La questione industriale
di ANDREA CORRITORE (RI Viterbo)
Uno dei quattro pilastri dell’UE è la “libertà di circolazione dei capitali”, sancita dai trattati di Maastricht e Lisbona. Significa che i fondi finanziari, che godono di liquidità pressoché infinita grazie alle loro manovre speculative, sono liberi di comprare qualsiasi azienda sana, rilevando marchio, impianti, tecnologie e quote di mercato, per poi chiuderla e riaprirla dove i salari sono un decimo (o meno), la tassazione sui profitti è nulla e diritti e tutele ambientali non esistono.
Le delocalizzazioni di GKN, Treofan, Beakert, Gianelli, Timken e mille altre (e non solo in Italia: Francia, Spagna e Germania, pur con accenti diversi, hanno problemi simili) non sono capitate per caso ma sono il frutto dell’adesione italiana all’UE e all’euro, due dispositivi coatti di deflazione salariale, in quanto la prima conseguenza delle delocalizzazioni, insieme alla distruzione del tessuto produttivo e della ricchezza del paese vittima, è l’abbassamento dei salari. Inoltre, sempre secondo i trattati UE, per lo Stato è vietato entrare attivamente nella propria economia, impedendo di fatto di mettere in atto l’unica cosa che servirebbe: una seria, piena, politica industriale pubblica.
Ecco perché non può esserci risoluzione della QUESTIONE INDUSTRIALE senza che prima si sia risolta la QUESTIONE EUROPEA. E quest’ultima c’è solo un modo di risolverla: stralciando i trattati per ripristinare la legalità democratica e costituzionale.
(in foto: l’avanzo manifatturiero dell’Italia, che è tra i più alti AL MONDO. Dove finiscono quei soldi? Nelle tasche dei milioni di lavoratori che, con le loro mani, hanno contribuito a crearli, o nelle tasche di poche centinaia di padroni che, possedendo i mezzi di produzione, possono fare il bello ed il cattivo tempo? È così infatti che si creano le famose disuguaglianze di cui si sente tanto parlare)
Prima di tutto è la questione monetaria…
sE NONO SEI PADRONE DELLA MONETA… sei uno schiavo.