"Patto dell'euro" o liberazione dall'euro e dalla ue?
Indipendenza 19 giugno 2011 Rivistaindipendenza
Il 27 giugno il Parlamento Europeo ratificherà il "Patto dell'euro" (misure stabilite l'11 marzo dai 17 Capi di Stato e di Governo dell'eurozona per risolvere la crisi economica e favorire la competitività dell'area) che propone misure durissime per i cittadini dei Paesi in crisi economica, con tagli sociali, moderazione salariale, flessibilità e perdita dei diritti, e vantaggi soprattutto per chi è stato causa della crisi.
Nulla di nuovo. Semplicemente ulteriori strette neoliberiste di quel che già c'è. Si mira ad estendere su uno scenario continentale il laboratorio di compressione sociale greco. Come in tutti questi anni, Italia inclusa, non conterà che il governo di un paese sia di centrodestra o centrosinistra. Si tratterà di una melassa di esecutori che si accapiglierà localmente, in una logica di alternanza e di inesistente alternativa, per ambizione di (sotto)potere…
Qualche chicca di ciò che sarà approvato.
Per migliorare la competitività, i salari saranno vincolati alla produttività. Si abbasseranno ulteriormente le spese, iniziando dai costi del lavoro. Quindi "moderazione" degli stipendi, revisione dei contratti che non dipendono dall'andamento dell'impresa, "decentralizzazione dei processi di negoziato" (cioè, più negoziati a titolo personale e meno a livello collettivo o statale) evitando che i salari più alti del settore pubblico servano di riferimento a quelli delle imprese private.
Il "Patto dell'euro" scommette sulla cosiddetta formazione permanente, sulla flessibilità lavorativa, su più mobilità geografica, su più disponibilità a cambiare lavoro, su più impieghi temporanei, eccetera.
Per aumentare la sostenibilità delle finanze pubbliche, il Patto insiste sulla necessità di ridurre i deficit di bilancio sotto il 3%. Per questo raccomanda di riformare ancora il sistema di pensioni, sanità e prestazioni sociali.
Sulle pensioni, il Patto dà l'indicazione di vincolare l'età della pensione dei lavoratori alla media della speranza di vita di ogni Paese, stabilendo meccanismi permanenti di revisione delle pensioni, con possibili aumenti dell'età del pensionamento, quando la situazione economica lo esiga.
I governi sono "liberi" di decidere le misure da adottare per raggiungere questi obiettivi. Secondo il documento, "gli Stati membri seguiranno gli obiettivi d'accordo con le politiche scelte (…) La scelta delle politiche specifiche necessarie è responsabilità di ogni Paese".
Insomma, euro ed Unione Europea (UE) stanno significando un progressivo, drastico impoverimento sociale ed una progressiva, drastica restrizione delle conquiste sociali ottenute con le lotte sociali di fine anni Sessanta e inizi anni Settanta. Più Europa sta significando più degrado e sempre più accentuato massacro sociale. Tutto questo sta procedendo da tempo. Chi sostiene la necessità di restare nella UE e parla di lotte di cambiamento dall'interno, non è in grado né di indicare "come" farlo credibilmente, né di indicare "il" o "i" soggetti sociali di riferimento. “Europa dei popoli”, "Europa sociale", sono slogan molto diffusi nelle sinistre dei vari paesi europei, che hanno dimostrato tutta la loro astrattezza ed incapacità di contrapporsi all'Europa (atlantica) che c'è. In tutti questi anni nessun passo significativo è stato compiuto nella costruzione di una fantomatica “altra Europa”, semplicemente perché il sistema, irriformabile dal suo interno, ha una sua ragion d'essere immodificabile e tabelle e direzione precisa di marcia.
Uscire dall'euro e dalla UE è un tema che va posto urgentemente da sinistra. L'alternativa di oniriche ed inattuabili Europe di cambiamento è solo un alibi illusorio, un rumoreggiare impotente di fronte al massacro sociale e al degrado irreversibile e progressivo dei tessuti sociali e civili dei diversi popoli europei cui concorreranno anche queste direttive da "Patto dell'euro".
L'uscita dall'euro pone certo problemi, ma almeno affrontabili e superabili. Esperienze di altri paesi possono aiutare ad indirizzare lungo vie d'uscita praticabili. C'è l'esempio dell'attuale crisi dell'Islanda, che ha deciso di far fallire le banche private indebitate e di svalutare la propria moneta; c'è l'esempio dell'Argentina di inizio anni 2000 che, sull'onda della bancarotta (tipo, di fatto, la Grecia odierna), decise di sganciare la propria moneta dalla dipendenza dal dollaro. Si deve quindi partire da un fondamento imprescindibile di piena sovranità da acquisire, conquistare. In questa direzione è bene ragionare ed aprire un confronto a sinistra. Il rischio, altrimenti, quando il meccanismo di compressione dell'euro e dell'Unione Europea giungerà a livelli di insopportabilità sociale e scoppierà, sarà di lasciare campo libero alle destre, che sapranno torcere e declinare il desiderio di indipendenza e sovranità dei popoli nelle forme di Stati autoritari, capitalistici e fascisti che la storia di tanti paesi europei ha già conosciuto nel Novecento.
Non c'è tempo da perdere.
assolutamente d'accordo, è parecchio che vado dicendolo
http://robuz.wordpress.com/2011/06/23/fuori-dalleuro-ii/