Microfascismo di Stato
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Christian Frigerio)
L’estensione del Green Pass riporta in auge il concetto coniato da Deleuze & Guattari. La violenza si traveste da “bene per la comunità”
L’estensione del Green Pass a chiave per diritti fondamentali quali il lavoro e l’istruzione non è che l’esito naturale (e prevedibilissimo) della sua introduzione per l’accesso a luoghi della vita pubblica come cinema, bar o ristoranti. Le opposizioni a questo nuovo dispositivo si incentrano per la maggior parte su concetti come dittatura, stato d’eccezione, nuda vita – tutti funzionali a porre il fenomeno in continuità con le forme che il potere ha assunto negli scorsi decenni.
Ma il Green Pass esibisce anche qualcosa di nuovo, una nuova configurazione del potere che non andrebbe trascurata. Il miglior modo per comprenderlo è forse il concetto di “microfascismo”, con cui i filosofi francesi Gilles Deleuze e Félix Guattari indicavano quell’insieme di tendenze che percorre ciascuno di noi come un flusso sotterraneo e spesso inconscio, che ci fa desiderare che gli altri seguano le nostre (spesso arbitrarie) regole, che ci farebbe pagare qualunque prezzo pur di soddisfare il nostro appetito di stabilità e di normalità, che ci mette sempre in cerca di una categoria contro cui sfogare l’intolleranza repressa.
Rispetto a questo microfascismo, il macro-fascismo o fascismo politico – quello delle squadracce in camicia nera e del mascellone che arringa la folla da un balcone – non è che una “cristallizzazione”, una possibile concretizzazione in cui i tratti peggiori di questo insieme di tendenze si rendono palesi. La caratteristica più importante del microfascismo sta proprio nel fatto che non ha alcun legame con un colore politico particolare. Questo è il motivo per cui il microfascismo è un avversario ben più insidioso del fascismo politico: esso tende a nascondersi, si trova più a suo agio quando non assume una dimensione politica esplicita proprio perché la normalità, la quotidianità è il travestimento migliore. Il potere opera al meglio quando si fa trasparente, quando nessuno lo nota. Il fascismo alla Mussolini (ma potremmo metterci tutte le forme che Umberto Eco definiva di “Ur-fascismo”: nazismo, franchismo, stalinismo…) non è che la sua manifestazione più rozza, proprio perché la più palese, quella meno capace di travestirsi, e che può essere efficacemente contrastata proprio perché assume una forma definita.
Ne segue che, se il microfascismo sa essere tanto subdolo, è anche perché esso si può alleare senza problemi a forze che si dichiarano “antifasciste”: l’esempio più famoso è quello del “fascismo degli antifascisti” che, secondo Pasolini, rendeva possibile l’omologazione brutale tipica della società dei consumi. Uno dei ribaltamenti politici più insidiosi dei nostri giorni sta nel fatto che, mentre la maggior parte degli antifascisti ufficiali gongola nel vedere le restrizioni aumentare sempre più, sono quelli che accettano di definirsi fascisti a contrastare con più forza queste tendenze (“no vax, sì Dux”, ha ironizzato qualche giorno fa Bersani). La situazione è così paradossale che non basta parlare, con Pasolini, del fascismo degli antifascisti: bisogna addirittura parlare di un antifascismo dei fascisti. Ha ragione chi sostiene che faccia ridere vedere i nostalgici del Ventennio in piazza a protestare contro la dittatura; non fa ridere invece, e dovrebbe anzi far rabbrividire, vedere ferventi democratici ed elettori “di sinistra” che elogiano l’operato del governo. Il sostegno all’immigrazione, al DDL Zan e allo Ius Soli li dota della “patente di antifascismo”, come diceva Pasolini, che accerta la loro buona volontà, la loro socialità e democraticità. Proprio in questa veste, insospettato e insospettabile, il microfascismo trova il terreno in cui può prosperare al meglio. (E non è che essi si stiano lasciando ingannare dal potere: come diceva Wilhelm Reich, le masse non erano state tratte in inganno dal fascismo, ma l’avevano attivamente desiderato; lo stesso vale per le misure attuali, attese e profondamente desiderate da questi microfascisti cui la storia ha permesso di raggiungere a nuoto la sponda opposta dello spettro politico.)
Il microfascismo, secondo Deleuze e Guattari, restava in ogni caso distinto dallo stato. Era qualcosa che il potere statale poteva sfruttare, senza però arrivare a identificarsi con esso. La novità del dispositivo del Green Pass sta proprio nel fatto che per la prima volta il microfascismo arriva in quanto tale al potere. Il nuovo corso subordina l’accesso alla vita pubblica all’accettazione di una serie di scelte politiche: è l’istituzionalizzazione del microfascismo, dell’esclusione di chi non accetta delle regole imposte senza che il potere abbia il coraggio di metterci la faccia, di un’intolleranza percepita come giusta e giustificata e addirittura come unica via d’uscita da una crisi. E tutto ciò senza che esso assuma il colore di un partito: un governo tecnico e acromatico porta a legiferare in parlamento quella che finora era stata una tendenza sotterranea. E anzi, dato il gioco delle opposizioni politiche, esso viene ormai opposto quasi solo dalla destra. Il microfascismo al potere sanziona il male che scorre nel popolo, che è un male tanto più grande perché convinto d’essere antifascista, d’essere dalla parte del giusto. Esso si traveste da “bene della comunità”, da responsabilità, da senso civico, da tutela dei fragili, e si santifica con la scienza, con la parola degli “esperti”. Il lavoro sporco, quello dell’odio e dell’intolleranza, pur essendo orchestrato dallo stato, è appaltato a una campagna mediatica pensata appositamente per creare odio e divisioni tra chi accetta il nuovo corso del potere e chi non lo fa.
Pasolini scriveva che “non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità”; Deleuze e Guattari, similmente, che “è troppo facile essere antifascista a livello molare” – vale a dire, a livello “macro” – “senza vedere il fascista che noi stessi siamo, che nutriamo e coltiviamo”. Non si tratta di sostenere Forza Nuova contro il PD, quanto di rompere l’associazione tra temi davvero antifascisti come l’opposizione a razzismo e omofobia, e il sostegno a scelte politiche che rischiano di dar luogo alla più performante delle dittature, efficace proprio perché non è percepita come tale. Si tratta di opporre il microfascismo in tutte le sue manifestazioni, che siano l’intolleranza aperta del fascismo politico, le tentazioni totalitarie, il silenziamento del dialogo democratico a favore di “esperti” attentamente selezionati dal potere, una volontà di sicurezza che priva la vita di tutto ciò che la rende degna di essere vissuta.
C’è però un lato positivo. Istituzionalizzandosi, il microfascismo perde ciò che faceva la sua forza: la trasparenza, l’invisibilità, la segretezza. La sua incarnazione statale rende il microfascismo goffo e maldestro, mette in evidenza quanto odio sia capace di mostrare chi si presenta con un antifascismo di facciata. Volendo essere ottimisti e sperando che venga meno il benestare della maggior parte della popolazione, la copertura dell’emergenza e del bene comune non potrà durare a lungo, e in un futuro non troppo lontano ciò cui stiamo assistendo sarà ricordato come una delle più grandi isterie di massa e uno dei peggiori episodi di codardia politica della storia recente. Aver portato in piena luce una forma più “soft” del funzionamento del potere, quella che è più pericolosa proprio perché più subdola e meno violenta, potrebbe, in un futuro speriamo prossimo, rendere anche la massa più sensibile a meccanismi del genere. Il fatto che il paragone più consueto resti ad oggi quello con gli eventi legati alla Seconda guerra mondiale – con l’evidente divario in termini di brutalità e conseguenze – è tra i motivi per cui le critiche alla gestione politica della pandemia, quando non vengono percepite come ridicole e vergognose, faticano comunque ad attecchire nella massa. Tra qualche anno, forse, si potranno criticare ulteriori manovre paragonandole al Green Pass, come ci si rivolge ad alcuni dei momenti più ignobili della nostra storia. In un momento in cui si parla di terze dosi per tutti e di un ciclo infinito di richiami vaccinali, il vaccino di cui abbiamo più bisogno è quello che una volta ancora ci dovrebbe permettere di imparare dalla storia.
FONTE: https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/societa/green-pass-microfascismo/
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