Il dominio franco-tedesco e la morte della democrazia in Europa
di MICRO MEGA (Giacomo Russo Spena)
Un libro di Alessandro Somma ricostruisce le tappe dell’Ue, dalla nascita della costruzione europea sino all’attuale dibattito sul futuro, evidenziando come stiamo vivendo una fase di post democrazia e di post diritto, dove per post si intende la negazione di tali parole: “Viviamo in una tecnocrazia in cui l’Europa a due velocità è solo un espediente utilizzato dall’asse franco-tedesco per sottomettere i Paesi meridionali”.
Se siamo giunti ad un passo dal fallimento è perché evidentemente erano sbagliate le premesse. L’Europa nata a Maastricht, nel 1993, era un gigante dai piedi di argilla. Quel trattato cambiò le finalità e diede un nuovo assetto alla precedente “Comunità Economica Europea”, trasformandola da un’unione prettamente economica a un’unione politica. Pose le basi della creazione della Banca Centrale Europea e dell’introduzione dell’euro e, insieme a vari emendamenti e dichiarazioni sottoscritti negli anni successivi, formò il corpo giuridico che costituisce l’attuale Unione. Da Maastricht in poi niente sarà come prima: l’Ue imboccherà un vicolo cieco tanto che per il filosofo Etienne Balibar l’Europa di oggi “è morta come progetto politico, a meno che non riesca a rifondarsi su nuove basi”.
I propositi di integrazione variabile, ipotizzati a Maastricht, non vengono concepiti per promuovere le diversità tra gli Stati membri – come era stato giustamente pensato per i Paesi più lenti a cui veniva lasciata la possibilità di intraprendere percorsi autonomi rispetti a quelli tracciati dai più veloci – ma risulteranno soltanto un espediente utilizzato dall’asse franco-tedesco, custode dell’ortodossia neoliberale, per sottomettere gli altri Paesi periferici penalizzati dalla moneta unica. E’ questa, in soldoni, la tesi di fondo sostenuta dal libro “Europa a due velocità” (edizione Imprimatur, 220pp, 16euro) di Alessandro Somma, docente di diritto comparato all’Università di Ferrara. Il volume ricostruisce le tappe di questo percorso, dalla nascita della costruzione europea sino all’attuale dibattito sul futuro dell’Europa, evidenziando come stiamo vivendo una fase di post democrazia e di post diritto, dove per post – spiega l’autore – si intende la negazione di tali parole.
Una parabola discendente per l’Europa, se pensiamo agli anni ’70 e ai Gloriosi Trenta, il periodo del boom economico e dell’affermazione delle politiche keynesiane: aumento della spesa pubblica, maggiore intervento dello Stato, diritti sul lavoro e crescita del Pil. Poi che succede? Dagli anni ’80 il pensiero neoliberale ha scatenato un’offensiva che ha messo sotto attacco le idee e le politiche di uguaglianza. Le dottrine liberiste di Margaret Thatcher e Ronald Reagan sono l’antipasto ad un vera e propria controrivoluzione neoliberista dove un apparato di super ricchi e potenti ha imposto il proprio dominio su finanza, società e media.
Secondo Somma il neoliberalismo, come il fascismo, “mira a riformare le libertà economiche, accettando il sacrificio delle libertà politiche necessario in particolare a disinnescare il conflitto sociale provocato dal funzionamento del mercato concorrenziale”. Una tecnocrazia sottratta al controllo politico e in particolare al dovere di seguire indicazioni di qualsiasi sorta.
Nell’Unione Europea non siamo solo di fronte ad un processo di fuga dalla democrazia ma ad un più pericoloso, feroce e sofisticato percorso di smantellamento della democrazia. E’ il mercato stesso che si eleva a norma giuridica. Sbaglia chi continua a pensare che il neoliberismo sia assenza di regole. Esso è diventato, invece, un Sistema normativo che mette nelle mani dei privati il monopolio della decisione politica. Non a caso i Trattati europei, come i testi del Six Pack, sottraggono ai singoli parlamenti nazionali le decisioni sui bilanci statali. Si pensi al “pareggio di bilancio” in Costituzione, ovvero quel che il giurista Stefano Rodotà ha sancito come la “morte delle politiche keynesiane”.
Il principio del pareggio di bilancio impedisce in radice politiche di deficit spending – le stesse politiche che, sia detto per inciso, la Germania ha adottato con successo dal 2008 in poi e che hanno consentito alla sua economia di riprendersi da una caduta dell’attività produttiva e della ricchezza prodotta, che nel 2008/2009 era stata molto prossima alla nostra. Tale principio è stato recepito nel nostro ordinamento riscrivendo l’art. 81 attraverso una legge costituzionale. Tale modifica della Carta è stata votata sia dal centrodestra che dal centrosinistra. A conferma che nella stessa Europa sinistra e destra, a braccetto, sposano l’ideologia dell’austerity e favoriscono, in un regime di larghe intese, la svolta tecnocratica.
Il tutto a vantaggio, come viene spiegato nel libro di Somma, del cosiddetto “ordoliberismo”, una teoria economica che ha due volti complementari: da un lato l’offensiva sempre più forte contro i diritti sociali ed economici; dall’altro il rafforzamento dei dispositivi securitari contro i diritti civili e politici dei cittadini sfruttati. Viene capovolto il concetto di “sicurezza” che è stata, nella Dichiarazione del 1789, ritenuta protezione del cittadino dall’arbitrio del potere; mentre oggi è la “sicurezza” della libertà della concorrenza, della competitività capitalistica. La crisi recessiva è utilizzata come “modo per governare”, leva principale per rafforzare le politiche neoliberiste. L’ordoliberismo diventa così la proiezione istituzionale del “pilota automatico” di Mario Draghi e della Bce. Il governo statale diventa mera protesi del capitale finanziario. La Grecia di Alexis Tsipras è stata metafora del Sistema che si andava costruendo.
La Grecia è stata, per prima, utilizzata come cavia o, meglio, laboratorio delle politiche del rigore palesatesi in smantellamento del welfare, distruzione del pubblico, tagli, privatizzazioni e compressioni salariali, poi piegata nel momento in cui aveva osato ribellarsi avanzando pretese. Per anni al Paese ellenico è stata sottoposta una “cura da cavallo”, dopo 5 anni di austerity, e prima della vittoria di Syriza, il tasso di disoccupazione era al 26%, quello giovanile quasi al 60, le famiglie avevano perso il 40% del potere d’acquisto e il rapporto tra debito e Pil altissimo, vicino al 170%. A parte la Grecia, anche in Europa la situazione è peggiorata dal 2007 ad oggi: ci sono 7 milioni di disoccupati in più, la riduzione del debito pubblico è fallita mentre il debito pubblico è aumentato di 30 punti, da 65 a 95, in rapporto al Pil.
Le misure di austerity hanno aggravato la situazione e generato profonde ricadute sociali. Quando Syriza ha osato mettere in discussione i memorandum imposti dalla Troika è iniziato quel braccio di ferro nell’Eurogruppo che è terminato come ben sappiamo: il governo Tsipras, isolato, costretto ad accettare lo stritolamento dell’Europa per evitare di vedere la Grecia sbattuta fuori dall’euro. “Colpirne uno per educarli tutti”, è stato il motto perseguito dalle Istituzioni, durante la trattativa.
Per Timothy Garton Ash la crisi e la disintegrazione sono dappertutto e sotto gli occhi di tutti. Il baratro è vicino. “L’eurozona – scrive – è in balia di una disfunzione cronica, la luminosa Atene è piombata nella miseria, i giovani spagnoli con tanto di dottorato sono ridotti a fare i camerieri a Londra o a Berlino, i figli dei miei amici portoghesi cercano lavoro in Brasile o in Angola, la periferia dell’Europa si allontana dal suo cuore. Non esiste Costituzione europea poiché più avanti di quel 2005 è stata bocciata dai referendum in Francia e in Olanda”. Entriamo in una nuova fase.
E’ la “società disciplinare”, il controllo della ragione unica. Vi è un tratto autoritario fondamentale del neoliberismo: la costruzione di un sistema che sottrae le regole del mercato dall’orientamento politico dei governi. Le regole del diritto privato diventano, di fatto, norme costituzionali vere e proprie. Walter Eucken, il quale ha per primo parlato di ordoliberismo, ipotizza che siamo oggi di fronte ad una “costituzione economica” a scapito della democrazia: i principi fondativi ne sono la proprietà privata, la libertà dei contratti, la libera concorrenza. L’originalità dell’ordoliberismo è quello di non accontentarsi dell’invocazione di grandi principi del diritto, libertà e proprietà privata, ma di costituzionalizzare i principi di qualunque politica economica (stabilità monetaria, pareggio di bilancio, etc).
L’attuale Unione Europea, guidata dall’asse carolingio franco/tedesco, mette sotto pressione e subordinazione i Paesi mediterranei del Sud Europa con il ricatto del debito, utilizzato come vero e proprio espediente per togliere sovranità ai cosiddetti Piigs (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna).
Per i Paesi del Sud Europa, la finanza ha escogitato un meccanismo di “cappio al collo” molto stringente: si pretende di far diminuire il debito pubblico imponendo il “pareggio di bilancio”, impedendo ogni politica economica espansiva. La Troika favorisce così i Paesi dell’asse carolingio, come la Germania, che viola da anni l’obbligo di contenere il surplus commerciale; o la Francia che, dall’inizio, sfiora il limite del 3/% del rapporto tra deficit e PIL. Due pesi e due misure.
Somma sottolinea come sia in atto un evidente attacco alle Costituzioni antifasciste più avanzate in Europa, ragionando sull’incompatibilità tra i dettami di Bruxelles e i valori costituzionali di questi Paesi. L’autore, inoltre, criticando ogni ipotesi utopista di costruzione di un’altra Europa o comunque di un Terzo Spazio tra la tecnocrazia e i populismi xenofobi, vede nel recupero della dimensione nazionale l’unica exit strategypossibile. Sarebbe la strada più adatta allo sviluppo del conflitto sociale e, dunque, alla ripoliticizzazione del mercato, una sorta di passaggio obbligato per rilanciare la costruzione europea come motore di democrazia e giustizia sociale: “Combattere il neoliberismo, incluso evidentemente quello che si esprime attraverso il nazionalismo economico, nel nome della democrazia e della giustizia sociale”, sostiene Somma.
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