Ripartire dal ‘margine’
di Alessandro Bolzonello
Il ruolo di genitore mi porta a stretto contatto con l’istituzione ‘scuola’. Ho incontrato scuole materne ed elementari. L’esperienza, per quanto parziale, mi ha fatto intravedere due tipologie di istituti scolastici: quello ‘centrale’ e quello ‘periferico’.
L’istituto ‘centrale’ (logisticamente situato nelle aree più residenziali) presenta i tratti della professionalità e dell’avanguardia; adotta linguaggi moderni e ricercati, gli stessi presenti nelle riviste specializzate; pullula di iniziative parascolastiche rigorosamente innovative. L’obiettivo è chiaro: fornire ai ragazzi saperi e competenze al passo con i tempi, adeguate ad affrontare il futuro e, allo stesso tempo, rassicurare i genitori che i loro figli saranno aiutati ad emergere nella competitività del mondo contemporaneo. Grande sintesi di ciò è la definizione di scuola delle tre ‘i’: inglese, impresa e informatica.
Diverso è ciò che riscontro negli istituti scolastici 'periferici': situati a debita distanza dal ‘centro’, nelle zone più popolari, lontani dai riflettori; seguono logiche semplici e lineari, quasi banali. La scuola risulta uno spazio di espressione e vita, sia per gli insegnanti che per i ragazzi. Prevale una sorta di ascolto e assecondamento delle giovani vite, per quelle che sono.
Nella percezione comune la prima è la scuola abilitata a formare la classe dirigente, capace di far emergere le persone; la seconda si configura come un mero luogo di intrattenimento dei giovani, finalizzata a trasmettere le principali istanze della scuola, la lettura e la scrittura.
Il paradigma dell’innovazione-produzione-consumo ha spadroneggiato in tutte le istituzioni, dalla famiglia all’impresa, dall’associazionismo alla politica. Anche nella scuola ha preso il sopravvento l’idea che la 'novità' sia un valore di per sé al di là del fabbisogno, che il ‘fare’ sia giustificato ogni qual volta sia presente un 'appetito', al di là dello specifico valore, dei suoi effetti e delle sue ricadute. Questo approccio, potente e profondo, vincente e pervasivo, rappresenta una semplificazione inaccettabile: fuorviante e limitato, miope rispetto alle molteplici dimensioni della vita. Vero e proprio doping mentale.
Abbiamo bisogno di una prospettiva più ampia, di agire in funzione di obiettivi più alti e a lungo termine. Ecco che il ‘margine’ rappresenta il luogo e lo spazio più consono dal quale ripartire, quello meno contaminato, meno snaturato, anche più pulito. Un terreno ancora non avvelenato che, opportunamente curato, può essere foriero di nuovo senso e nuovo significato.
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Caro Alessandro,
credo che sia molto vero ciò che scrivi. Anche io sono persuaso che ciò che si offre "al centro" non sia ciò che veranente è importante per la formazione dei bambini e poi degli uomini.
Il dubbio riguarda ciò che si insegna "al margine". Mi auguro che le cose stiano veramente come dici tu e che la tua esperienza corrisponda a una diffusa tendenza.
Il mio rapporto con la scuola sta per cominciare. I gemelli quest'anno sono andati in asilo nido (privato; nel pubblico non c'erano posti per noi), situato nella campagna attorno a Perugia. Non si tratta di una scuola. La materna è già una scuola. Ebbene, a parte che ho scoperto che l'asilo è in Franchising (avrai capito che odio questo contratto della distribuzione): i) hanno organizzato una festa in maschera il giorno di halloween – anche i genitori erano invitati a mascherarsi (ovviamente quel giorno i miei figli non sono andati all'asilo); ii) hanno proposto di seguire un corso di inglese a pagamento che si sarebbe svolto e probabilmente si sta svolgendo durante l'orario di scuola (di asilo nido) – ovviamente ho declinato l'invito; iii) hanno proposto una settimana bianca a tutta la famiglia (ovviamente non la faremo); iv) hanno la televisione, che spero non accendano, come mi sono permesso di chiedere (a casa ne abbiamo una molto vecchia che sta sempre spenta).
Inoltre, qualche giorno fa ho sfogliato il sussidiario di mio nipote che frequenta la seconda elementare (in realtà mi sembra di aver capito che il sussidiario non esista più – era uno dei tanti libri). C'erano storie di bambini che "guardavano con odio il cibo che si trovava sulla tavola", quando è noto che i bambini non guardano mai con odio e che non vi è alcuna ragione per far leggere ai bambini storie di babini che guardano con odio il cibo. A un bambino che sosteneva di mangiare tanta verdura ("io ne mangio tanta"), la madre rispondeva: "dimmene una". In altre storie il bambino narrante muoveva dal timore che "la mamma si arrabbierà di brutto"; e effettivamente qualche riga più giù la storia confermava che la mamma si è "arrabbiata di brutto"; questo linguaggio gergale alla Totti (mio nipote vive a Roma) era dominante; c'erano voci verbali completamente sbagliate sotto il profilo grammaticale. Insomma una miserabile schifezza.
Per me quel libro è la prova che molte maestre non sanno più nemmeno scegliere i libri di testo (mi dicono che la scuola, in base a precise disposizioni normative, lo ha scelto a maggioranza per tutte le classi); che il mercato editoriale è entrato prepotentemente nei libri di testo per le elementari; che anche qui bisogna ricentralizzare, autorizzando sette sussidiari (un solo libro: di nuovo come un tempo), con motivazioni che spieghino perché ne sono stati autorizzati sette e non uno solo. La libertà di insegnamento dei docenti consiste nella scelta tra uno dei sette sussidiari. Questa è la vera libertà; il resto è mercato dell'editoria per il quale i bambini sono carne da macello.
Avrai compreso che più rifletto sugli aspetti sovrastrutturali, che sono quelli che veramente mi interessano, e più mi ridivento socialista (in senso piuttosto specifico e non lato). Ciao e grazie per l'ottimo articolo