Breve elogio della violenza
di FEDERICO DEZZANI
Non esiste tabù più grande in Occidente che la violenza: niente è esecrabile, infamante ed ignominioso nella nostra società che il suo uso in politica, una vera profanazione dei principi “democratici” che regolerebbero il nostro vivere. Eppure la violenza è uno strumento cui l’élite occidentale ricorre da sempre per imporre la propria volontà, ammantandola con concetti nobili come la difesa dei diritti umani o la difesa della pace. L’Occidente liberale è in necrosi, ma l’oligarchia lotterà fino all’ultimo per mantenere l’assetto attuale: soltanto la violenza, che sia esterna come la guerra o interna come la rivoluzione, seppellirà il vecchio ordine e ne creerà uno nuovo.
Tagliare il nodo gordiano
Scrive Arriano nella sua “Anabasi di Alessadro”:
“Inoltre si raccontava anche di questo del carro: chi avrebbe sciolto il nodo del suo giogo avrebbe ottenuto il dominio dell’Asia. Il nodo era però di corteccia di corniolo e non se ne vedeva né l’inizio né la fine. Poiché Alessandro si trovava in difficoltà nello scioglierlo e non voleva ammettere che restasse annodato, temendo che il fatto suscitasse inquietudine nell’esercito, alcuni riferiscono che lo recise con un colpo di spada e che disse poi di averlo sciolto”.
Non esiste gesto violento più celebre che il taglio del nodo gordiano: Alessandro, impegnato nella guerra contro i persiani e già proiettato verso la creazione di un grande impero euroasiatico, risolve con un colpo di spada un enigma intricato e apparentemente insolubile, recidendo quel nodo che “dal tempo antico” nessuno è mai riuscito a sciogliere. La sua violenza è brutale ma chirurgica, rivoluzionaria e costruttrice: taglia il passato, per spianare la strada al nuovo, svelando la vera essenza della violenza.
Nell’attuale Occidente liberale non esiste tabù più grande che l’utilizzo della violenza in politica: il violento si colloca agli antipodi della “democrazia”, pacifica e tollerante per definizione, ed è automaticamente escluso dalla vita politica (e privato del diritto di voto se incarcerato). Si tratta, in realtà di semplice ipocrisia: la violenza è uno strumento così prezioso e delicato, che le élite se ne riservano da sempre il monopolio, vietandone diversamente l’uso con la religione, il diritto e la morale. Nessuna élite è stata più violenta ed ipocrita di quella liberale, cui dobbiamo prima la “pax britannica” e poi “la pax americana”: plasmare il mondo immagine e somiglianza dell’oligarchia atlantica ha richiesto l’impiego di violenza su scala globale, ricorrendo ai mezzi più sofisticati e letali offerti dalla tecnologia, eppure la si è sempre ammantata con concetti nobili. Difesa dei diritti umani, della democrazia, delle minoranze.
Prendiamo in considerazione soltanto gli ultimi anni: non è stata violenza il cambio di regime in Libia? Non è stata violenza il tentativo di rovesciare Bashar Assad? Non è stata violenza il colpo di Stato in Ucraina? Non è stata violenza la pulizia etnica-religiosa con cui si è cercato di ridisegnare il Medio Oriente?
La violenza è, innanzitutto, sempre rivoluzionaria: la sua funzione è quella di seppellire un ordine, una costituzione, un assetto, per crearne uno nuovo. L’oligarchia, che sia ai vertici di un regime democratico o di un regime militare, è animata dall’istinto di autoconservazione che l’accomuna agli altri esseri umani: non è nel suo interesse essere scalzata, né fornire ai suoi sfidanti dei meccanismi per abbatterla. La “Costituzione” di qualsiasi Paese cristallizza i rapporti di forza al momento della sua scrittura e pone dei precisi paletti, stabilendo cosa è lecito e cosa è illecito. Abbattere l’oligarchia è, ovviamente, tabù; quindi è incostituzionale e, nel nostro particolare ordinamento, “antidemocratico”. La storia è però un fiume inarrestabile e la spinta al cambiamento, chiusa fuori dalle costituzioni, rientra dalla finestra attraverso la violenza.
Dicevamo che la violenza, oltre ad essere rivoluzionaria, è uno strumento riservato alle élite. Se la violenza è esercitata da un’élite su un’altra élite esterna alla società, abbiamo la guerra: si dice, giustamente, che la storia è il cimitero delle élite e tutte le guerra del genere umano, benché siano state combattute anche da decine di milioni di uomini, sono sempre state il duello tra classi dirigenti contrapposte. Anche la misera guerra libica del 2011, non è stato nient’altro che lo scontro tra il clan Gheddafi e l’oligarchia atlantica. Se la violenza è esercita da un’élite emergente su un’élite decadente, all’interno della stessa società, abbiamo invece la rivoluzione e/o la guerra civile. Se la minoranza in ascesa esce vittoriosa dallo scontro con la minoranza in declino, allora scrive la propria costituzione, che congela il nuovo ordine sino alla rivoluzione successiva.
Di fronte alla violenza di chi preme per imporre il cambiamento, c’è solo la forza. Violenza e forza, come già notato dal giurista e filosofo Sergio Panunzio nel suo “Diritto, forza e violenza: lineamenti di una teoria della violenza” del 1921, sono concetti opposti. La violenza è rivoluzione, la forza è conservazione. Ogni élite ricorre alla violenza per prendere il potere e lo mantiene poi con la forza: l’impiego della polizia per garantire l’ordine pubblico o dell’esercito per soffocare un colpo di Stato è forza, non violenza. Restiamo alla cronaca recente: il tentativo dell’élite euro-atlantica di balcanizzare la Spagna attraverso la secessione della Catalogna è un atto di violenza, cui il governo centrale ha risposto con un atto di forza, schierando la Guardia Civil e sciogliendo l’assemblea secessionista.
Il moltiplicarsi degli atti di violenza esercitati dall’élite liberale sul resto del mondo, dai cambi di regime in Medio Oriente a quello in Brasile, passando per l’Ucraina ed i torbidi di questi giorni in Birmania, sono sintomi di un gravissimo affanno: caduta nella trappola dei tassi a zero delle banche centrali, esautorata presso l’opinione pubblica interna, eclissata dai colossi euroasiatici, l’oligarchia atlantica ha i giorni contati. La “pax britannica”, trasformatasi poi in “pax americana”, è giunta al capolinea dopo poco più di tre secoli.
Eppure non bisogna illudersi che l’élite liberale ceda di sua sponte il potere: nessuno lo ha mai fatto prima, né ci sono valide ragioni perché scelga di capitolare volontariamente. Rientra così ancora in campo la violenza: l’oligarchia euro-atlantica, quella che guida gli Stati Uniti e tira i fili della UE/NATO, può solo essere abbattuta attraverso il ricorso alla violenza: generalizzata, industrializzata, proiettata all’esterno, come una guerra tra grandi potenze, o, circoscritta, chirurgica, proietta all’interno, come la rivoluzione e/o la guerra civile per liberare i singoli Paesi occidentali da una classe dirigente più logora, corrotta e screditata che mai.
In ogni caso, viva la violenza!
E viva i violenti che, giovani e rivoluzionari, taglieranno il nodo gordiano!
Fonte: http://federicodezzani.altervista.org/breve-elogio-della-violenza/
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