Gli sviluppi della politica estera italiana nell’ultimo decennio hanno sortito la diminuzione dell’influenza del nostro Paese nella complessa area mediorientale. Il nuovo libro Italy and the Middle East. Geopolitics, Dialogue and Power during the Cold War (London, Tauris, 2020), edito da Luciano Monzali e Paolo Soave, riporta il lettore invece nel periodo in cui il Bel Paese era un interlocutore privilegiato nel complesso scacchiere mediorientale, un’era in cui la Farnesina poteva giocare un ruolo decisivo nella risoluzione di conflitti, nella mediazioni tra acerrimi nemici statali e non, e adempiere alla funzione delicata di cerniera tra l’Occidente e quella regione rimasta sempre infuocata durante il secondo dopoguerra.
Nei decenni in cui la politica interna era contraddistinta dalla stagnazione causata dal lungo regno della DC e dei suoi alleati, la politica estera era sospinta, in maniera talvolta assai creativa, da uno stuolo di diplomatici professionisti, caparbi e coraggiosi. Dal 1948 ai giorni nostri, l’Italia si è quindi dimostrata capace, come sostenuto a più riprese nel corso dell’intero libro, di reagire in maniera elastica e rapida ai bivi della Storia, come l’ascesa dell’Olp, la Rivoluzione iraniana del 1979 o un ruolo di mediazione pluridecennale nel pantano libanese.
All’insegna della migliore tradizione accademica, Italy and the Middle East è una collezione di capitoli scritta da studiosi che si sono soffermati con impegno e dedizione ai temi in questione. I quindici contributi coprono l’intero arco del Medio Oriente, esteso dall’Algeria all’Afghanistan, spaziando dal rapporto continuato – e meglio conosciuto – con la Libia di Gheddafi – ad aspetti ben meno noti, come i rapporti tra l’Italia e il Re Zahir dell’Afghanistan, a lungo esule a Roma, gli sforzi per assicurare l’ingresso della Turchia nella Cee o i legami con il Pakistan degli ultimi due decenni della Prima Repubblica. Si tratta quindi di una gamma di case study estesa, innovativa e sicuramente inedita nel formato proposto.
Nell’Introduzione Luciano Monzali e Paolo Soave si soffermano correttamente sulla definizione dell’Italia come middle power, una nazione priva di velleità da superpotenza o di antichi legami coloniali ma ciò nonostante con lo sguardo sempre rivolto verso il Medio Oriente a causa del tentativo, spesso sostenuto dal PSI e dal PCI, di stabilire rapporti stretti con realtà al di fuori degli schemi della Nato. Luca Riccardi si sofferma sul caso forse più controverso della politica estera italiana in Medio Oriente, i complessi rapporti intessuti con l’Olp negli anni in cui l’organizzazione di Arafat e altri elementi della galassia palestinese spesso sferravano attacchi armati contro l’Occidente. Riccardi porta in primo piano l’importanza della corrente filopalestinese che attraversava i corridoi della politica italiana e che talvolta generava crisi di governo, ma conclude notando il declino dell’influenza italiana dagli accordi di Oslo in poi. Lorenzo Medici offre invece una panoramica sull’importanza della diplomazia culturale italiana nell’intera regione come stampella essenziale per l’operato politico-economico del Belpaese.
L’Italia si dimostrò inoltre, come spiegato da Rosario Milano, capace di reagire con gran tempismo alla caduta dello Scià d’Iran e stabilire subito i propri legami riservati con il nuovo ordine, che fecero dell’Italia uno dei rari Paesi occidentali dotati di una presenza diplomatica continuata a Teheran nel corso dei temibili anni Ottanta.
L’impegno dell’Italia in Medio Oriente era radicato pure su motivi prettamente economici. L’ENI, come notano Paolo Soave e Bruno Pierri, ha giocato un ruolo di primissimo piano sia in Libia che in Iran nel ruolo di sentinella degli interessi italiani. L’ENI talvolta si è fatta strada, come notato da Pierri, tra il “fuoco amico” occidentale, nella fattispecie quello britannico, ed è rimasta una voce fuori dal coro ma comunque capace di proteggere i propri interessi.
L’Italia repubblicana ha inoltre talvolta favorito monarchi come l’afghano Zahir Shah, a causa dell’avversione bi-partisan all’invasione sovietica del 1979. Come raccontato con dovizia di particolari da Luciano Monzali, i fitti colloqui diplomatici tra Roma e Mosca sancirono l’incontro diretto tra Zahir e un emissario sovietico nel 1988. L’intervento di Giuseppe Spagnulo coadiuva in maniera essenziale il lavoro di Monzali, spiegando le scelte italiane in Pakistan durante la guerra civile nel paese limitrofo.
Italy and the Middle East è in conclusione un libro essenziale, esaustivo e innovatico che susciterà senza dubbio un rinnovato interesse, all’interno del mondo accademico anglosassone, per lo studio della politica estera italiana nel periodo della Guerra Fredda. I suoi contributi sottolineano in particolar modo la complessità della diplomazia italiana in quel periodo e quel ruolo di primo piano che sembra essersi allontanato in tempi più recenti ma che forse, attraverso una lettura attenta dei contenuti di questo libro da parte degli addetti ai lavori, potrebbe tornare in auge.
(Pubblicato il 21 gennaio 2021 © «Corriere della Sera»
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