di LUCIANO BARRA CARACCIOLO
1. Provo a fare un post “di scenario” ed utilizzo l’ultimo Bollettino EIR versione italiana.
Questi bollettini, che gentilmente mi sono inviati ogni settimana, hanno un duplice pregio:
a) anzitutto, sono un punto di vista statunitense (e di lungo corso). Certo, sono solo “uno” dei possibili punti di vista di provenienza USA, ma il solo fatto che ancora esistano, è un valore indicativo in sè;
b) sono comunque volti a fornire una visione di scenario mondiale e, a prescindere dalla condivisibilità delle spiegazioni causali prescelte e dalle priorità che appaiono suggerire, si fondano su una buona capacità di dare notizie su fatti e dati che, altrimenti, il sistema mediatico mainstream priverebbe di ogni risalto (privando quindi le opinioni pubbliche occidentali di ogni chance di comprendere cosa realmente stia accadendo nel mondo).
2. Fatta questa dovuta premessa, proviamo a mettere insieme alcune notizie e analisi contenute nei due ultimi bollettini (n.40 e 41), esponendoli secondo la priorità che risulta oggettivamente attribuita dal sistema mediatico mainstream, in modo da realizzare un (ormai inconsueto) contraddittorio tra visioni diverse comunque legittimamente formulate. Le varie tematiche selezionate saranno integrate da alcuni links da me apportati secondo l’usanza di ricerca documentata che caratterizza questo blog.
La stretta connessione, ovvero “interdipendenza” tra le varie tematiche, inoltre, corrisponde ad un’evidenza che dovrebbe essere chiara a chi frequenta questo blog (v. in particolare qui p.4 per una sintesi sostanziale). Se non lo fosse, sarebbe…preoccupante.
3. Cominciamo dunque dalla questione Catalogna (più che mai agli “onori della cronaca” in queste…ore). Facciamo precedere l’analisi da questi dati (i tagli della spesa sociale in Catalogna, operati proprio dai partiti al governo “autonomo”, ora indipendentisti, sono quasi il doppio della media spagnola):
La crescita del movimento indipendentista catalano è in gran parte conseguenza della politica di austerità imposta dall’Unione Europea e dalla BCE a seguito del crac finanziario del 2008 e dei salvataggi bancari. La disoccupazione supera il 20% (per i giovani il 50%) e molti lasciano il Paese in cerca di un lavoro.
Secondo la banca centrale spagnola, lo stato ha speso 54,3 miliardi per salvare le banche fallite, di cui solo 3,8 sono stati rimborsati e altri dieci si prevede rientrino nel futuro. Questo significa che i contribuenti hanno versato 40 miliardi per salvare le banche.
La Catalogna sta meglio di altre regioni della Spagna, ma la mancanza di una prospettiva e altre considerazioni politiche hanno alimentato lo scontento (in tal senso si veda l’analisi compiuta, significativamente, dall’Aspen Institute: “Puntare sul tot o res (“tutto o niente”), e prolungare infinitamente il procés sobiranista, presentando l’indipendenza come la panacea di tutti i mali, serve poi al governo catalano per evitare di fare i conti con una società che è stata colpita duramente dalla crisi economica e che ha sofferto le politiche di austerità applicate con zelo non solo dal PP, ma anche dalla formazione di Puigdemont, che governa la regione dal 2010.). La soluzione non sta in uno staterello indipendente.
Il 2 ottobre, all’indomani del referendum e della repressione brutale ordinata da Madrid, il Movimento di LaRouche in Spagna ha pubblicato una dichiarazione proponendo un paradigma diverso: “La vera secessione di cui si dovrebbe discutere in Spagna non è quella della Catalogna, che bene farebbe per solo i giochi geopolitici della City di Londra e di Wall Street, ma quella della Spagna dal sistema fallito e genocida dell’Unione Europea e della Troika, che è l’espressione europea del fallito sistema monetario le cui misure di austerità hanno lasciato milioni di spagnoli senza futuro. Una Spagna unita deve dichiarare la propria indipendenza, riappropriarsi della sovranità nazionale e unirsi alla Nuova Via della Seta“.
C’è un altro aspetto, meno ovvio, del proliferare di istanze separatiste in Europa, di cui ha parlato Karel Vereycken, ex portavoce elettorale di Jacques Cheminade, in un’intervista per Sputnik il 6 ottobre. Per gli irriducibili euristi nella tradizione di Leopold Kohr, un sodale di Winston Churchill, “i grandi stati nazionali europei devono essere frantumati in piccole entità di 5-8 milioni di abitanti, per far sì che la popolazione europea accetti un superstato sovrannazionale UE“, ha spiegato Vereycken. “Questo vale sia per la Catalogna sia per molte altre regioni, tra cui le Fiandre, la Scozia e la Lombardia”.
Questi piani esistono da decenni, ma ora diventano più o meno attuali a seconda delle circostanze. Per quanto riguarda la Spagna, non trascuriamo il fatto che il governo ha recentemente espresso l’intenzione di partecipare alla Belt and Road Initiative cinese, il che potrebbe costituire un casus belli per l’UE.
3.1. Appare utile capire meglio la figura e il pensiero di Kohr, il cui libro più noto è intitolato “La rottura (id est: “scomposizione”) delle Nazioni“. Propongo una estrema sintesi del suo pensiero, che si muove tutto all’interno della ventoteniana concezione per cui gli Stati, a prescindere dalla distinzione delle loro dimensioni nazionali e territoriali nonché dalle vicende storiche che li caratterizzano, siano guerrafondai e imperialisti (anche se, almeno, lo presupponeva sulla base della eccessiva grandezza di tali organizzazioni statali, introducendo un elemento imprecisato e che, muovendo dagli Stati Uniti e dall’Impero britannico, nei quali si era formato e insediato, e dalla considerazione dell’Impero asburgico, in cui era nato, risulta fuorviare “in apice” la sua intera visione):
“La causa di tutte le forme di miseria sociale è una sola: la grandezza … La grandezza, ovvero sia il raggiungimento di dimensioni eccessive, non rappresenta uno dei tanti problemi sociali, ma costituisce il solo ed unico problema dell’universo …
Il pensiero di Kohr è stato una fonte importante di ispirazione per il movimento verde, il bioregionalismo e i movimenti anarchici. Ha inoltre influito sul pensiero di Ernst Friedrich Schumacher, che si è ispirato a Kohr per il suo libro “Small Is Beautiful“.
4. Il “taglio” della notizia relativa alla Catalogna, rinvia direttamente al tema della sostenibilità del paragidma euro-federalista e, in particolare, date le sue indubbie origini, a quella dell’eurozona (v. qui “premessa-addendum), (sarebbe peraltro praticamente impossibile riferirsi solo ad alcuni post su questo tema, dato che tutto il blog lo affronta da anni).
La riserva che non ci si può esimere dall’esprimere, su quanto detto nella seconda parte, è che qualunque siano l’origine e le supposte finalità di una banca, l’elargizione del credito “interstatale” non elimina l’obbligo di restituzione e si fonda sulla concessione di una fiducia, da parte del creditore, sempre sottoposta alla “conformazione” del debitore a determinate “condizionalità” (qui, pp. 4-5) che ne limiteranno la libertà di agire futura (cioè la sovranità e l’autodeterminazione democratica: non ci sono mai pasti gratis):
I recenti sviluppi sottolineano le due dinamiche fondamentalmente opposte, che stanno evolvendo nel mondo in questo momento. L’approccio geopolitico degli ultimi decenni negli Stati Uniti e in Europa si sta rivelando fallimentare e sempre più manifestamente contrario al bene comune (ahia!).
La rivolta contro questo paradigma è risultata evidente nel voto sulla Brexit, nella sconfitta di Hillary Clinton alle elezioni presidenziali americane e nella vittoria del candidato anti-establishment Donald Trump, seguita dal referendum in Italia, nel quale vinse il “No” ai cambiamenti della Costituzione che avrebbero dato più poteri all’Unione Europea. Questa tendenza è stata confermato dalle elezioni politiche in Germania lo scorso 24 settembre, con la sconfitta storica dei due partiti principali (CDU-CSU ed SPD) e l’ascesa allarmante del partito Alternative fuer Detuschland (AfD). Non sorprende che l’AfD sia particolarmente forte negli stati orientali della Germania, colpiti da profonde ingiustizie sociali dopo la riunificazione, nel nome del liberismo. Il referendum sull’indipendenza della Catalogna in Spagna è un’altra espressione del fallimento della politica dell’UE e della BCE (vedi sotto).
In tutti questi casi, cresce il divario tra ricchi e poveri e la popolazione non si sente più rappresentata e difesa dalla propria classe politica. L’imminente crac del sistema finanziario transatlantico e le rinnovate proposte di schemi di bail-out (salvataggio) e bail-in (prelievo forzoso), con cui saranno i risparmiatori a pagare il conto della speculazione finanziaria, aumenta la rabbia popolare.
L’altra dinamica, quella benefica, è determinata dalla proeizione esterna del miracolo economico realizzato dalla Cina negli ultimi decenni, forse il più grande nella storia. Pechino ha invitato tutti i Paesi ad aderire alla sua Iniziativa Belt and Road, che ha già consentito un’esplosione di sviluppo economico.
Per i cosiddetti Paesi del terzo mondo, la differenza fondamentale dal modello monetaristico transatlantico è che oggi, per la prima volta, essi hanno accesso al credito per sviluppare la propria economia. La Cina ha creato la Banca Asiatica per gli Investimenti nelle Infrastrutture (che annovera ora ottanta membri), il Fondo per la Nuova Via della Seta e il Fondo per la Nuova Via della Seta Marittima, mentre i BRICS hanno creato la Nuova Banca per lo Sviluppo. In questo contesto, il credito verrà elargito per progetti concreti di sviluppo in Asia, Africa, America Latina e via dicendo. Ciò ha generato uno spirito completamente nuovo, come ha sottolineato Helga Zepp-LaRouche. Questi Paesi cominciano a nutrire la speranza, per la prima volta da decenni, di superare il sottosviluppo e la povertà.
In novembre, Donald Trump visiterà la Cina e incontrerà altri leader asiatici durante i vertici che si terranno in Asia. La questione centrale sarà la scelta della dinamica da parte degli Stati Uniti. Trump ha indicato spesso l’intenzione di rompere con “la palude” di Washington e con gli interessi finanziari che la alimentano, noti anche come “Deep State”. Resta da vedere se avrà la competenza e il sostegno popolare per farlo, ma il movimento di LaRouche è impegnato a mobilitarsi per raggiungere questo obiettivo.
5. E, traendo dal bollettino precedente (n.40) la sostenibilità appare escludibile, in modo drammatico, dalla effettiva sostanza delle euro-riforme proposte nonché dalla direzione invariabile delle politiche incentrate sul monetarismo (ormai acriticamente inerziale) e sulle banche centrali indipendenti:
Benché la Federal Reserve abbia annunciato il 20 settembre che in futuro non sostituirà i titoli acquistati dalle banche che giungono a scadenza, il volume degli acquisti da parte di tutte le banche centrali continuerà ad aumentare almeno fino al 2020, secondo un rapporto stilato da Capital Economics. “Quindi, siamo ben lontani da una sterzata globale. A prescindere dalla Fed, nel prossimo futuro gli operatori di mercato non dovranno rinunciare al carburante a basso costo per far salire i corsi azionari”, hanno scritto gli analisti svizzeri in un rapporto del 2 ottobre.
Quel carburante sta infiammando non solo le azioni, ma ogni sorta di titoli tossici, esattamente come il processo che portò al crac del 2008. Un nuovo rapporto di Allianz lancia l’allarme sul debito globale, mentre Bloomberg scosta il velo sul riemergere della bolla dei CDO, i titoli derivati più tossici.
“La propensione all’indebitamento è nettamente aumentata di nuovo”, afferma Michael Heise, economista capo di Allianz, nel “Global Wealth Report 2017” (vedi). Il debito delle famiglie è aumentato del 5,5% lo scorso anno, superando la crescita del PIL globale (4,5%) per la prima volta dal 2007. Se si considera che nel PIL c’è tanta finanza, il rapporto tra i due è ancora più marcato.
Ma questo è niente. La bolla del debito obbligazionario negli Stati Uniti d’America, espolsa dai 7 mila ai 14 mila miliardi di dollari nel periodo 2010-2016, si sta gonfiando ulteriormente grazie ai titoli spazzatura, cresciuti di 800 miliardi solo nel 2017. Questo debito viene impacchettato da Citigroup e altre banche di Wall Street assieme a titoli meno tossici, nella forma dei famigerati CDO (Collateralized Debt Obligation), che hanno fatto la loro ricomparsa quest’anno. Di fronte a un numero crescente di insolvenze e all’accenno di rialzo dei tassi, questa bolla è matura per un crac in stile 2008.
Il debito-spazzatura comprende sia titoli denominati tali sia prestiti a leva (prestiti a imprese già sovraindebitate, spesso usati per acquisizioni). Come ha rilevato un articolo di Bloomberg il 26 settembre a firma Llisa Abramovitz, questi due tipi di debito ad “alto rendimento” sono diventati praticamente indistinguibili. I nuovi debiti-spazzatura vengono ora contratti senza covenant, cioè senza clausole vincolanti che in qualche modo tutelano il finanziatore, per cui niente impedisce alle imprese di passare la spazzatura a uno, due o molti altri finanziatori allo stesso tempo, ficcandosi in una spirale di debito impagabile. I grafici pubblicati dalla Abramovitz mostrano che il “debito-spazzatura” creato nel 2017 è di un terzo maggiore di quello degli anni precedenti.
La lista delle imprese sovraindebitate include nomi illustri come ExxonMobil, il cui debito è quadruplicato nel periodo 2006-2016, a fronte di entrate scese quasi del 40% (a causa del declino del prezzo del petrolio) e utili e cash-flow crollati di oltre l’80%. Chiedendosi che cosa abbia fatto ExxonMobil con tutti quei soldi presi a prestito, Zero Hedge nota che nel periodo preso in esame le azioni di Exxon Mobil sono salite del 20%! Exxon non è un caso raro, e Zero Hedge fa altri esempi di imprese, tra cui General Electric, che si trovano nella stessa, bizzarra situazione (vedi).
Questo vuol dire che il sistema finanziario globale è nuovamente lanciato verso uno schianto. Non c’è modo di impedirlo, ma si può impedire che distrugga la produzione, i posti di lavoro e i risparmi delle famiglie, separando il settore bancario commerciale da quello speculativo, erigendo una muraglia invalicabile tra la bolla e l’economia reale.
6. I temi finora esposti, nel complesso, ci riportano a come cercare di interpretare la fase in cui si trovano i più importanti Stati-membri dell’eurozona, dato che esiste un’evidente interdipendenza tra sistemi finanziari USA e €uropeo, segnatamente tedesco. Vediamo dunque (ancora dal bollettino n.40), la situazione politica in Germania, che non è affatto scontata come appare ai “commentatori” italiani, non si sa perché illusi di aver interesse alla perpetuazione dello “status quo” e delle linee di tendenza dell’eurozona:
Benché i due principali partiti (CDU-CSU e SPD) abbiano subìto dolorose perdite nelle elezioni politiche del 24 settembre, la classe politica tedesca affronta le trattative per un nuovo governo nella finzione della normalità. Si punta sulla coalizione tra democristiani (CDU-CSU), liberali (SPD) e Verdi, detta “Giamaica” dai colori dei tre partiti che ricordano la bandiera dello stato caraibico. Ma le differenze tra gli aspiranti a questo matrimonio a tre sono apparentemente inconciliabili.
La pretesa determinazione a continuare sulla linea dei parametri esistenti è particolarmente preoccupante alla luce di un’imminente crisi finanziaria, peggiore di quella del 2007-2008, come ha sottolinato Helga Zepp-LaRouche in una dichiarazione intitolata “Einstein aveva ragione: solo gli sciocchi ripetono gli stessi errori sperando in un risultato diverso” (vedi).
Tuttavia, un cambiamento significativo è già avvenuto, con l’uscita di scena del potente ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble, che ha annunciato di voler passare alla prestigiosa ma quasi irrilevante funzione di Presidente del Parlamento. La decisione è vista come concessione all’FDP, il cui leader Christian Lindner aveva anticipatamente dichiarato che in caso di partecipazione al governo avrebbero richiesto il Dicastero delle Finanze e non quello degli Esteri, che di solito spetta al partner di coalizione.
In un video su facebook.com, Lindner ha chiarito che la questione non riguarda le persone ma i contenuti. “Non abbiamo bisogno di un nuovo Ministro delle Finanze, ma di una nuova politica finanziaria“, ha dichiarato, spiegando succintamente: nessun nuovo debito a livello europeo e nessun trasferimento finanziario verso i Paesi indebitati (de facto uno stop al processo di integrazione), e un cambiamento nella politica monetaria della BCE. Nel corso della campagna elettorale, Lindner aveva anche battuto il tasto della politica energetica, chiedendo la fine delle sovvenzioni alle cosiddette rinnovabili, e della politica estera, chiedendo la fine delle sanzioni contro la Russia e persino il riconoscimento – benché temporaneo – della Crimea.
Nel mondo produttivo della Germania c’è un ampio consenso su queste posizioni, premiate dal risultato elettorale. Ma una coalizione “Giamaica” è vista più come una continuazione della vecchia politica piuttosto che un veicolo per il cambiamento. Perciò, riprendendo Helga Zepp-LaRouche, “potrebbe durare mesi prima che si possa formare un governo, e non è escluso che alla fine si torni alla Grande Coalizione, stavolta senza Merkel“.
Quest’ultima ipotesi non è peregrina, dato che il capogruppo uscente dell’SPD, Thomas Oppermann, ha dichiarato in una trasmissione televisiva che la SPD potrebbe rivedere la decisione di andare all’opposizione, nel caso che la Merkel non sia più Cancelliere. Un rientro della SPD nella Grosse Koalition lascerebbe la CSU libera di svincolarsi dal governo e riprendersi gli spazi a destra attualmente occupati dalla AfD.
Per coloro che si atteggiano a “salvatori dell’UE”, come Jean-Claude Juncker, Donald Tusk o il maldestro Emmanuel Macron, le roboanti dichiarazioni di “avanti tutta” con l’integrazione europea riflettono un distacco dalla realtà forse superiore a quello dell’establishment tedesco.
7. Abbiamo più volte evidenziato, e anche di recente ribadito, che la “crisi interna” degli USA sia pregiudiziale alla “liberazione” dell’eurozona (qui, p.4).
Ecco al riguardo alcune non sorprendenti prospettive nell’imminente futuro (naturalmente da prendere con le dovute riserve, data la scontata ed enorme capacità di reazione delle forze economico-finanziarie contrarie a tali sviluppi). Da rimarcare come, nell’esposizione che segue, sia centrale il punto del “come” finanziare qualsiasi intervento di interesse generale sul territorio, una volta che si dia per scontata (come non è) la logica che le varie circoscrizioni (comunque denominate) di uno Stato federale siano “politicamente” portatrici di un debito ad esse ascrivibile come solo “proprio”, secondo la configurazione giuridico-istituzionale del “debitore di diritto comune”; in corrispondenza, questo debito (territoriale) di diritto comune, risulterebbe dannoso per le altre aree non altrettanto indebitate, consolidando nel senso comune l’idea-guida delle “scarsità di risorse” istituzionalizzata, v. p.1, (e dunque del dominio del settore finanziario privato).
8. Non è difficile capire (o forse è lo è fin troppo…) che questa logica privatistico-finanziaria della “scarsità di risorse” e del conseguente conflitto sezionale-territoriale tra parti della comunità privata della sovranità democratica, corrisponde a quella della negazione dell’unità della sovranità fiscale di uno Stato e, quindi, dell’unità della sovranità monetaria che si lega al raggiungimento dei suoi compiti a livello centrale-federale (il tema è particolarmente scottante in Catalogna così come in Italia). Sono questi i limiti “paradigmatici” che traspaiono dalle pur lodevoli finalità delle soluzioni auspicate dall’EIR.
Di cui comunque va evidenziato il “preannunzio” di un possibile radicale cambiamento delle politiche economico-fiscali seguite negli USA – nella finalità e nella direzione della spesa, non tanto nei volumi del deficit del bilancio federale- e, di conseguenza, della possibile divaricazione tra paradigma USA e quello dell’eurozona (minando una delle più forti ragioni dell’accanimento terapeutico di quest’ultimo):
Il 31 agosto il LaRouche Political Action Committee ha lanciato una mobilitazione nazionale, con una dichiarazione dal titolo “I disastri naturali sono originati da Wall Street”, nella quale sottolinea che l’America ha bisogno urgente di “azioni, e azioni subito” per costruire le nuove infrastrutture che avrebbero potuto impedire quei disastri (vedi SAS 36/17).
Tre importanti aree metropolitane americane (New Orleans, New Yok e Houston) sono state devastate in poco meno di un decennio a causa della carenza di infrastrutture che erano state progettate decenni prima, ma non sono mai state costruite per via del controllo crescente di Wall Street sulla politica economica americana. E ora hanno colpito altri “disastri naturali”, il peggiore dei quali a Portorico, la cui infrastruttura energetica e il sistema di trasporti sono completamente distrutti.
Si comincia a parlare di una svolta paradigmatica. Alla Casa Bianca, fonti dichiarano che è in corso un’intensa discussione su “un programma per la costruzione di infrastrutture da trilioni di dollari” che è fermo da nove mesi. Il Presidente Trump stesso ha dichiarato alla National Association of Manufacturers il 29 settembre: “Non abbiamo mai visto una situazione come questa. Alla fine, il governo di Portorico dovrà lavorare con noi per stabilire come finanziare e organizzare questo massiccio sforzo di ricostruzione, che sarà il più grande mai avviato, e ciò che faremo con l’elevato debito che grava già sull’isola”.
Una fonte con due anni di esperienza nella campagna di Trump e con la Casa Bianca, ha dichiarato all’EIR che Trump “si sta decisamente allontanando dal modello PPP (ovvero la Partnership Pubblico Privato che è fallita così spettacolarmente nell’ultimo periodo) e vorrebbe ricorrere al credito pubblico. Finora, ha aggiunto, la costruzione di infrastrutture è stata relegata a priorità bassa per la mancanza di un concetto di finanziamento. Fox Business News ha parlato del dibattito in corso in un articolo del 29 settembre dal titolo “L’enfasi posta da Trump sulle infrastrutture potrebbe mettere in un angolo Wall Street”.
L’urgenza di nuovi progetti infrastrutturali per aumentare la produttività e le difese da uragani, alluvioni e via dicendo, è arrivata anche a Capitol Hill, come hanno scoperto i rappresentanti dell’EIR che erano al Congresso la scorsa settimana. Tuttavia, per quanto ne sia evidente la necessità, non c’è ancora un’idea chiara di come finanziare nuovi progetti e nuove tecnologie.
Qui subentra l’Iniziativa Belt and Road lanciata dalla Cina, che richiederebbe un istituto di credito nazionale negli Stati Uniti. Quello che propone l’EIR è una banca nazionale hamiltoniana per le infrastrutture e le manifatture, grazie alla quale mille o duemila miliardi di dollari di debito in essere del Tesoro potrebbero essere consolidati (ndQ: consolidati rispetto a quali detentori? Se il detentore fosse la stessa Fed, o in ogni caso, non sarebbe più lineare, e meno oneroso, provvedere alla monetizzazione di un deficit aggiuntivo, con emissione di moneta direttamente spendibile dallo US. Governement?) dalla banca in capitale a lungo termine, e fornire la base per ingenti emissioni di credito per le urgenti nuove infrastrutture produttive e ad alta tecnologia.
Tale debito del Tesoro, trasformato in credito dalla banca nazionale, potrebbe coinvolgere anche investitori stranieri, quali la Cina e il Giappone, in quanto è facile confermare che questi Paesi sarebbero molto interessati alla banca proposta.
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