Happy Days
di ALESSANDRO GILIOLI
Certo che per i meno giovani ha qualcosa di favoloso questo revival del 1994, con Berlusconi perfetto e laccato sulla copertina di Panorama, doppiopetto blu e spilla luccicante di Forza Italia, e nello strillo di cover ecco di nuovo la parola “rivoluzione” (l’altra volta era “liberale”, a questo giro è “moderata”), e il Giornale che titola a tutta pagina “Operazione meno tasse”, e Mediaset che smonta il palinsesto per far posto a uno speciale con Maurizio Costanzo che intervista il Cavaliere, proprio come ai bei tempi della discesa in campo, l’unica differenza è che adesso fanno 160 anni in due.
Ha qualcosa di favoloso, tutto ciò, perché sembra quei film in cui rifanno l’antica Roma con il polistirolo, ma attenti a ogni dettaglio: e c’è l’attacco alle toghe rosse, ci sono le metafore calcistiche («Salvini goleador, Meloni all’ala, io regista o allenatore»), c’è il mito dell’uomo che ha costruito un impero da solo, c’è perfino «L’amore vince sempre sull’odio» (testuale su Panorama), c’è il mantra dell’«ovunque io vado la gente mi abbraccia», c’è la promessa di abolire l’Irap e il bollo auto, insomma c’è tutto, tutto, tutto, ricostruito mediaticamente in modo identico al 1994, compreso l’uso sfrenato dei propri media e del photoshop (quella che vedete sopra è la faccia di B. sulla home page del sito di Forza Italia, questa mattina, una roba che manco Dorian Gray).
Mi aspetto solo di ricevere a casa un dépliant encomiastico del Cavaliere e di vedere spuntare in tivù il cranio di Gianni Pilo, poi mi convinco definitivamente di avere anch’io 32 anni e non 55.
Naturalmente le ragioni di questa replica mediatica così ossessivamente simile all’originale possono essere molte, a partire dal fatto che all’epoca funzionò – in tre mesi vinse le elezioni – e quindi tanto vale rifarlo uguale.
Ma forse c’è anche altro, e cioè che questi che viviamo adesso – fine 2017 – sono tempi di crudele nostalgia.
Nella società, nelle persone, nelle coscienze, sono tempi in cui il pattern dell’innovazione (prevalente nel primo decennio del secolo) ha lasciato il posto a quello del rimpianto, del ritorno al passato – e naturalmente dell’idealizzazione di questo passato, al netto dei peggioramenti effettivi che molti hanno dovuto subire.
Ci sono pochi dubbi, in proposito: la sensazione diffusa nel Paese è che si stava meglio negli anni Novanta. La percezione prevalente è che in quel periodo si era più tranquilli, più sicuri, meno ansiosi, e si guardava con più fiducia al futuro. È che allora ci fossero meno ragioni di paura – degli immigrati, dell’Isis, del licenziamento, del precariato per sé o per i figli, dei robot che rubano il lavoro, dello sfratto, e più in generale del cambiamento insomma.
Non è un fenomeno solo italiano, s’intende, e riguarda un po’ tutti i Paesi occidentali travolti da una globalizzazione troppo veloce e troppo governata nell’interesse di pochi.
Ma sia che quel che sia, la campagna tutta vintage di Berlusconi si inserisce perfettamente in questo sentiment nostalgico. Il grande fabulatore ci sta dicendo che è stato tutto un brutto incubo – questo quarto di secolo in cui l’insicurezza ci ha rese tremanti le ginocchia – e che possiamo essere ancora nel 1994. Con i suoi colori, le sue spille, le sue battute, le sue promesse, le sue ballerine, i suoi aperitivi, il suo pensiero positivo, la sua fede nell’eterna giovinezza.
Avete presente Happy Days, la serie tivù? Fu inventata negli Usa nei primi anni ’70 (cioè al tempo della guerra del Vietnam, della crisi economica, del petrolio alle stelle, dei comunisti che sembravano più forti nel mondo, della crisi nazionale di autostima per l’impeachment di Nixon etc) per far vivere agli americani il clima di vent’anni prima, dei meravigliosi anni ’50. Già il titolo della serie a questo rimandava, e gli americani impauriti dal presente si incollavano a quell’illusione di passato.
Ecco: Berlusconi ci sta trasmettendo la sua versione di Happy Days, ci sta mettendo davanti agli occhi una ripetizione mediatica che è in realtà, soprattutto, un cartone gigante degli anni Novanta, quando tutti eravamo più giovani, più sereni e soprattutto meno insicuri, meno terrorizzati dal futuro – o almeno oggi questa è la percezione riflessa.
«Questi giorni sono tutto, Felici e Liberi. (Quei Giorni Felici) Questi giorni sono tutto, Dividili con me. Arrivederci cielo grigio, benvenuto cielo blu» (Dalla sigla di Happy Days).
fonte: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/11/02/happy-days/
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