Perché il terrorismo continua
di ALBERTO NEGRI
Non è l’islam che si sta radicalizzando, è il nichilismo che si sta islamizzando, dice Olivier Roy, esperto di geopolitica mediorientale, autore di Generazione Isis. In realtà non ci sono formule assolute per definire gli attentati terroristici ma storie individuali non sempre immediatamente comprensibili e che vengono strumentalizzate. Una cosa è certa: la fine dell’Isis come entità territoriale non è la fine del terrorismo, come fonte di ispirazione, né dell’ideologia jihadista, come la guerra in Afghanistan non fu la fine di Al Qaida che è ancor attiva in Siria, in Yemen e nel Nordafrica. A distanza di 16 anni dall’11 settembre 2001 colpisce le banalità diffuse dai cosiddetti esperti intervistati dalle tv: mai visto nessuno di questi signori sul campo in 30 anni di reportage di guerra.
Manca la comprensione profonda di fenomeni traumatici rappresentati da eventi come i conflitti mediorientali e l’influsso che hanno avuto sui musulmani nel mondo. L’evento più lacerante fu la sconfitta nel 1967 degli stati arabi nei confronti di Israele e la tragedia palestinese: la presa d’atto che nessuna delle nazioni arabe uscite dalle decolonizzazione era capace di vincere la guerra contro lo stato ebraico. Tra i musulmani, i sunniti, tre quarti su oltre 1,2 miliardi nel mondo, sono quelli che si sentono più defraudati dagli eventi. L’Iraq di Saddam Hussein e le monarchie del Golfo, appoggiate dall’Occidente, mossero guerra alla repubblica islamica sciita di Khomeini nell’80: otto anni di massacri con un milione di morti senza risultato.
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