La questione vitale
di LUCIANO DEL VECCHIO (FSI Bologna)
Per vagare da uno spazio a un altro i popoli nomadi non hanno bisogno di leggi scritte, ma di tradizioni e consuetudini, inconsistenti come polvere e transeunti come passi. In generale, quanto più essi praticano il nomadismo, tanto più lasciano fluida la loro organizzazione economica e sociale, e non arrivano a costituirsi Stato, per cui nella storia accade che possono dar vita ad imperi anche molto vasti ma altrettanto effimeri, perché più difficili da amministrare e da controllare politicamente. La mancata fondazione dello Stato li destina a essere storicamente assorbiti dai popoli stanziali o addirittura a essere da questi sterminati; in ogni caso a estinguersi, specie quando i confini non sono geograficamente ben definiti.
In generale, all’interno di territori atti a favorire l’insediamento, i popoli stanziali tendono a costituirsi Stato, cioè a darsi la legge fondamentale, la magna charta, i codici; e cominciano a registrare gli avvenimenti più significativi e rilevanti della loro vita civile e politica, cioè a fare storia. È intorno alle leggi fondamentali che nascono e si sviluppano le civiltà. Il popolo che non si costituisce in comunità ordinata da leggi, non fonda civiltà e dunque non fa storia perché, fuori da una organizzazione civile cioè fuori dallo Stato, non succede nulla di politicamente e civilmente rilevante, nulla degno di essere riportato negli Annales e da tramandare ai posteri. La storia è sempre narrazione di interazioni sociali tra uomini che si danno una costituzione per vivere e mantenersi associati su un territorio. In tal modo le istituzioni, sopravvivendo agli individui e attraversando le generazioni, assicurano la continuità di un popolo, la sua storia e quindi la sua esistenza. Non c’è storia di popoli senza Stato.
Il merito dell’antica Roma repubblicana fu di aver “intuito” lo Stato, la Cosa che non coincide con nessuna classe sociale e con nessun ottimate o magistrato, ma con la quale ogni ceto aspira a identificarsi se ambisce a esercitare il potere politico. Alla res publica dettero forma impersonale, oggettiva, la “cosa” collettiva appartenente a tutti. Lo Stato può assumere forma di monarchia o aristocrazia, oligarchia o democrazia, di regno o principato, di repubblica o di impero, ma deve esistere. Se non esiste, un popolo si dissolve e sul suo territorio viene inghiottito da un altro che si costituisce Stato intorno alla sua Legge. Anche nell’era contemporanea, a seconda dei ceti sociali che lo vanno ad occupare, lo Stato può essere variamente definito, ma rimane comunque la condizione permanente del gruppo umano che, tramite una guida o un principe, una minoranza o un’avanguardia, una fazione che, più consapevole delle altre, si fa “parte”, si dà le tavole della legge. Ora, l’ingenua teoria marxiana della dissoluzione dello Stato sembra rinascere nella dottrina liberista dello stato minimo assunta dall’Unione europea con la pretesa antistorica di dissolvere gli stati nazionali così come i popoli europei li hanno storicamente costituiti.
Un periodo particolare della nostra storia dovrebbe continuare a farci tremare e a metterci in guardia su quale rischio si corre a perdere lo Stato. Infatti, dopo il Settembre 1943 non fu soltanto la Patria a morire ma anche lo Stato, che rinacque. Fu merito di un popolo che, a dispetto del disonore della sconfitta e dell’avvilimento dell’occupazione straniera, esisteva ancora. Lo Stato risorse tramite le organizzazioni di Popolo ricostituitosi in assemblea “costituente” appunto. Ora, se noi permettiamo all’oligarchia eurounionista di stracciare la nostra Costituzione, tramite i suoi trattati, la sua dottrina liberista, le sue politiche globaliste di libera circolazione di capitali e merci, il forzato nomadismo di cittadini da esiliare per bisogno di lavoro e l’organizzato spostamento di esseri umani da deportare in clandestinità, noi accettiamo remissivi di dissolvere il nostro Stato e, di conseguenza, ci autocondanniamo come Popolo alla disgregazione e alla dispersione.
Lo storpiamento costituzionale è una delle tappe della dissoluzione, che una succube classe dirigente persegue fin dagli anni ’80 sottoscrivendo – popolo ignaro – i trattati europei. La distruzione dello Stato è cominciata da quelle firme infami ed è continuata con il progressivo smantellamento e svuotamento di tutte quelle istituzioni che ne sono l’ossatura e tramite le quali un popolo vive e progetta il suo avvenire. Dopo essersi inventato regioni legiferanti, dopo aver distrutto la Scuola di Stato, dopo aver consegnato l’Esercito a difesa di interessi e appetiti stranieri, dopo aver cancellato la tradizione autonomista italiana delle Provincie, dopo aver svenduto alla finanza straniera l’apparato produttivo strategico, gli autocrati dominanti, al servizio degli oligarchi stranieri, aggrediscono ora le camere rappresentative della volontà popolare.
La sostanziale abolizione del Senato in verità maschera un progettato assottigliamento e scomparsa dell’elettorato, cioè del popolo che sceglie, decide e presenta istanze sociali. Se, svuotando di rappresentatività un’istituzione, si rende inservibile la sua esistenza, di conseguenza diventa irrilevante e insignificante anche l’esistenza del popolo elettore. L’obiettivo di estinguere istituzioni e popolo viene perseguito anche sul fronte dell’organizzazione politica. La riforma Renzi/Boschi agevola il disfacimento dei partiti che, in questi ultimi venti anni, il ceto politico ha rincorso con la coalizione unica e con la finzione di maggioranza e opposizione. Fra non molto, se passa la sciagurata riforma, il Senato, come camera di designati, non avrà bisogno di cittadini elettori; e il Parlamento, come camera di controllati stretti dall’esecutivo, non avrà bisogno che di un solo partito, quello gonfiato col premio di maggioranza. Che bisogno c’è dei partiti? Ne basta uno: quello premiato a occupare stabilmente l’azienda (parlamento) per approvare con disciplina le decisioni del Consiglio di Amministrazione (governo), che risponde agli azionisti della S.p.a. (commissione europea). Il sorgere dal basso di nuove organizzazioni politiche disturberebbe la coalizione unica e sarebbe segno innegabile che il popolo, come dopo l’8 Settembre, esiste ancora.
I Renzi/Boschi motivano l’accentramento dei poteri nell’esecutivo come necessario per governare il paese con maggiore decisionismo e rapidità. Ciò che può sembrare una misura per rafforzare lo Stato, in realtà lo emargina e lo confina in un angolo, perché le leggi e le riforme da approvare in fretta sono quelle conformi agli interessi dei poteri sovranazionali. Un esecutivo che non risponde più a un Parlamento imbrigliato ma alla commissione di Bruxelles godrà di tempi brevi per stravolgere con facilità impensata o cancellare del tutto gli articoli del Titolo III che tutelano il lavoro, il risparmio, la famiglia. Di fatto i quisling vanno oltre lo stato minimo teorizzato dalla dottrina liberista e puntano dritto allo stato finto, inesistente, che comporta la lenta decomposizione del Popolo, privato che fosse dell’istituzione che lo aggrega sul territorio. La Costituzione non sarà più il patto sociale e di garanzia, ma diventerà lo strumento del potere tecnocratico eurounionista, tralignata in una sorta di sub-trattato europeo, tale per cui non è peregrino il sospetto che, alla fine del processo, ci sarà proposto di farne a meno, visto che basta “Lisbona” a regolare la nostra vita economica e sociale.
La riforma Renzi/Boschi formalizza l’adulterazione costituzionale in atto da trenta anni, adeguando la Costituzione alla realtà oligarchica della commissione europea che, dall’alto e dall’estero, impone i diktat al Parlamento e ai cittadini italiani. Questo adeguamento, spacciato come riforma, in realtà stabilizza la prassi esistente che, cancellando la Costituzione e disgregando lo Stato, estingue il Popolo. Nel silenzio complice della stampa e dei costituzionalisti la riforma rimpiazza la democrazia partecipativa con l’oligarchia oscura e remota e codifica la perdita della sovranità, mantenendo il nome (Costituzione) e svuotando la cosa (lo Stato).
Oggi che la minaccia palesa tutte le sue storiche e mortali conseguenze, spetta al popolo, il solo che in democrazia può essere costituente, difendere il proprio Stato dalle angherie degli organismi internazionali. Può reagire, se acquisisce piena consapevolezza che recedere dai trattati europei e ripristinare la Costituzione del ’48 è il dovere patriottico supremo, a cui tener fede non solo per recuperare libertà e indipendenza, democrazia e giustizia sociale, ma per continuare a esistere. Deformare la Costituzione del ’48 è estremamente pericoloso per il popolo italiano perché, laddove non sono giunte le orribili conseguenze della seconda guerra mondiale, può riuscire la mortale macchinazione dell’Unione europea. Tramite un esecutivo incaricato dell’esecuzione, questa ci sta puntando la pistola alla nuca per far partire il colpo di grazia alla fine di un lento e pluridecennale supplizio istituzionale.
Lo sforzo di dare uno sguardo più ampio all’opposizione alla ” Riforma” Renzi/Boschi è notevole ma credo siano riportati diversi elementi discutibili col rischio di avere una visione deformata della lotta politica. L’abolizione o il ridimensionamento degli organi elettivi ha la funzione di comprimere la sfera pubblica secondo gli orientamenti del neoliberismo imperante. La svendita del Patrimonio Pubblico non è solo un colossale furto di beni ma una redistribuzione del potere. Quello che è stato chiamato Libero Mercato è in realtà un Sistema dove poche centinaia di famiglie a livello mondiale contano tantissimo e le moltitudini hanno solo l’impressione di contare, in realtà sono impotenti.Questo continua anche oggi nonostante i guasti procurati , anche con le attuali crisi economiche e sociali, grazie ad un formidale apparato che domina sia il sistema informativo che l’accademia e i partiti politici ,almeno quelli rilevanti.Perchè non ci acorgiamo dei cambiamenti di governo? Io credo dipenda dal fatto che gli obiettivi e il sistema di valori in cui credono sono simili. I decisori quindi non sono quelli che appaiono ma quelli che li condizionano e sostengono. L’azienda non è il Parlamento, non prende effettive decisioni ma ratifica,il Governo non è il Consiglio di Amministrazione , ma solo un portavoce più o meno qualificato, gli azionisti veri della Spa non sono nella Commissione Europea , ma nelle centinaia di famigli che a livello mondiale dominano il Sistema.