Non è tutto qui
di MARCO DI CROCE (RI Roma)
Qualcuno crede veramente di vivere allo scopo di alzarsi la mattina, lavarsi, lavorare per mantenere la propria famiglia, guardare la tv la sera e andare a dormire? Forse qualcosa di più. Qualcuno crede veramente di vivere allo scopo di mangiare, riposare e trovare forme diverse di piacere e felicità? Forse qualcosa di più dignitoso. Qualcuno crede veramente di vivere allo scopo di osservare tramonti, di ascoltare musica, di riflettere, di sapere? Forse qualcosa di più alto.
Abbiamo un concetto che è il concetto di Giustizia e il dovere incondizionato delle generazioni che si sono succedute nella storia è stato ed è quello di dargli realtà. Dare realtà alla Giustizia è il compito dell’umanità, io in questo credo. Per qualcuno, la giustizia già esiste, ed è sufficiente conservarla. A questo servirebbero i tribunali, le leggi e la polizia, a riparare alle ingiustizie prodotte dagli uomini.
Ma la giustizia non deve essere conservata, deve essere in primo luogo prodotta. Dov’è la giustizia quando un uomo non ha accesso ai mezzi di produzione necessari a provvedere in modo onesto al suo sostentamento? Non c’è. E quando ruba per provvedere a quei bisogni, dov’è la colpa? È dovunque. Gli esseri umani hanno dei bisogni, e dovunque non si garantisca la possibilità reale di soddisfarli non c’è alcuna giustizia da conservare. Lì la giustizia va realizzata. Io in questo credo.
Come si realizza la giustizia nella storia? O meglio, come si progredisce verso di essa, perché realizzarla, per così dire, definitivamente, non è possibile.
I bisogni degli esseri umani devono essere soddisfatti. Cosa distingue un bisogno da un capriccio? Alcuni credono che tutti i bisogni siano empirici, cioè contingenti. Credono che tra bisogno e capriccio vi sia una linea sottile e che la differenza tra i due sia di grado e non di genere. Sbagliano. Secondo questo errore, mangiare è più simile a un bisogno, lavorare è simile a un bisogno, avere una casa è simile a un bisogno, ma meno, avere una famiglia è a metà, non può essere garantito, fare parte della propria comunità sociale è più vicino a un capriccio, avere una casa bella, anziché brutta, è un capriccio.
Chi commette questo errore tratta cose di genere diverso come uguali e quindi arriva a dire o che nulla può essere garantito, ma al massimo elargito misericordiosamente in forme di volontariato, o che tutto deve essere garantito, dando luogo a vere assurdità in cui si viene completamente privati dell’occasione di esercitare il proprio arbitrio. Entrambe le soluzioni scadono in un paternalismo antidemocratico.
C’è un bisogno fondamentale, è il bisogno di lavorare. Il bisogno di lavorare è il bisogno di soddisfare tutti i propri bisogni o capricci che siano in modo onesto. Riconoscere che non è vero che esistono solo bisogni empirici, che in mano ai sofisti possono essere scambiati per capricci, è il primo passo nell’unica strada per rifiutare il sofisma che scambia il diritto alla cura per il diritto allo yatch. Il diritto al lavoro è un diritto trascendentale. È la condizione di possibilità di tutti gli altri diritti in quanto diritti.
A qualche anima bella sembrerà una durezza far discendere tutti i diritti dal diritto a provvedere onestamente a sé stessi. Me ne infischio. Il lavoro è il diritto fondamentale ed è il criterio per giudicare cosa, tra le varie realtà empiriche che consideriamo, debba essere considerato un diritto e cosa una scelta arbitraria. Senza il lavoro come diritto viene meno il criterio per giudicare della giustizia reale. Senza lavoro, non può esserci giustizia, e senza considerare il lavoro un diritto non si può nemmeno ragionare correttamente su cosa sia giusto e cosa no. Io in questo credo.
Commenti recenti