La politica in TV*
di ANDREA FRANCESCHELLI (FSI Pescara)
Il declino delle classi dirigenti politiche è un fatto innegabile. E non è un fenomeno solo italiano, ma internazionale.
Al declino delle classi dirigenti si è ovviamente accompagnato un declino, anzi, un imbarbarimento della base e dell’elettorato. E mi sembra che anche questo sia un fatto innegabile.
In questa trasfomazione in peggio, sia di chi è preposto al governo della cosa pubblica, sia di chi è preposto alla sua (s)elezione, il contributo più importante lo hanno dato i media tradizionali ed in particolare la TV.
La TV è uno strumento e in quanto tale è neutro. Può fare del bene o può fare del male ai suoi utenti. Tutto dipende da quali obiettivi muovono coloro che ne indirizzano i contenuti.
Occorre quindi porsi una domanda: la TV in Italia è sempre stata uno strumento indirizzato per fare del male ai suoi utenti?
Certamente no. La RAI dalla sua istituzione fino a quando non è entrata in competizione e concorrenza con la televisione privata commerciale, ha svolto un lavoro molto importante nel progresso della società italiana.
Il cancro televisivo è stato, quindi, l’introduzione del sistema commerciale made in USA da parte di Berlusconi a cavallo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80.
Un nuovo modo di fare TV, di fare spettacolo, l’introduzione di nuovi modelli da seguire, alieni alla cultura e ai costumi degli italiani, l’introduzione di un nuovo linguaggio hanno fatto da volano, insieme a musica e cinema, ad una trasformazione dell’utente televisivo.
La televisione commerciale ha creato la figura del consumatore, che nel corso degli anni ha sostituito quella del cittadino.
A questo processo di trasformazione si è adeguata la comunicazione politica.
La politica in TV c’è sempre stata, ma quello che è cambiato nel corso degli anni è stato l’obiettivo della sua presenza.
Si è passati dalla informazione politica trasmessa dalle “tribune elettorali”, alla vendita su scaffale del prodotto politico meglio comunicato.
Gli albori di questo processo li possiamo riscontrare a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90, quando tutte le forze politiche iniziarono ad utilizzare lo strumento dello spot pubblicitario per comunicare il messaggio politico.
Alcuni esempi sono i 4 spot del PSI che vedevano Bettino Craxi intervistato da Giovanni Minoli in 4 ambienti diversi: un’aula universitaria, una fabbrica,un supermercato e un parco pubblico.
Oppure gli spot della DC o del PCI. La politica aveva iniziato ad adeguare il suo linguaggio a quello della televisione commerciale.
Sempre nello stesso periodo i personaggi politici venivano avvicinati dal piccolo schermo in ambientazioni diverse da quelle che avevano avuto fino ad allora, proprie della comunicazione televisiva tradizionale e cioè le tribune politiche o gli studi dei telegiornali. Un esempio di sconfinamento è quello di Giulio Andreotti ospite nella trasmissione di intrattenimento TV “Biberon”. Uno sconfinamento blando se vogliamo, visto che il programma trattava di satira politica. Ed infatti anche qui parliamo di albori della spettacolarizzazione della politica, se li paragoniamo alla presenza odierna dei personaggi politici nelle trasmissioni televisive di intrattenimento.
Un altro fenomeno si faceva strada nella TV degli anni ’80 e ’90: il “talk show” con aperture al pubblico che diventava, di fatto, uno degli ospiti fissi del programma. Penso in particolare a due trasmissioni: “Samarcanda” di Michele Santoro e “Milano, Italia” di Gad Lerner. Due trasmissioni che hanno introdotto in Italia la comunicazione politica viscerale, quella che colpisce alla pancia, perfettamente in linea con la comunicazione politica di Grillo e Casaleggio adottata nel M5S con mezzi non televisivi. Un parallelismo che funziona molto bene anche nel descrivere l’uso del pubblico (nelle trasmissioni) e degli attivisti (nel M5S): ad entrambi viene chiesto di rispondere alle domande già decise dalla redazione.
Gli anni ’90 vedono un crescendo di trasmissioni di approfondimento politico nel quale i personaggi politici della seconda Repubblica, in un primo momento, devono dividere la scena televisiva con i cosiddetti “opinionisti” e successivamente anche con i personaggi dello spettacolo, tipo Alba Parietti o Valeria Marini.
Benvenuti nell’era della “Politica Pop”, così come definita da un libro edito nel 2009 da “Il Mulino”, nel quale gli autori (Gianpietro Mazzoleni e Anna Sfardini) svolgono una interessante analisi sulle odierne dinamiche tra Politica e TV, di cui però non condivido le conclusioni in quanto Mazzoleni considera come un fatto positivo l’adeguamento del messaggio politico agli standard televisivi.
Nei talk show politici, primariamente nel Porta a Porta di Bruno Vespa, a metà programma accanto a D’Alema, Amato, Rutelli o Berlusconi possono entrare in studio Anna Falchi, Melba Ruffo, Valeria Marini, Alba Parietti, Sabrina Ferilli e subretterie varie, con una seria aggressione alla credibilità della politica della TV, ma con una conferma spettacolare che la televisione è fungibilità assoluta, l’importante è esserci […]: d’altronde, a discolpa delle starlet invitate non si ha notizia di nessun uomo politico che prima di accettare l’invito abbia posto la condizione ultimativa e politicamente scorretta “si, ma niente cretine in studio” [Berselli 2003, 472-473].
Questo quadretto del salotto d’onore di Rai Uno ben riassume alcune specificità della politica televisiva ridotta a contenuto dell’infotainment nel formato del talk show: in questi spazi ibridi di serietà e leggerezza, informazione e intrattenimento, viene legittimato con efficacia il salto di confini tra professionisti e dilettanti, in nome del diritto d’accesso allo spazio pubblico mediatizzato e della permeabilità tra aree di competenza diverse. È così che il politico si ritrova a fare la soubrette, e la soubrette (o la velina) può diventare un politico. Siamo, evidentemente, nell’ambito del politainment già solo in virtù del mescolamento di esperienze vissute sul crinale tra il mondo dello spettacolo e quello della politica. La strategia della trasformazione si sviluppa secondo due traiettorie: da star televisiva a politico; da politico a personaggio televisivo.
Ecco alcuni esempi del primo tipo.
- Il critico d’arte Vittorio Sgarbi, lanciato sulla piazza televisiva dal salotto del Maurizio Costanzo Show, si impone presto come voce forte, accattivante e aggressiva, capace di attirare gli ascolti e per questo contesa tra i canali dell’etere. Personaggio perfetto per l’arena politica degli anni ’90, diviene più volte membro del Parlamento e di amministrazioni comunali fino al 2008, quando viene eletto sindaco della città di Salemi. La carriera di personaggio televisivo lo consacra al ruolo di «opinionista» (altro ibrido vivente di politica e spettacolo). Insieme ad Alessandra Mussolini partecipa, tra l’altro, al programma La pupa e il secchione (settembre 2006) nel ruolo di giurato.
- La soubrette Alba Parietti, definita «coscialunga della sinistra », partecipa al programma Chiambretti Night nella puntata del 6 febbraio 2009, che ha Piero Fassino tra gli ospiti: dopo un ballo sensuale intorno alla sedia occupata dal politico, la Parietti dichiara di voler fare politica attiva, pur amareggiata per non essere mai stata presa in considerazione dal Pd come potenziale candidata.
- Luca Barbareschi, noto attore e conduttore televisivo, eletto come deputato del Popolo della libertà alle elezioni politiche del 2008 e oggi vicepresidente della Commissione trasporti della Camera, dichiara a proposito delle polemiche sulla partecipazione al festival di Sanremo 2009 della cantante Iva Zanicchi, sua collega politica (è eurodeputata dal maggio 2008):
Sono pienamente solidale con Iva Zanicchi, quando riafferma la legittimità della propria aspirazione a svolgere il proprio lavoro, che include anche la partecipazione al festival di Sanremo. È incomprensibile che questo risveglio etico e morale della RAI si registri solo quando si tratta di artisti che siedono in Parlamento, mentre altri sono i conflitti d’interesse […] Impedire agli artisti di svolgere il proprio lavoro mentre siedono in Parlamento, in quanto le loro apparizioni potrebbero influenzare l’elettorato, equivale inoltre ad offendere gli italiani, che non sarebbero in grado di distinguere tra ruolo di cantante della Zanicchi, come il mio di attore, e quello di rappresentante delle istituzioni [tratto da www.lucabarbareschi.it].
- In preparazione alla stesura dell’elenco dei candidati per l’elezioni europee 2009, la sede romana del Pdl organizza un corso di formazione politica della durata di qualche giorno rivolto a una classe tutta al femminile composta da qualche giovane parlamentare del Popolo della libertà e venticinque ragazze senza passato politico ma con qualche esperienza nel mondo dello spettacolo come attrici, concorrenti di reality o veline. Tutti i quotidiani riportano l’intenzione espressa dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi alle allieve stesse di candidarle alle europee «per avere volti giovani, facce nuove per rinnovare l’immagine del Pdl e dell’Italia in Europa». Dalle pagine del periodico online della Fondazione Farefuturo (presieduta da Gianfranco Fini) Sofia Ventura denuncia: «se il problema della carente presenza femminile nei luoghi della politica tocca molte democrazie, anche se nel caso italiano si presenta in modo particolarmente acuto, vi è una specificità tutta nostrana che aggrava ancor di più la situazione. Ci riferiamo alla pratica di cooptazione di giovani, talvolta giovanissime, signore di indubbia avvenenza ma con un background che difficilmente può giustificare la loro presenza in un’assemblea elettiva come la Camera dei deputati o anche in ruoli di maggiore responsabilità». Sui media scoppia il caso velinismo e politica.
Neopolitici o aspiranti politici che provengono dal mondo dell’intrattenimento televisivo hanno la necessità, legata alla loro professione «primaria», di frequentare gli studi televisivi e tutte le occasioni che lo spettacolo offre, anche perché fonte della loro popolarità e, dunque, della loro fortuna politica: così, la televisione intreccia nel suo discorso elementi che rinviano a un ruolo o all’altro, privilegiando, come negli esempi sopra riportati, il principio della discordanza tra situazione comunicativa, seria o leggera, e competenza dell’ospite, artistica o politica. Proprio su questa discordanza fa affidamento la politica pop.
Il secondo tipo di trasformazione fa riferimento alla strategia della personalizzazione con cui il personaggio politico tenta di conquistare l’affetto e la simpatia del pubblico, ovvero del potenziale elettorato. Gli esempi sono molteplici, soprattutto nei periodi di precampagna elettorale, come nel 2006:
- Piero Fassino partecipa al programma C’è posta per te per rincontrare e abbracciare la sua vecchia tata;
- Pier Ferdinando Casini e Francesco Rutelli si prestano all’intervista doppia di Le Iene, in cui raccontano le loro goliardate giovanili;
- Antonio Di Pietro e Renato Schifani si tirano letteralmente Torte in faccia in una puntata dell’omonimo varietà;
- Silvio Berlusconi compie una maratona televisiva partecipando a diversi programmi: Il processo di Biscardi, Uno mattina, Il senso della vita, Tutte le mattine, L’incudine, Liberi tutti – Storie di italiani.
- La trasformazione da politico a soubrette può divenire in taluni casi anche definitiva, come nel caso eclatante di Irene Pivetti, che dopo essere stata la più giovane presidente della Camera dei deputati (1994), abbandona la carriera politica per diventare giornalista d’opinione per alcune testate giornalistiche e poi conduttrice televisiva di programmi di intrattenimento e infotainment, tra cui il reality show Bisturi (2004), assieme a Platinette. Intervistata da Maria Volpe che le chiede: «Signora Pivetti si rende conto dello choc: lei, rigorosa, ex terza carica dello stato, va su Italia 1 con Platinette tra nasi nuovi e siliconi?», la Pivetti risponde: «Non c’è nulla di riprovevole. Ci sono politici in carica che cantano, suonano, ballano e bene fanno a farlo» (intervista pubblicata in «Corriere della Sera», 6 gennaio 2004).
Già con la videopolitica, i programmi televisivi divengono, dopo i partiti e le istituzioni parlamentari, una sorta di «terza palestra» per i leader politici, luoghi decisivi per la promozione della leadership. L’incontro con i ritmi, i fasti e le regole dello spettacolo televisivo ha progressivamente trasformato la comunicazione politica, eleggendo la performance carismatica, «simpatica», «autentica» a strategia privilegiata di conquista dell’elettorato, in sintonia con il linguaggio e l’estetica dominanti della TV. Imitando i meccanismi vincenti della soap opera e del talk show «intimista», l’uomo politico mostra in TV le sue qualità personali, «autentiche», cercando di legittimarsi secondo i canoni della notorietà.
L’attenzione per la rappresentazione di sé accomuna tutti i personaggi che entrano a fare parte dello spettacolo televisivo, dal calciatore alla velina, dal politico all’attore. Il passaggio del medesimo personaggio dal mondo dell’entertainment a quello politico, e viceversa, si svolge senza soluzione di continuità, producendo la ridefinizione della politica come mestiere, non certo vocazione, alternativo ad altri ugualmente intrecciati con la dimensione della celebrità. Il politainment, in questo caso, diviene più che una chiave interpretativa della realtà politica, una vera e propria strategia. Molti leader politici amano farsi riprendere insieme alle star dello spettacolo sui palcoscenici mediatici, per suggerire l’idea di una forte affinità tra la loro immagine e la cultura condivisa dal pubblico:
Alle persone non viene chiesto di pensare, di esprimere valori e interessi; esse vengono mobilitate dall’una o dall’altra parte attraverso un evento, per esempio la presenza di un attore a un comizio elettorale. La politica ormai si fa soprattutto in televisione, è svuotata dei suoi contenuti e in TV si vedono spezzoni di informazione, con esponenti della «chattering class», politici ed esperti dei dibattiti televisivi, che ripetono giudizi in pillole che non vanno mai oltre il senso comune, attentissimi a non scontentare nessuno (intervista a Marcus Raskin, «Il Manifesto», 5 gennaio 2007).
Per quanto sopra detto, la rottura del declino politico passa inesorabilmente attraverso il rifiuto della comunicazione politica così come maturata all’interno degli schemi della televisione commerciale.
Dobbiamo metterci in testa che per vincere a livello politico dobbiamo tornare a dare dignità alla politica riposizionandola nel suo alveo naturale.
Dobbiamo rifiutare, in quanto soggetti politici, di comunicare nei canali della pancia e del consumo.
Dobbiamo rifiutare di metterci in concorrenza con Renzi che va ad “Amici” o con Salvini che si fa fotografare (quasi) nudo per “Oggi”.
Dobbiamo tornare a parlare al cuore e al cervello delle persone.
Dobbiamo tornare ad essere cittadini e mai più consumatori.
Se lo faremo, CI LIBEREREMO.
P.S. ecco come vorrei tornare a vedere la politica in TV:
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