“Tutta colpa della Costituzione”: quarant’anni di sciocchezze a sinistra
di RICCARDO PACCOSI (FSI Bologna)
Quarant’anni fa, questi due filosofi della politica che vedete nella foto, cominciarono a scrivere su come la Costituzione non rappresentasse più la società.
Voi direte: ma Norberto Bobbio e Toni Negri sono stati due pensatori diversissimi. Certamente, ma su questo tema la loro convergenza fu ampia e sincronica (ovviamente l’influenza del primo, giacché afferente alla sinistra istituzionale, fu molto più forte di quella del secondo che afferiva invece all’ambito extraparlamentare).
Norberto Bobbio scrisse, nel 1976, Origine e caratteri della Costituzione. In buona sintesi, egli parlò di una crisi di rappresentanza fra società e istituzioni dovuta alla nascita, all’interno dello stato, di una casta burocratica. E chi aveva la colpa per questo fenomeno? La colpa, secondo Bobbio, era della Costituzione. E sulla base di quali articoli e commi di quest’ultima egli sosteneva ciò? Booooh!
Tra il 1976 e il 1977, Toni Negri pubblicò due opuscoli – Operai e Stato e Il dominio e il sabotaggio – in cui affrontava il tema della Costituzione nel seguente modo: il mondo del lavoro non era più fondato sulla centralità della fabbrica fordista, bensì era nata una nuova forza-lavoro autonoma, diffusa, terziarizzata e a cui Negri attribuiva il nome di “operaio sociale”; questa nuova composizione, ebbene, non era più rappresentata da partiti e sindacati. E chi aveva la colpa per questo deficit di rappresentanza? La colpa, secondo Negri, era della Costituzione. E sulla base di quali articoli e commi di quest’ultima egli sosteneva ciò? Booooh!
Quindi, tutto cominciò a sinistra. Subito dopo, con la P2 e dintorni, prese corpo anche il progetto di destra sul superamento della Costituzione. In entrambi i casi, partì da allora una gigantesca campagna improntata al disprezzo ideologico nei confronti di tutte gli organismi della mediazione sociale: i partiti, i sindacati, il Parlamento. Se a sinistra questo veniva enunciato per dare più potere alla società, di fatto si contribuiva invece ed esclusivamente alla disssoluzione degli unici strumenti di potere – relativo ma effettivo – di cui il popolo e la classe lavoratrice potessero disporre. Al di fuori delle strutture di mediazione, infatti, dopo quarant’anni di destrutturazione abbiamo visto che rimane solo l’individuo atomizzato e deprivato di potere contrattuale; rimangono solo governi che finiscono nell’orbita d’influenza – esclusiva e totalizzante – delle èlite economiche.
La campagna svoltasi negli ultimi 25 anni contro le strutture della mediazione sociale, ha sempre parlato di modernizzazione, di efficienza, di novità. Più o meno, argomenti simili a quelli che sorressero, molti decenni prima, il disprezzo anti-parlamentarista del fascismo sulle “democrazie decadenti”. Questa volta, però, a evocare il disprezzo per “l’aula sorda e grigia” – e a contrapporvi il principio della governabilità e della velocità – erano gli intellettuali di sinistra e i quotidiani progressisti.
Oggi, i governi italiani ed europei si trovano dinanzi a una crisi sistemica senza uscita – in parte legata al fallimento dell’euro, in parte legata alla deregolamentazione del sistema bancario voluta dai Democratici americani negli anni ’90 – che sta portando al tracollo della domanda interna, alla devastazione delle piccole-medie imprese, all’estinzione del ceto medio.
Oggi come allora – proprio come i filosofi un po’ apprendisti stregoni di quarant’anni fa – gli ideologi di media e partiti attribuiscono la colpa di tutto questo alla Costituzione. E quali articoli e commi di quest’ultima sarebbero collegati, secondo questi signori, all’attuale crisi economica? Booooh!
E allora basta: usciamo da quarant’anni di menzogne. Iniziamo a elaborare una condanna storica – totale e inappellabile – della Seconda Repubblica. Occorre condannare quella fase storica come oscurantista, irrazionale e dominata da un’ideologia criminale. Occorre, altresì, il rifuto assoluto e senza alcun compromesso di TUTTE le categorie e le parole emerse in quel periodo: governabilità, modernità, sprechi, liberalizzazioni, competitività, velocità e tutto il resto della spazzatura ideologica. Una spazzatura che è servita a convincere la maggioranza della popolazione a credere a concetti che erano, di fatto, in netta contrapposizione con gli interessi popolari.
Superiamo il fracasso dell’ideologia dicendo che la democrazia – ovvero il potere popolare – si esprime tramite un sistema istituzionale fondato su compromesso, mediazione, lentezza.
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