En attendant Godot, ovvero l’altra Europa
di IL VELO DI MAYA (Luigi Pecchioli)
Riporto qui una dichiarazione presa da FB di un’esponente della sinistra c.d. alternativa:
Vi sono rappresentanti quelli che sono i capisaldi del pensiero “altro-europeista”, tanto caro ad una certa sinistra: l’importanza dell’Europa, visto come soggetto “grande” e quindi idoneo alla sfida globalista con i “grandi” Stati (Cina, USA, India); la possibilità che l’Europa, intesa come UE, possa essere un fattore di benessere mondiale, solo se si sforzasse di fare politiche diverse; la valutazione negativa dell’austerità e della governance europea ed infine l’auspicio del cambio di rotta della UE, perché si conformi a principi più democratici e sociali in linea con la nostra (italiana) Costituzione, rifuggendo però ogni “nazionalismobrutto”.
Questo afflato di giustizia e democrazia, questa voglia che l’Europa non solo conti a livello mondiale, ma sia da guida ed insegnamento per i popoli, per quanto possa essere (in alcuni) ispirato e sincero è tragicamente senza senso.
Vediamo perché.
Innanzitutto ed incredibilmente, poiché viene da soggetti che la politica la fanno, essa sconta un non senso politico piuttosto ingenuo: da un lato si riconosce che la governance europea è miope, poco democratica e come talvolta si evidenzia, anche oscura nei suoi procedimenti decisori, dall’altra si auspica che questa stessa classe dirigente, presa da un qualche improvviso rimorso e ripensamento, come una specie di illuminazione divina o folgorazione intellettuale, metta da parte le politiche di austerità da essa perseguite e sostenute per abbracciare convinta strategie espansive, di spesa sociale ed a favore dei lavoratori. Questo ragionamento, o piuttosto sogno, sembra completamente ignorare le ragioni delle politiche attuate finora, qualificandole come meri errori di valutazione o testarda insistenza in soluzioni, magari inizialmente giuste e dovute (l’amara medicina), ma ora eccessive e controproducenti: una specie di chemioterapia economica, necessaria a combattere il cancro dei conti in disordine e dei bilanci statali in rosso (un falso problema, ma tant’è), ma ora che si è in via di guarigione, inutile e dannosa.
Le cose evidentemente non stanno così. L’austerità era ed è funzionale e quindi necessaria per mantenere l’euro stabile: come ha illustrato efficacemente Parguez in un suo recente studio con la creazione dell’euro si è voluto dare una moneta a corso forzoso utile alla speculazione, quindi all’accumulazione e al mantenimento del valore, quasi si trattasse di una moneta con un sottostante com’era ai tempi del c.d. “gold standard”.
Per far ciò bisognava limitare al massimo la sua perdita di valore, ovvero l’inflazione, e questo è stato ottenuto attraverso la compressione dei salari, la fissazione di un tasso di disoccupazione che frenasse le spinte inflattive e soprattutto l’impedimento agli Stati di fare spesa sociale. Come spiega Parguez il sottostante dell’euro siamo noi e la sua stabilità è garantita dalla perdita dei nostri diritti e dei nostri redditi: questo è il senso e la ragione dell’“amara medicina”.
Ora, se queste sono le ragioni dell’euro e se, in quest’ottica, sta funzionando magnificamente, perché dovrebbero cambiare le politiche che lo sostengono? Oltre a ciò, la Germania e con lei i Paesi del Nord, hanno avuto un duplice ottimo risultato: da una parte sono cresciuti economicamente sulle spalle degli altri Stati europei, sfruttando i differenziali di inflazione e quindi di prezzo a loro favore per esportare i loro prodotti intra UE, dall’altra hanno potuto aumentare la disuguaglianza nella ridistribuzione interna dei redditi prodotti a favore dei grandi produttori e della classe più abbiente, scaricando la colpa di queste politiche mercantiliste sui Paesi del Sud Europa, sfaticati e spendaccioni, così fornendo un comodo bersaglio ai malesseri dei loro cittadini, impoveriti e sottopagati. Questa situazione ha permesso un esito paradossale: far crescere il reddito nazionale e contemporaneamente la povertà in Germania, con minimi contraccolpi (la crescita del partito AfD è il più rilevante di essi), quindi una pesante concentrazione di ricchezze verso l’alto. Perché le élite tedesche dovrebbero spingere per un cambiamento?
L’Europa e l’Euro sono così perché per chi ha voluto questo progetto, serviva che fossero esattamente come sono. Nessun errore, nessun accanimento.
L’altro aspetto che denota un’altra inaspettata ignoranza, questa volta più giuridica che politica, ma parimenti grave per chi si occupa della cosa pubblica anche solo dall’opposizione, è l’auspicio che la UE si conformi ai principi della nostra Costituzione e ne condivida le finalità di tutela sociale e promozione. La UE, come ormai è stato chiarito con pubblicazioni, convegni e libri da prestigiosi studiosi e persino dal sottoscritto col proprio saggio, è intimamente intrisa e formata dall’ideologia neoliberista, che vuole lo Stato arbitro e non soggetto attivo nell’economia, il lavoratore flessibile ed adattabile, anche nel salario, un mercato libero e fortemente competitivo, la stabilità dei prezzi. Tutto ciò è antitetico e incompatibile con la previsione costituzionale di uno Stato agente e con ampi poteri di controllo e coordinazione dell’attività privata, di lavoratori stabili e tutelati nel reddito minimo, di un mercato regolato e della necessità di puntare alla piena occupazione, una Costituzione che non poneva limiti di spesa (limiti aggiunti solo attualmente con la sciagurata modifica dell’art. 81 Cost.) e che non considera la stabilità dei prezzi un principio fondante.
Oltre a ciò, non si vede poi perché in un’unione di 28 Stati, ciascuno con Costituzioni diverse e informate a principi diversi, la UE dovrebbe adottare proprio la nostra…
Vi è poi la questione della necessità di una Unione Europea, anzi, degli Stati Uniti d’Europa per competere con i grandi Paesi. Questo assunto, oltre che ignorare bellamente le diversità di istituzioni, forme di governo, leggi, sistemi sociali, sanitari, giudiziari e fiscali che contraddistinguono i Paesi europei, sconta anche una fallacia logica che possiamo chiamare del “grande pennello”: chi ha una certa età ricorderà quella pubblicità in cui un imbianchino circolava in bicicletta con un enorme pennello, bloccando il traffico; alle contestazioni di un vigile urbano rispondeva “devo dipingere una parete grande mi serve un pennello grande”, al che il vigile gli faceva notare che non serviva un pennello grande, ma un grande pennello (nel senso di ottima qualità). Ecco, questi esponenti dell’altra Europa sono fermi al concetto di pennello grande, ovvero di un superstato che combatta alla pari con i giganti economici (quindi un nazionalismo comuigato più in grande…) e non hanno capito che basta essere un grande pennello, ovvero uno Stato con buone basi, con una buona occupazione e produzione. L’esempio ce lo dà la Corea del Sud, un piccolo Stato, stretto geograficamente ed economicamente fra i giganti India e Cina, ma, evidentemente ignaro della sua situazione, altamente competitivo e che nel 2050 è dato come il Paese che avrà il maggior reddito pro-capite, insieme gli USA:
Non serve quindi unirci per forza per far fronte alle sfide della globalizzazione, basta essere uno Stato sovrano, possibilmente ben governato e che punti allo sviluppo interno.
In attesa quindi che per qualche intervento divino arrivi l’altra Europa, come Godot nella famosa pièce di Beckett era atteso da Vladimiro ed Estragone e con gli stessi risultati, i “sognatori” si sentono nel frattempo in dovere di continuare a sostenere questa Europa e quindi più o meno consapevolmente il progetto di impoverimento e distruzione di diritti da essa implementato, pur continuando a dirsi di sinistra, perché gli Stati nazionali si sà sono egoisti e guerrafondai e portatori del germe del nazionalismo (la UE invece…).
Sarebbe anche ora che capissero che la commedia è arrivata all’ultimo atto e Godot-altra Europa non arriverà mai…
Fonte: http://www.ilvelodimaya.org/2017/11/13/en-attendant-godot-ovvero-laltra-europa/
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