Sovranismo e forma. Teorie dialettiche e Costituzione (1 parte)
di JACOPO D’ALESSIO (FSI Siena)
Le norme morali sono nate per facilitare la coesione e la sopravvivenza del gruppo nelle difficili condizioni delle società primitive, e la religione è intervenuta (…) per garantirle e dare loro appunto una fondazione originaria inattaccabile dallo spirito del tempo
Costanzo Preve
Di questo moto costruttivo, di questo divenire della classe come soggetto, nell’impostazione di Fortini, l’estetica, l’arte in generale, è componente fondamentale. E per due ragioni: innanzitutto, per il suo essere ‘campo di prova’, luogo di sperimentazione, nel simbolico, di un’attività umana integralmente autonoma, libera perché auto-riflessiva e consistente di sé; quindi, per il suo determinarsi nella vita reale, pratica storica, come implicita e coerente proposta umana, ipotesi di soggettività compiuta, figura di una conciliazione possibile di soggetto e oggetto
Daniele Balicco
Parte prima. Le forme letterarie e il nichilismo
1. L’ingresso del popolo nel romanzo
Partendo principalmente da un’idea di Auerbach (i), che si invera pienamente in Italia solo con il realismo de I promessi sposi, Guido Mazzoni compie un’analisi archeologica del romanzo (ii). Il punto centrale del suo discorso è che tale forma estetica riesce a dare finalmente voce ad un semplice artigiano di nome Renzo Tramaglino, così come più in generale alla massa delle persone comuni. Quest’ultime infatti erano state estromesse per secoli dai grandi racconti che avevano avuto come soggetto narrante, e oggetto narrato, l’aristocrazia e i vincitori della Storia.
Gli eroi e i cortigiani erano i soli protagonisti che abitavano i generi più antichi, rispettivamente della tragedia, dell’epica e della poesia. E anche là dove partecipavano contadini, pastori, falegnami, si trattava in realtà di mere comparse, il cui punto di vista apparteneva allo stesso scrittore che li metteva in scena. In altre parole, tali personaggi erano privi di voce propria la quale, di fatto, proveniva da una diversa estrazione sociale, incapace o, comunque, non interessata a rappresentarli.
Con l’opera dapprima introdotta da Walter Scott in Inghilterra e, successivamente, in Italia con Manzoni, il romanzo diventa, invece, espressione della democrazia moderna e di ciò che di positivo può trovarsi in essa. Il romanzo permette, cioè, l’ingresso nella Storia anche del popolo, e così dell’uomo qualunque con valori del tutto soggettivi, pensieri reconditi e la sua vita privata, come definisce Mazzoni, ‘media’.
Il racconto riesce ad avvicinarsi all’esistenza empirica realmente vissuta degli umili che il narratore chiama con nomi propri in quanto si attribuiscono per la prima volta a degli individui. Realtà quotidiana, dunque, mero esistente privo di trascendenza e individualismo sono, secondo la tesi di Auerbach, i contenuti dell’epos secolarizzato nella sua versione moderna.
2. Il romanzo e il carnevalesco
Mazzoni rivela inoltre come il romanzo esprima parallelamente anche l’idea del carnevale di Bakhtin (iii), l’autore russo che, insieme ad Auerbach, rappresenta l’altra corrente critica principale di questo genere letterario. Il carnevalesco è infatti un momento folcloristico di festa nel quale viene concesso al popolo di schernire i valori codificati e le istituzioni. Durante il carnevale il mondo viene capovolto e i ruoli della società si invertono: l’assassino condanna il giudice, il contadino diventa ricco, il suddito sostituisce il principe, e così via.
Ma se il carnevale è un momento temporaneo, una parentesi dell’anno, il romanzo viceversa è una forma oggettiva (iv), pur sempre dinamica, e tuttavia consolidata con leggi ancora oggi peculiari e riconoscibili. Si tratta infatti, come sosteneva Hegel, del genere letterario che ormai da alcuni secoli a questa parte costituisce l’espressione del ceto borghese (v). I personaggi che lo abitano possono affermare tutto e il contrario di tutto; è infatti il luogo dove si smarrisce il diritto di scrivere sul giusto e sullo sbagliato.
La civiltà antica, attraverso l’epos, dava il suo Essere come immobile e certo, mentre quella moderna è caratterizzata dal cambiamento continuo. Se l’aristocrazia greca, così come quella feudale, fino allo scoppio della Rivoluzione Francese, considerava se stessa come un’umanità organica, cui apparteneva un codice etico condiviso indistintamente da tutti i suoi membri, la borghesia, al contrario, attraverso il romanzo, offre un’immagine di sé del tutto frammentata (vi). Si tratta di un ceto che si auto-rappresenta per mezzo di monadi disordinate, sottratte a qualsiasi paradigma ontologico di sorta, religioso incluso.
3. Il romanzo e la democrazia
Ciascuna monade solitaria percepisce la propria esistenza nell’illusione che sia l’unica veramente autentica. E naturalmente Facebook, continua Mazzoni, diventa una delle inevitabili varianti, incarnata stavolta nella forma del diario telematico, che dà luogo all’esito successivo di un tale percorso. Ma l’idea che l’ego moderno, narcisistico, percepisce di sé si rivela, appunto, solo una chimera. Al contrario, la vita di ognuno si inserisce in serie omologate dalle quali l’individuo, per mezzo di illusioni virtuali, o meno, cerca inutilmente di sfuggire.
Difatti l’unicità, cui il singolo vorrebbe rimanere aggrappato, in vero sparisce, travolta da un magma di azioni meccaniche e ripetitive che vanno inevitabilmente a comporre la massa reificata (ridotta a cosa). Ad esempio, spiega Mazzoni, nell’opera di Tolstoij, prìncipi, impiegati, operai, soldati, giornalisti (è in queste circostanze che emerge con veemenza il carnevalesco di Bakhtin) vengono de-contestualizzati da gerarchie sociali definite. E le loro opinioni, non importa quanto siano significative, si confondono anch’esse in un mare eterogeneo che ne azzera il valore.
Possiamo concludere che il romanzo è democratico anche per un motivo diverso, quindi, rispetto a quello che era emerso in precedenza, in un’accezione adesso del tutto negativa: ovvero, diventa portavoce del relativismo assoluto, e di un popolo che è stato completamente sradicato da ogni punto di riferimento. Meglio ancora, il romanzo testimonia l’avvenuta perdita della patria trascendentale e della vita comunitaria che di quella trascendenza costituiva l’essenza (vii).
4. Sovranismo e melanconia
Il soggetto politico potrà allora scegliere di cimentarsi nell’interpretazione dell’universo simbolico anche nell’intento di captare il disagio esistenziale che quello esprime: il lamento – o la melanconia. Quest’ultima è la nostalgia nei confronti della patria trascendentale che, secondo la teoria del giovane Lukàcs, il romanzo riesce a sublimare proprio nel momento in cui ne denuncia la scomparsa (viii).
E qui sta il paradosso del romanzo che, mentre racconta la solitudine dell’individuo sul piano del contenuto, assume però esso stesso la funzione di rito compensatorio sul piano del linguaggio. In altri termini, l’immagine negativa di quest’assenza diventa consapevolezza reale del vuoto lasciato dall’ontologia, tale che legittima il lettore a reclamarla.
“L’estetica, l’arte in generale, è componente fondamentale. E per due ragioni: innanzitutto, per il suo essere ‘campo di prova’, luogo di sperimentazione, nel simbolico, di un’attività umana integralmente autonoma, libera perché auto-riflessiva e consistente di sé; quindi, per il suo determinarsi nella vita reale, pratica storica, come implicita e coerente proposta umana, ipotesi di soggettività compiuta, figura di una conciliazione possibile di soggetto e oggetto” (ix).
Consisteva fondamentalmente in questo la soluzione della Teoria Critica: che la mancanza temporanea di una società più organica non impedisce al desiderio, che anela a quella, di incarnarsi immediatamente in una forma concreta, in quanto premessa ideologica dell’azione politica. Da qui la necessità dei partiti sovranisti di edificare una narrazione che non demandi le proprie aspettative ad un ipotetico futuro alienato nella distanza di un tempo imperscrutabile, ma di attualizzare il conflitto nel presente (proposta umana, ipotesi di soggettività compiuta). Per le ragioni che vedremo tra poco, tale simbolo non può essere soltanto frutto di una scelta arbitraria ma dovrà investire la comunità (conciliazione possibile di soggetto e oggetto), e trova perciò, anzitutto, la sua rappresentazione storico-oggettiva nella Costituzione del ’48.
Note:
i) E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Einaudi, Torino, 1956.
ii) Tutta la prima parte di questo articolo costituisce una sintesi, e prende spunto, da un saggio breve di Guido Mazzoni, dal quale si sono estratte alcune riflessioni di carattere teorico-politico, in G. Mazzoni, I nomi propri e gli uomini medi: romanzo, scienze umane, e democrazia, in Le parole e le cose 04/Aprile/2016, http://www.leparoleelecose.it/?tag=guido-mazzoni.
iii) M. Bakhtin, L’opera di Rebalais e la cultura popolare, riso e festa nella tradizione medioevale e rinascimentale, Einaudi, Torino, 1979.
iv) G. Luckàcs, L’anima e le forme, Edizioni SE, Torino, 2002.
v) G.W.F. Hegel, Esteteica, Einaudi, Torino, 1976.
vi) G. Lukàcs, Teoria del romanzo, Newton Compton, Torino, 1972.
vii) Ibid. Nei termini hegeliani, di cui Luckàcs si fa interprete, la patria trascendentale corrisponde alla dimora del senso, chiamata in altra sede ontologia dell’essere sociale, in G. Luckàcs, Ontologia dell’essere sociale, Pgreco Editori, Milano, 2012.
viii) Ibid. La melanconia percorre una parabola storico-filosofica ambigua, in quanto diviene regressiva nell’interpretazione di Heidegger e, viceversa, utopica nell’uso che ne fecero invece Luckàcs e la Scuola di Francoforte attraverso la Teoria Critica. Il nucleo del presente scritto assume come modello questa seconda tradizione.
ix) D. Balicco, Non parlo a tutti, Manifesto libri, Roma, 2006, cit. p. 107.
Non vedo l’ora di leggere la seconda parte! Patria trascendentale mi piace di più di ontologia dell’essere sociale.
grazie!