Pomodori
La globalizzazione ha offerto molti aspetti che nei secoli, a noi europei, hanno infuso sicurezza e benessere. Si va dalla catalogazione dei Nativi come selvaggi senza anima (quindi quanto mai bisognosi della nostra Cultura e Civiltà, nonchè Cattolicesimo) all'importazione di ogni ricchezza verso il Vecchio Continente: 185.000 kg di oro, 16 milioni di kg di argento ma anche pomodori, mais e patate. Beh, queste ultime in realtà furono all'origine della grande carestia del 1845 che causò la morte di quasi il 30% degli irlandesi. Per fortuna i pomodori non hanno all'attivo record di stermini di umani di alcun tipo, sennò ci sarebbe da pensare che le solanacee siano portatrici di qualche comprensibile vendetta d'oltreoceano.
E invece eccoli lì, gli appetitosi vegetali. C'è da dire che quando vennero importati non avevano esattamente l'aspetto attuale. Proprio come il mais originario del sudamerica, anche il pomodoro era molto diverso da come lo conosciamo adesso: entrambi più piccoli ed il pomodoro molto meno rosso.
Il nome stesso spiega molte cose. Chiamato dagli Aztechi “xitomatl” (ovvero “grande tomatl”; il tomatl era una pianta più piccola dal frutto verde giallo chiamata oggi tomatillo) aveva originariamente un colore dorato, che virò successivamente verso il rosso a seguito di innesti e selezioni vari. [1] Il nome, al contrario del colore però, non cambiò mai.
Inizialmente classificato tra le specie velenose, successivamente si ritenne avesse proprietà afrodisiache. In Francia per questo fu chiamato “pomme d'amour” e ancora oggi in certi paesi della Sicilia viene chiamato “puma d'amuri”.
Si dice che dopo la sua introduzione in Europa sir Walter Raleigh avrebbe donato questa piantina carica dei suoi frutti alla regina Elisabetta, battezzandola con il nome di "apples of love" (sempre il solito pomo d'amore). [2]
Linneo, il grande botanico, lo classificò come Solanum lycopersicum, quindi nella stessa famiglia di melanzane, peperoni e patate (solanacee). Altri botanici non gradirono quella classificazione per via delle evidenti differenze tra le varie piante di Solanum, ma alla fine moderni test di biologia molecolare hanno dato ragione a Linneo: il pomodoro, o pomo d'amore che dir si voglia è parente della patata. Credo che anche Rocco Siffredi sia d'accordo.
A seguito di interpretazioni errate e falsi miti, il pomodoro ci mise un paio di secoli per approdare a tavola. Soltanto nel Settecento, infatti, si iniziò a usarlo a scopo alimentare, principalmente alla corte dei re francesi e nell’Italia meridionale, specialmente a Napoli dove si diffuse rapidamente tra la popolazione. Solo allora pasta, prima condita con solo olio o burro e formaggio, diventò rossa.
Nel 1762 il gesuita e naturalista Lazzaro Spallanzani scoprì come la polpa di pomodoro fatta bollire e posta in contenitori chiusi si mantenesse inalterata nel tempo, trovando così il metodo per fare la conserva di pomodoro.
Per combattere l'invecchiamento, niente è più efficace del pomodoro, l'antiossidante per eccellenza. Secondo molti esperti non esiste farmaco altrettanto efficace contro i radicali liberi, ricco com'è di betacarotene, licopene e vitamine. [3] Non solo: secondo un una ricerca condotta da alcuni ricercatori giapponesi della Kyoto University e pubblicata dalla rivista Molecular Nutrition & Food Research, il pomodoro aiuterebbe a regolarizzare l’attività del fegato controllando il livello di lipidi circolanti nel sangue. In particolare l’effetto sarebbe mediato dall’acido 9 oxo-otta-deca-dienoico, un componente della polpa. Come dichiara il professor Kawada, uno degli autori della ricerca, “La scoperta dell’effetto di questo particolare estratto di pomodoro conferma ancora una volta gli effetti benefici del vegetale sul nostro corpo. L’assunzione regolare, associata a uno stile di vita sano, potrebbe dunque essere un’arma in più nella prevenzione delle malattie cardiovascolari e dell’obesità”.[4]
Nel corso dei secoli il pomodoro ha assunto forme e addirittura funzioni molto differenti. Esistono centinaia di differenti tipi di questa pianta, che genera frutti (o bacche, più propriamente) dalla forma sferica, allungata, a coste, a ciliegia, a dattero…..Una delle esperienze più traumatiche che io abbia mai avuto con i pomodori fu in California quando tentai di farmi una bella insalata con tre pomodori acquistati in un supermercato locale: avevano l'aspetto perfetto, il colore non troppo acceso e la consistenza di una palla da tennis. Dopo un po' di ricerche effettuate (e avere buttato l'insalata causa scarsa o nulla edibilità), saltò fuori la verità: quel tipo di pomodori fu modificato geneticamente per creare delle piante che fanno i frutti non soggetti a maturazione progressiva (quindi non occorre raccoglierli ogni giorno o quasi). Si aspetta quindi che tutti i frutti siano “maturi” (per quello che può significare in questo contesto) e poi si esegue la raccolta meccanica. Nessun pomodoro marcio, mai. Duri come sono, poi, non temono di essere ammaccati quando sono trasportati dentro alle casse. Insomma il massimo del commercio con il minimo della commestibilità, questo era il business.
Ho la passione per l'orto, e in questa stagione quello che io considero il re delle solanacee mi ha ormai dato la quasi totalità dei suoi frutti. Ma per arrivare agli odierni 30kg di passata pronta per l'inverno c'è voluto tempo, dedizione e passione. La storia inizia a gennaio, quando vengono piantati nelle apposite vaschette i minuscoli semini, in ambiente a temperatura controllata. A marzo le piantine vengono trapiantate in orto, a maggio si montano i tutori (lunghi pali che servono a tenere dritte le piante, alte ma di fusto debole) e da questo momento in avanti serve tutta la cura possibile per legare il fusto mano a mano che cresce e per togliere le “figlie”, rami che nascono all'intersezione delle foglie e che altrimenti si sviluppano completamente sottraendo preziose risorse alle bacche (di pomodori ne crescono di meno e sono più piccoli).
Trovo straordinario come da un seme così piccolo possano nascere piante alte fino a 3 metri con frutti pesanti fino a qualche centinaio di grammi. Certi pomodori sulla pianta mi ricordano una madre mingherlina che mette al mondo una creatura di 7kg: senza il tutore tutta la pianta verrebbe trascinata a terra.
E' una pianta che quindi richiede attenzioni per svilupparsi correttamente, ma credo che tutto ciò sia stato causato dalle ibridazioni. Pare infatti che la pianta originaria non fosse così alta né fornisse frutti dal peso proibito. Ancora oggi certe varietà (specialmente del sud) non crescono molto e non hanno bisogno di molte cure (alti tutori). Producono pomodori piccoli dalla buccia più spessa, che resiste meglio alle alte temperature del Salento o della Sicilia, ad esempio, e non fa evaporare il succo. Sto parlando del Tombolino, ad esempio, eccellente per la salsa.
Ma per chi, come me, ama la buccia sottile che racchiude una polpa succosa e densa non c'è varietà migliore del Costoluto o del Cuore di bue. Ottima la pasta fredda con uno di questi pomodori tagliato a cubetti, rucola selvatica, olive piccanti tagliate, capperi e olio extra vergine: il mio piatto estivo preferito, assieme ai fiori di zucchini fritti, gustati assieme all'immancabile insalata di pomodoro con cipollotto. D'inverno invece aprire un vaso di passata significa tuffarsi negli odori e sapori estivi, una sensazione che nessun barattolo di pelati potrà mai offrire.
Plurale: bel problema! Wiki ci informa che questo sostantivo (pomodoro, molto più raro il pomidoro) ha addirittura tre possibili plurali: pomidoro, pomidori e pomodori (quest'ultimo è oggigiorno di gran lunga il più usato).[5]
E l'Accademia della Crusca conferma: “i costituenti sono ormai totalmente fusi nel composto e dalla scomposizione del nome nei suoi costituenti non ricaviamo un sintagma semanticamente equivalente (un pomo d'oro non è, insomma un pomodoro)”.[6]
[1]http://gastronomo.myblog.it/tag/termine+azteco+tomatlo+xitomatl+che+significa+grande+tomatl
[2]http://it.wikipedia.org/wiki/Solanum_lycopersicum
[3]http://www.giallozafferano.it/ingredienti/Pomodori
[4]http://www.riza.it/dieta-e-salute/cibo/2690/pomodoro-toccasana-per-fegato-e-arterie.html
[5]http://it.wikipedia.org/wiki/Plurale_dei_sostantivi_e_degli_aggettivi_in_italiano
Apprezzabilissimo, piacevole intermezzo.
Da ex orticoltore ho apprezzato moltissimo questo articolo. Tonguessy, ti seguo spesso e sei in gamba.
Delicato e piacevole. Si, servono anche su appello al popolo queste pause
la patria italiana del pomodoro era la valle del sarno.Propedeuticamente ci hanno avvelenato il fiume e il suolo poi hanno fatto si che il pomodoro San Marzano non venisse più coltivato (facendo estinguere la varietà e da qualche annno ci rifilano un San marzano "ricostruito" ma lontanissimo dall'originale)) sostituendolo con la varietà Roma,dopo hanno distrutto i campi coltivati (cementificazione) e per ultimo chiuse le fabbriche di trasformazione. da territorio ricco a territorio da terzo mondo nel giro di pochissimi anni.
Il tuo commento rende conto delle difficoltà degli ultimi anni a trovarli in commercio. Pensavo che le popolazioni locali se li mangiassero tutti. Pur comprendendo l'egoismo, ero risentito. L'ira deve cambiare bersaglio.
Sono costernato nell'apprendere cosa è successo ai pomodori della tua zona. Ciò che mangiamo è parte integrante della nostra cultura: eliminare una parte significativa del nostro cibo equivale a dichiarare guerra alla nostra cultura. Mi pare che la battaglia sia ormai persa, mi auguro solo che quasto non significhi aver perso anche la guerra.
Non ho mai "capito" quelle piante di pomodorini di origine austriaca che mi furono regalate alcuni anni fa, sviluppate per resistere a quel freddo. Nè ho mai "capito" i pomodori del Salento che mi capita di mangiare quando ci vado: buccia troppo spessa e polpa troppo acida. Alla fine non vedo l'ora di tornare a mangiare i miei, di pomodori.
Penso che dopo una vita spesa a consumare una qualità di pomodori con la quale si sente una naturale affinità, cambiare sia traumatico. Ma queste reali necessità (culturali in senso lato) sono considerati inutili vezzi da parte di chi sostiene la globalizzazione, che passa anche per l'omologazione del gusto.