Per l’indipendenza della grande patria mediterranea
Riproponendo con lievi modifiche un testo già apparso sul sito dell'ARS, inauguro "Mediterraneo", nuova categoria di Appello al Popolo, con l'auspicio che l'imperialismo occidentale non torni una volta ancora a contrapporre i popoli che abitano le sponde del "mare fra le terre".
L'Italia può fare a meno dell'Unione Europea. Ma non può rinunciare al Mediterraneo.
Al mare che la circonda per quasi ottomila chilometri l'Italia è legata in una comunità di destino e deve forse il suo stesso nome, come suggerisce l'ipotesi avanzata da Giovanni Semerano: Atalu,“terra del tramonto” nella lingua semitica parlata da ignoti navigatori medio-orientali del III millennio a. C.
La decadenza dell'Italia, cominciata con l'età moderna e con il declino del Mediterraneo, terminerà con la fine della modernità e con la rinascita del Mediterraneo. L'Italia ridotta a provincia periferica dell'impero atlantico risorgerà dal e nel Mediterraneo. A sua volta, il Mediterraneo ha un debito di non poco conto nei confronti dell'Italia, e di Roma in particolare, centro di irradiazione ecumenica delle grandi civiltà nate sulle sue rive.
Ma questo fa parte del passato indimenticabile.
Oggi gli uomini del Mediterraneo ingrossano le file dei dannati della terra, oppressi da un mostro a tre teste: neoliberista in Europa meridionale, modernista in Nord Africa (di qui la reazione wahabita e salafita), sionista nel Levante. Nessuna di queste distorsioni mentali è autoctona. Ma tutte e tre, in compenso, attentano con violenza inaudita alla cultura di popolazioni che si conoscono, si incontrano e – fecondamente – si scontrano da millenni. Genti che nelle varianti di un unico idioma fondamentale esprimono l’identica gioia di vivere fuori dai dettami del profitto e dell’utile.
Nei porti e nelle piazze del Mediterraneo i princìpi del più sano relativismo culturale e della tolleranza sono stati inventati e messi in pratica secoli prima che li formulassero gli illuministi. Le civiltà mediterranee hanno plasmato uno spazio comune dal volto inconfondibile, che non ha pari in nessun'altra macroregione del globo per concentrazione di opere d'arte. Questo spazio ha radici molto solide e più profonde delle ovvie differenze sociali, economiche, religiose. Il piacere della convivialità, dell'otium contemplativo e della bellezza, la ricerca dell'equilibrio fra gli estremi, che confligge frontalmente con l'inclinazione 'oceanica' per l'informe e per la violazione di ogni limite, sono doni elargiti nella stessa misura a Napoli come a Tunisi o a Giaffa.
L'intera storia del Mediterraneo è compendiata nei poemi di Omero.
Sotto le mura di Troia lottano due popoli fratelli, con la stessa lingua e con gli stessi dèi: l’Iliade è il racconto di una guerra civile, come tutte le guerre combattute sulle sponde di questo mare. All’etnologia del Mediterraneo nel suo insieme va esteso ciò che Omero dice a proposito di Creta: “vi vivono / molti popoli, un numero enorme: novanta città! / Le lingue sono mescolate le une alle altre: gli Achei, / gli Eteocretesi generosi, i Cìdoni, / le tre stirpi dei Dori e i Pelasgi gloriosi”.Queste parole non descrivono soltanto la normalità di un'epoca remota. Esse suonano anche di buon auspicio per il futuro, perché nel cerchio del tempo il principio e la fine coincidono. L'indipendenza dell'Italia significherà simultaneamente indipendenza del Mediterraneo. E viceversa: il mare libererà l'Italia, restituendole prestigio, memoria, coraggio.
Quanto è diversa e lontana da Bruxelles, infine, la città santa dei monoteismi abramitici, la 'capitale' e il simbolo della nazione mediterranea: Gerusalemme!
Caro Giampiero,
ho già trovato due persone che hanno contestato duramente l'ultima frase, che forse nella prima versione era un po' diversa: "la 'capitale' e il simbolo della nazione mediterranea: Gerusalemme!".
Anche io sono rimasto perplesso, nel senso che non ho compreso bene il significato della tua proposta (o tesi). Credo che questa sia l'occasione buona per illustrarlo.
Caro Stefano,
grazie per l'osservazione che mi offre l'occasione per chiarire il concetto, evidentemente espresso in modo un po' criptico.
Il riferimento a Gerusalemme non va inteso in senso letterale ma simbolico: allude a un sogno di pace e di amicizia tra i popoli mediterranei. E non sottintende una proposta o tesi di carattere politico.
Tuttavia, non posso nasconderlo, trovo aberrante che lo stato di Israele abbia fatto di Gerusalemme la sua capitale (peraltro non riconosciuta dal resto del mondo), appropriandosi in modo esclusivo di una città e di un "polo spirituale" comune anche a cristiani e musulmani.
Però è una immagine che in un articolo sta bene, una volta spiegata, ma, a mio avviso, in un documento politico sarebbe da evitare, per tante ragioni, in particolare, non credo che qualcuno combatterà mai per rendere comune Gerusalemme. La mia previsione è che hi vincerà l'avrà e gli altri saranno ospiti alle condizioni del padrone. La guerra poi, quando ci sarà, sarà all'ultimo sangue.
Vero. Proprio per questo ho parlato di "sogno".
E la guerra la perderanno i sionisti…Non hanno speranza.