Ladri di Costituzione
di MARIO GIAMBELLI (ARS Lombardia)
E’ notizia di giovedì 15 ottobre 2015 che “il Cile avrà una nuova costituzione”. Lo ha annunciato la Presidente, Michelle Bachelet, spiegando, con un discorso in televisione, che “la scrittura del nuovo testo è già cominciata, ma richiederà molto tempo e sarà accompagnata da un processo che coinvolgerà i cittadini. Da marzo a ottobre del 2016 la popolazione potrà dialogare con le istituzioni per esprimere le proprie opinioni sulla costituzione. La proposta sarà poi presentata al parlamento nel 2017 e il testo finale sarà oggetto di un referendum” (http://www.internazionale.it/notizie/2015/10/15/cile-nuova-costituzione).
Mai e poi mai avrei potuto immaginare, avendo ancora fresco il ricordo del momento in cui raggiungemmo l’apice storico del progresso democratico (con il tentativo, posto in essere negli anni 60-70 del secolo scorso, di applicare il programma di trasformazione economica e sociale recepito dal secondo comma dell’art. 3 Cost.), che il Cile potesse impartire una così impressionante lezione di democrazia al nostro Paese.
Alle dichiarazioni della Sig.ra Bachelet fa da miserabile contraltare la riforma costituzionale approvata dal senato il 13 ottobre scorso, con una maggioranza raffazzonata e resa possibile dal premio di maggioranza dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale (sent. n.1 del 13 gennaio 2014), con una serie di vergognose forzature di prassi e regolamenti parlamentari (come ad es. l’art. 85 bis comma 4 del Regolamento della Camera, che vieta l’uso del c.d. “canguro” nella discussione dei progetti di legge costituzionale: F. Casson, Decisione pericolosa della giunta, il Manifesto, 31 luglio 2014 http://ilmanifesto.info/casson-decisione-pericolosa-della-giunta-ora-emendamenti-sottoposti-alla-variabile-politica/) e, fatto particolarmente grave, senza la partecipazione al voto delle opposizioni, che avevano abbandonato l’aula di Palazzo Madama.
I “ladri di Costituzione” (così vengono definiti dal prof. Massimo Villone i senatori che hanno approvato la riforma della Carta fondamentale: http://ilmanifesto.info/caro-zagrebelsky-il-confronto-referendario-e-gia-in-atto/) hanno dunque consumato il loro crimine, approvando una riforma costituzionale che “dissolve l’identità della Repubblica nata dalla Resistenza” [come scriveva ieri il Manifesto (http://ilmanifesto.info/la-peggiore-riforma/), anche se in imbarazzante ritardo visto che “l’identità della Repubblica nata dalla Resistenza” è già stata ampiamente “dissolta” dalla legge costituzionale 20 aprile 2012 n.1 ed, ancor prima, dall’adesione dell’Italia ai Trattati UE].
Lo hanno consumato incuranti del fatto che il disegno di legge Renzi-Boschi (http://www.altalex.com/documents/leggi/2014/08/21/riforma-del-senato-il-disegno-di-legge-approvato-dal-consiglio-dei-ministri) era stato demolito, anche in sede di “audizione in commissione Affari costituzionali” (http://orizzonte48.blogspot.it/2014/07/laudizione-i-costituzionalisti-e-il.html), da autorevoli giuristi e costituzionalisti (solo per citarne alcuni: Gaetano Azzariti, Lorenza Carlassare, Gianni Ferrara, Alessandro Pace, Stefano Rodotà, Massimo Villone, Gustavo Zagrebelsky, Salvatore D’Albergo, Francesco Bilancia, Domenico Gallo, Mario Dogliani, Luigi Ferrajoli, Giuseppe De Vergottini).
Alcuni dei quali, mossi da “una rabbia civile che non consente il silenzio” (M.Villone, cit.), avevano pubblicato, sul Manifesto del 13 ottobre, un testo con cui denunciavano che il vero obiettivo della riforma era quello di costituzionalizzare, “in sinergia con la legge elettorale italicum”, “lo spostamento dell’asse istituzionale a favore dell’esecutivo”, stravolgendo “radicalmente l’impianto della Costituzione del 1948”, “riducendo la partecipazione democratica” e “mettendo il bavaglio al dissenso”, con un indiscutibile “impatto sulla sovranità popolare, sulla rappresentanza, sulla partecipazione democratica, sul diritto di voto” e minando quell’ “assetto istituzionale” che “è decisivo per l’attuazione dei diritti e delle libertà di cui alla prima parte” della nostra Legge fondamentale, com’era già risultato “evidente dalla sciagurata riforma dell’articolo 81 della Costituzione”.
Renzi ed il suo governo, con il sostegno dell’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – che la ministra Boschi, con soave candore, ha definito “il vero padre di questa riforma” (n.b.: il custode della Costituzione sarebbe il padre di una riforma che la sovverte in modo radicale…) – dovevano tuttavia fare quanto richiesto dalla “finanza globale, soprattutto americana”, ovvero traghettare lo Stato “da una democrazia parlamentare a una presidenziale con forte connotazione autoritaria”: l’unica forma di governo ritenuta adatta a governare la crisi e i suoi futuri “prevedibili sconvolgimenti” (G. Piccioli, Vogliono gestire il dissenso senza disturbi, il Fatto Quotidiano, 8 luglio 2014: http://www.libertaegiustizia.it/2014/07/08/vogliono-gestire-il-dissenso-senza-disturbi/).
Nulla di nuovo, del resto. Tutte le proposte di riforma costituzionale presentate dalle forze politiche nell’ultimo trentennio viaggiano nella stessa direzione: dare più potere al potere (http://www.ordinegiornalisti.veneto.it/files/FORMAZIONE/MATERIALI_FORMAZIONE/Riccamboni_Riforme_istituzionali%20_1979-2014__5_novembre_2014.pdf).
A cominciare dal messaggio alle camere (http://www.formiche.net/files/2013/08/messaggio-alle-camere-del-presidente-della-republica.pdf) con cui l’allora Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, il 26 giugno del 1991 esortava il parlamento “ad attuare una profonda riforma della Costituzione, che avrebbe dovuto portare ad una modificazione della forma di Governo, della forma di Stato, del sistema dell’indipendenza della magistratura”, nonchè a realizzare “una riforma elettorale per superare il sistema proporzionale a favore di un sistema maggioritario” (D.Gallo, Coordinamento per la Democrazia costituzionale, relazione del 14 settembre 2015, scaricabile a questo link: http://www.domenicogallo.it/view.asp?id=273).
In buona sostanza, al “picconatore” (così soprannominato per la sua naturale propensione ad aggredire la legalità costituzionale) “il disegno di democrazia costituzionale delineato dai padri costituenti non andava bene perché aveva creato un’architettura dei poteri che, attraverso il ruolo centrale del Parlamento e l’autonomia delle istituzioni di garanzia (magistratura e Corte Costituzionale) impediva la nascita di un “potere forte” e di un Governo “stabile” (per legge)”. Per ottenere tali risultati [che oggi, nella Relazione introduttiva al disegno di legge di revisione costituzionale Renzi-Boschi (AS 1429), vengono indicati con le locuzioni “stabilità dell’azione di governo” ed “efficienza dei processi decisionali”, viste quali “premesse indispensabili per agire, con successo, nel contesto della competizione globale”], secondo il nostro “gladiatore”, “occorreva modificare la natura del Parlamento, attraverso una legge elettorale maggioritaria che facesse prevalere la “governabilità” sulla rappresentatività, eliminare il bicameralismo perfetto, mettere le briglie alla magistratura riportando la funzione del Pubblico Ministero nell’alveo dei poteri di maggioranza” (D.Gallo, cit.).
Ogni successivo tentativo di riforma costituzionale ha perseguito analoghi obiettivi. Ricordiamo, per esempio, tristemente, i progetti di riforma tendenti a ridisegnare il ruolo e le funzioni del Senato, elaborati, dapprima, dalla Commissione bicamerale istituita nel 1997 (presieduta da Massimo D’Alema) e, successivamente, ricompresi nel disegno complessivo di riforma della II parte della Costituzione, approvato da una maggioranza di centro destra nel 2005 e bocciato dagli elettori grazie al referendum del 25/26 giugno 2006.
Sullo sfondo della globalizzazione ordoliberista e con la copertura del martellamento mediatico, che spacciava per “riforme” (narrate come necessarie e improcrastinabili, a prescindere dal loro contenuto: ciò che conta, per crescere, è cambiare, come afferma una martellante pubblicità televisiva di questi giorni) le picconate via via inferte alle conquiste sociali del secondo dopoguerra (dal sistema pensionistico alle garanzie dei lavoratori, dal sistema sanitario pubblico alla pubblica istruzione), nonché alla forma di stato (con la legge costituzionale 20 aprile 2012 n.1, lo si è visto qui: https://www.appelloalpopolo.it/?p=13680 e qui: https://www.appelloalpopolo.it/?p=14453), tutte le proposte di riforma istituzionale presentate nelle precorse legislature (ugualmente descritte come indifferibili e necessarie per affrontare le sfide della globalizzazione e dei mercati) miravano a depotenziare il ruolo centrale del Parlamento e a rafforzare quello del governo, in quella “prospettiva efficientistica e tecnocratica” che dominava e che “domina la scena europea” (così concludeva la Prof. Alessandra Algostino, In tema di riforme costituzionali, Brevi note sulla proposta di riduzione del numero dei parlamentari, in riv. AIC, n.2/2012, p. 6: http://www.rivistaaic.it/in-tema-di-riforme-costituzionali-brevi-note-sulla-proposta-di-riduzione-del-numero-dei-parlamentari.html, con riferimento alla proposta di riduzione del numero dei parlamentari contenuta nel disegno di legge costituzionale denominato “abc costituzionale” presentato il 18 aprile 2012 in Commissione Affari costituzionali del Senato. Ma si tratta di considerazioni valide anche per le proposte contenute nel disegno di legge costituzionale Renzi-Boschi ed in quelli precedenti).
Il fine era sempre quello di “predisporre «un quadro di comando verticale» svincolato dagli ostacoli della dialettica sociale e quindi dalle istanze considerate incompatibili con le strategie dei «mercati finanziari» e delle «grandi agenzie internazionali»” (G.Bucci, Parlamentarismo senza parlamento: a proposito dell’attacco al bicameralismo perfetto, in Rivista telematica dell’Associazione “Gruppo di Pisa”, 2014, 2, http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2014/11/bucci.pdf, ove si citano, in nota 6, analoghe conclusioni di Gustavo Zagrebelsky e Paolo Maddalena).
La riforma costituzionale approvata dal senato, interagendo con la riforma elettorale (il c.d. “italicum”), stravolge così “il volto della democrazia costituzionale come prefigurato dai padri costituenti. Da un sistema basato sulla rappresentanza e sulla centralità del Parlamento, si passa ad un sistema basato sull’investitura del Capo politico e sulla centralità del governo; da un sistema basato sulla distribuzione ed equilibrio dei poteri ad un sistema basato sulla concentrazione dei poteri nelle mani del Capo politico e sull’indebolimento delle istituzioni di garanzia (Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale e – per conseguenza – indipendenza della magistratura)” (D.Gallo, La resistibile ascesa delle riforme di Matteo e Silvio: come si costruisce una svolta autoritaria, in micromegaonline, 7 luglio 2014: http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-resistibile-ascesa-delle-riforme-di-matteo-e-silvio-come-si-costruisce-una-svolta-autoritaria/).
Palesemente diretta a dare “una torsione fortemente maggioritaria e centrata sull’esecutivo al sistema nel suo complesso”, sminuisce decisivamente “i poteri del Parlamento, cui lo stesso Governo dovrebbe essere sottoposto per la fiducia, il controllo e la vigilanza” (M.Villone, Renzi, quando finisce una favola, il Manifesto, 8 agosto 2014: http://ilmanifesto.info/renzi-quando-finisce-una-favola/).
Una norma, in particolare, sembra sanzionare il predominio del Governo sul Parlamento: è il sesto comma dell’art. 12 del disegno di legge costituzionale. Modificando l’art. 72 della Costituzione, essa attribuisce al Governo il potere di “chiedere alla Camera dei deputati di deliberare che un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto a votazione finale entro sessanta giorni dalla richiesta”.
Il Prof. Gaetano Azzariti, commentando tale norma (in Nuovo senato debole, governo fortissimo, il Manifesto, 29 ottobre 2014: http://ilmanifesto.info/nuovo-senato-debole-governo-fortissimo/), osserva acutamente che la sua “formulazione assai generica” “rimette al Governo stesso l’ampiezza del suo potere”, poichè “nulla impedirà […] di far ritenere essenziale per l’attuazione del programma ogni disegno di legge, anche il più esoterico” (eccetto “i casi di cui all’art. 70, primo comma”: le leggi bicamerali, le leggi elettorali, le leggi di ratifica dei trattati internazionali e le leggi approvate a maggioranza speciale). “La vicenda dell’abuso della decretazione d’urgenza”, prosegue l’illustre costituzionalista, “e l’interpretazione disinvolta dei ben più stringenti limiti della “straordinaria necessità e urgenza”, dovrebbero far capire che non sarà una formula di stile (“essenziale per l’attuazione del programma”) a frenare l’abuso del nuovo istituto da parte dei prossimi governi”. E’ perciò evidente che la norma, “rafforzando le prerogative dell’esecutivo” (e comprimendo, di riflesso, quelle del Parlamento), “incide profondamente sugli equilibri costituzionali”. Il “più vicino parente del voto a data certa”, conclude il Prof. Azzariti, “è l’istituto francese del vote bloqué. Un istituto che ha concorso a rendere il parlamento d’oltralpe tra i più deboli in Europa e ha contribuito a concentrare l’intera dialettica politica altrove: nel rapporto tra presidente della Repubblica e primo ministro”.
Ne esce una gravissima distorsione della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione del 1948, nella quale invece la forma di stato, quella di governo ed il sistema elettorale “sono stati concepiti come parti di un disegno organico” e risultano “connessi in modo tale da potenziare il processo di emancipazione sociale delineato nei Principi fondamentali e nella Prima Parte della Costituzione” (G.Bucci, op. cit., 9).
L’architettura dell’ordinamento, posta al servizio della forma di Stato (cioè dei fini che lo Stato sociale dovrebbe perseguire), è stata disegnata dai padri costituenti anche allo scopo di impedire che, nel caso in cui fossero giunte al governo “forze politiche caratterizzate da cultura o aspirazioni antidemocratiche (come avviene da molti anni in Italia)”, tali forze potessero “realizzare una trasformazione autoritaria delle istituzioni, aggredendo il pluralismo istituzionale (per es. l’indipendenza della magistratura) o il sistema delle autonomie individuali e collettive (libertà di espressione del pensiero, libertà di associazione, diritto di sciopero, etc)” (D. Gallo, Coordinamento per la Democrazia costituzionale, cit.; cfr. anche L.Basso, Il principe senza scettro, Milano, 1958, cap. quarto, 195-196).
L’idea di democrazia sociale accolta dalla nostra Carta fondamentale – alla quale è funzionale un’organizzazione dei pubblici poteri massimamente rappresentativa – è un regalo tanto prezioso quanto irreversibile della Resistenza e dello spirito che l’ha animata (https://www.appelloalpopolo.it/?p=12990) ed è perciò incompatibile con qualsiasi forma di dittatura della maggioranza.
Non è dunque casuale l’ultraventennale aggressione, costantemente perpetrata dal “partito unico dell’ordoliberismo”, all’ordinamento democratico costituzionale, vissuto “come un impaccio, come una serie di fastidiosi vincoli, di cui sbarazzarsi per restaurare l’onnipotenza dei poteri decisori” (D.Gallo, op. ult. cit.).
Con la riforma costituzionale passata al senato il 13 ottobre (e, in particolare, con il sesto comma del suo art. 12) «l’attacco alla democrazia sociale trova […] il proprio compimento, perché la sanzione del primato del governo sul parlamento nel processo di elaborazione degli indirizzi politico-legislativi, aggiungendosi all’introduzione del principio del pareggio di bilancio, determina la piena integrazione fra la “governabilità istituzionale” e la “stabilità economica”» (G.Bucci, op. cit., 17).
D’altra parte, oggi la “governabilità” è la “governabilità di chi controlla il mercato per l’implementazione del modello neoliberista” e, sul versante del sistema elettorale, il maggioritario è “uno strumento classista per riservare il governo ad una oligarchia economica e politica”. La diseguaglianza del sistema elettorale, in altre parole, diventa l’ “elemento per la riproduzione e l’incremento della diseguaglianza politica e sociale”. (A. Algostino, La legge elettorale del neoliberismo, in Democrazia e diritto, fascicolo 2/2014 (http://www.francoangeli.it/riviste/Scheda_Rivista.aspx?IDArticolo=52270&idRivista=116).
Tutto ciò “ripristina il nesso di compenetrazione organica fra lo stato-apparato e gli interessi economico-finanziari, su cui si incardinava lo stato liberale e lo stato fascista-corporativo” (G.Bucci, op. cit., 17). In nome della competitività, una ristretta classe sociale “impone il suo modello economico e nel contempo un sistema politico conforme alle sue esigenze” (A.Algostino, op. ult. cit.)
“L’istituto del “voto a data certa” introdotto dal disegno di legge costituzionale, evoca del resto la cultura istituzionale sottesa alla previsione dell’art. 6 della Legge 24 dicembre 1925, n. 2263 che condizionava gravemente l’autonomia del Parlamento, attribuendo al Capo del Governo il potere di determinare la formazione dell’ordine del giorno delle Camere” (G.Bucci. op. cit., 17).
C’è puzza di fascismo, insomma, ed è impossibile non percepirne il fetore.
Ironia della sorte: chi ha avuto un Pinochet avrà ora una nuova costituzione democratica; noi, che abbiamo vissuto l’apice storico del progresso democratico con la Costituzione del 1948, abbiamo ora un “Pinocchietto” (http://iogiornalista.com/renzi-bugiardo-pinocchietto/) con “aspirazioni antidemocratiche“.
Sulla gamma dei problemi di grave violazione della legalità costituzionale posti dalla riforma Renzi-Boschi si è espresso, con la solita efficacia, il dott. Luciano Barra Caracciolo nel suo articolo del 15 ottobre scorso (http://orizzonte48.blogspot.it/2015/10/riforma-costituzionale-i-problemi-che.html).
L’Autore, concludendo il suo articolo, esprime un forte pessimismo sulla possibilità che il referendum (sempre ammesso che i partiti di governo e di “teorica” opposizione ce lo concedano) possa avere un esito oppositivo e spazzare via la riforma. E purtroppo, oggettivamente, il suo pessimismo appare ben motivato.
Se arriveremo a quel punto, tuttavia, non avremo altre scelte per impedire che, da materiale, la c.d. “nuova costituzione economica europea” (la demoliremo, come promesso, nel prossimo articolo del 5 novembre) si trasformi addirittura in costituzione formale.
Certe battaglie si devono combattere, anche sapendo di poterle perdere. I nostri padri, o i nostri nonni, quando è stato il momento, le hanno combattute, anche se sembravano disperate. Ed in gioco non c’era, per loro, l’esito di un referendum (per quanto importantissimo), ma la vita.
E’ un’eredità morale che dobbiamo difendere con ogni mezzo.
Dovremo impegnarci, sia come singole persone, sia, a maggior ragione, come patrioti e militanti sovranisti, a lottare per la vittoria del “no” al referendum.
Occorrerà sviluppare un’azione capillare e martellante, contattando persone, organizzando incontri pubblici sulle ragioni del “no”, sacrificando una larga parte delle nostre giornate per difendere la legalità costituzionale violata.
E, con l’occasione, parleremo ovviamente di sovranismo.
Ciò mi rende un pochino meno pessimista del dott. Barra Caracciolo.
E’ vero che i “nuovi costituenti” (e pensare che i “vecchi costituenti” erano intellettuali del calibro di Mortati, Basso, Calamandrei, Ruini, Gonella, Lombardi, La Pira, Ghidini, Rossi, Fanfani, Togliatti, ecc. I “nuovi” sarebbero Renzi, la Boschi e quella pletora di nullità che li circonda. I “nuovi costituenti“: gente dotata di un’indiscutibile comicità involontaria) la butteranno sui soliti luoghi comuni, del tutto privi di fondamento, ma di indubbia efficacia sull’opinione pubblica (li indica chiaramente il dott. Barra Caracciolo al punto 4 del suo articolo). E’ pure vero che i “ri-costituenti” eviteranno accuratamente ogni confronto sul merito, ma non credo che in questa battaglia saremo soli.
Molta gente voterà secondo coscienza e non su indicazione di partito. Forse voterà una parte degli astenuti alla ultime elezioni ed a quell’area dovremo rivolgerci per costruire il fronte del “no”.
Molto dipenderà dal nostro impegno.
Prepariamoci sin d’ora. Ci sarà da lavorare, ma proprio per questo siamo nell’ARS e moltiplicando le nostre forze sarà meno difficile vincere la sfida.
Ci libereremo!
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