lasciando che i padri costruiscano con i figli quel prezioso rapporto che permette la fine della simbiosi con la figura materna. Storicamente sono stati gli uomini a sottrarsi dalla loro funzione di fornire indicazioni, norme e visioni del mondo ai figli, lasciandoli sprovvisti di quel confronto che è loro necessario per costruire la propria sicurezza. In una società dove tutto è materiale viene a mancare proprio il desiderio. Se la ferita non è stata inferta, l’individuo non sarà mai libero di desiderare. La maggior patologia che riscontro oggi è quella di non avere affatto desideri.
In questo video Armando Ermini che fa parte della stessa associazione di risè approfondisce i temi dell’ articolo. chi ha tempo lo guardi ne vale la pena.