L’agonia dell’Ajax
di LETTERA 43
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PREMESSA
Un articolo che, spiegando una vicenda calcistica, legata da una sentenza della Corte Europea, sempre costruita sull’idea dell’estrema competitività, possa rovinare proprio i talenti e le ricchezze locali, a favore di grandi organizzazioni che detengono i maggiori capitali, i quali finiscono per fagocitare inevitabilmente le piccole realtà. Anche lo sport è lo specchio della società e dell’idea di questa Europa irriformabile che avvantaggia soltanto il grande capitale a danno della stessa varietà di mercato che si proponeva di salvaguardare.
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Vent’anni fa l’Ajax si avviava, da campione d’Europa in carica (1-0 al Milan firmato dal 18enne Patrick Kluivert nel maggio 1995 a Vienna), verso la sua seconda finale consecutiva di Champions League, dove si sarebbe arreso solamente ai rigori alla Juventus di Marcello Lippi. Bianconeri che anche la stagione successiva avrebbero fermato la corsa degli ajacidi, questa volta però in semifinale. Il bilancio rimaneva comunque strepitoso: tra il ’95 e il ’97 gli olandesi erano puntualmente tra le migliori quattro squadre d’Europa. Rapido flash forward: la settimana scorsa, pareggiando all’Amsterdam ArenA contro i norvegesi del Molde, l’Ajax ha salutato l’Europa League dopo un ruolino di marcia da provinciale di basso rango: 2 vittorie, 6 pareggi, 2 sconfitte, considerato anche il turno preliminare di Champions, dove è stato fatale il Rapid Vienna. Norvegesi e austriaci rappresentano solo le ultime due tappe del calvario europeo che stanno vivendo in casa Ajax negli ultimi anni. Le precedenti stazioni si chiamano Slavia Praga, Steaua Bucarest, Red Bull Salisburgo, Dnipro, tutti nomi ben lontani dal rappresentare la crema d’Europa. La fase a eliminazione di Champions manca dal 2006 (fuori agli ottavi contro l’Inter) e, prima del successo al Celtic Park di Glasgow dello scorso novembre, i biancorossi non vincevano in trasferta dal 23 febbraio 2012, 2-1 in casa del Manchester United – che comunque passò il turno. Un filotto negativo durato 16 partite. Roba da Utrecht, più che da Ajax.
A parte lo stesso Jean-Marc Bosman, è noto come la principale vittima della famosa sentenza emessa dalla Corte Europea di Giustizia il 15 dicembre 1995 sia stata proprio l’Ajax, società simbolo di tutte quelle realtà calcistiche che sopperivano al gap economico con le big attraverso lo sviluppo e la valorizzazione di talenti. Nelle stagioni successive alla sentenza Bosman gli ajacidi hanno perso Edgar Davids, Patrick Kluivert, Micheal Reiziger, Winston Bogarde (all’epoca ancora considerato un grande terzino), Marc Overmars, i fratelli De Boer. Non furono tutti parametri zero, ma molti se ne andarono per cifre contenute. Bastava fare cassa, per limitare i danni contro paesi che offrivano ingaggi impensabili per la piccola realtà olandese. Ma il malessere ajacide, indiscutibilmente generato dalla citata sentenza, si è progressivamente acuito a causa della cronica incapacità di modellare la propria filosofia, tanto straordinaria nei cicli più produttivi quanto eccessivamente rigida in quelli meno fecondi, al mutare degli eventi. Un flop in primis politico, tra correnti al vertice che nemmeno l’attuale Pd e lotte intestine da paese centroamericano. Non a caso uno dei recenti capitoli di questi scontri di potere è stato ribattezzato Ajax Wars.
L’Ajax campione d’Europa 1995, prima della semifinale contro il Bayern Monaco. Clive Brunskill/ALLSPORT
A partire dai primi anni 2000 l’Ajax le ha provate tutte per restare competitivo in Europa: il mercato, lo scouting, infine il ritorno al vivaio con il rientro in cabina di comando di Johan Cruijff. Le dimissioni di quest’ultimo lo scorso 16 novembre hanno sancito l’ennesimo fallimento. Procediamo però con ordine. Nel 2008 Uri Coronel, presidente di una commissione interna istituita per tracciare un bilancio sulla gestione tecnico-sportiva del club, pubblica un report dal titolo Ajax 1997-2007, tien jaar miskopen. Dieci anni di bidoni, a fronte di 170 milioni di euro spesi sul mercato. Qualche nome: Christopher Kanu, Machlas, Sonck, Mitea, Charisteas, Juanfran, Rosenberg, Urzaiz. Tra le righe, il significato è chiaro: cari dirigenti, sostiene Coronel, siete un branco di incapaci. Un ulteriore sfregio al blasone dell’Ajax arriva dal caso Luis Suárez. Portato in Olanda dal Groningen, quando il club del Noord Holland si era reso conto che tipo di pepita si era ritrovato in casa, aveva cominciato a giocare al rialzo con gli ajacidi: 3.5 milioni, poi 5, quindi 6, fino a quando l’Ajax aveva interrotto le trattative. Suárez, smanioso di giocare ad Amsterdam, decise di forzare il trasferimento ricorrendo alla Commissione di Arbitrato, che però respinse l’istanza con la seguente motivazione: «Le prestazioni fornite negli ultimi anni dalle società calcistiche AFC Ajax e Fc Groningen non sono tali da configurare per il calciatore Luis Suárez il danno di mancato avanzamento di carriera». La vicenda si concluse con l’acquisto di Suarez per 7.5 milioni di euro. Oltre allo smacco di essere equiparato a un club da zero titoli (il Groningen vincerà il suo primo solo nel 2015, la Coppa d’Olanda), in molti hanno cominciato a chiedersi perché sia stata una realtà di provincia come il Groningen a scovare Suárez, o come mai sia toccato all’Heerenveen scoprire Huntelaar, poi costato 9 milioni all’Ajax.
Uno dei pochi gol di Nicolae Mitea, una carriera finita prima dei 30 anni a causa degli infortuni
Il ciclone Coronel provoca le dimissioni in blocco dei vertici, e tocca proprio a lui assumere la carica di presidente. Non dura molto, perché il rottamatore si dimostra tale solo sulla carta, rivelandosi in realtà una rimasticatura di quel passato che avrebbe dovuto far scomparire. Così nel 2011, per avviare ciò che la stampa olandese ha definito “il Watergate dell’Ajax”, Johan Cruijff utilizza le stesse armi del suo nemico, ovvero la relazione Coronel: dei 38 punti che compongono il documento, il suo autore ne aveva realizzati a malapena un terzo. L’Ajax continua a comprare male, e l’organizzazione del vivaio non è sufficiente a garantire un’adeguata competitività alla squadra, né in patria, tantomeno in Europa. Coronel lascia, ma la guerra è solo all’inizio. Il nuovo board nomina Louis van Gaal direttore generale. Ipotizzare però una collaborazione tra Cruijff e Van Gaal sarebbe come «bestemmiare in chiesa» (così il consigliere Ajax Keje Molenaar), perché la coppia possiede visioni diametralmente opposte. Due i nodi cruciali: settore giovanile e ruoli dirigenziali.
La visione formativa di Cruijff è individualista, quella di van Gaal sistemica. Per quest’ultimo la squadra è un’unica entità, capace di muoversi in campo come pedine su una scacchiera. Cruijff invece punta molto anche sull’aspetto psicologico del giocatore, tanto da ritenere indispensabile l’inserimento nello staff di un mental coach, abolito nelle precedenti gestioni. Cruijff pone al centro della gestione tecnico-sportiva, mercato incluso, l’allenatore della prima squadra e i responsabili del settore giovanili (ruoli da assegnare a ex giocatori del club, vedi i vari Frank de Boer, Stam, Bergkamp, Jonk) a scapito del direttore generale, figura invece imprescindibile per Van Gaal. Secondo quest’ultimo il dg deve essere un esperto dotato di visione a 360 gradi, non solo tecnica, ed aver militato in passato nel club non è un requisito sufficiente. La questione finisce in tribunale: Cruijff ricorre contro la decisione del board e vince. Seguono altre dimissioni e inizia la Fluwelen Revolutie, la rivoluzione di velluto. Sarà il settore giovanile la pietra angolare sulla quale costruire la rinascita del club.
Cinque anni dopo anche il progetto Cruijff è fallito, quantomeno in ambito internazionale. Come Coronel, anche Cruijff è stato sconfitto dal suo stesso programma. Se in Eredivisie l’Ajax è tornato al top dopo anni di magra, vincendo quattro titoli nelle ultime cinque stagioni (e attualmente è in testa), in Europa la competitività è rimasta una chimera. Nessuno si aspetta che gli ajacidi lottino per la Champions, ma quantomeno il passaggio della fase a gironi (possibile, come dimostrato dal Psv Eindhoven nell’attuale stagione) o un’Europa League da protagonisti. Il modello Ajax, si è letto, dovrebbe ispirarsi a quello del Basilea, società che nel corso degli anni ha raggiunto un consolidato status europeo attraverso mezzi autogenerati da una struttura gestionale di rara efficienza.
Il massimo club olandese che guarda a una società svizzera: dieci anni fa sarebbe stata una barzelletta. Il messaggio lanciato dal campo è chiaro: il vivaio da solo non basta. Nei suoi cinque anni di gestione, Frank de Boer ha lanciato in prima squadra 26 giovani formati tra le mura del De Toekomst (Lobenzo Ebecilio il primo, Donny van de Beek l’ultimo, Jairo Riedewald il più giovane – 17 anni e 101 giorni, Davy Klaassen il migliore). Come però ha scritto il settimanale Voetbal International, «il futuro deve essere dei giovani, che invece in casa Ajax rappresentano esclusivamente il presente». Tradotto: non hanno il tempo necessario per maturare la giusta esperienza. Un paradosso che può essere compreso meglio attraverso un dato. Alla prima europea di Frank de Boer in panchina, l’8 dicembre 2010 a San Siro contro il Milan (vittoria 2-0 dell’Ajax, già però eliminato dalla Champions), l’età media della squadra olandese si attestava sui 23 anni. Cinque anni dopo, nel preliminare contro il Rapid Vienna all’Amsterdam Arena (sconfitta per 3-2), il valore è sceso a 20,9. L’Ajax campione d’Europa 1995 era indubbiamente giovane – 24,7 anni – ma poteva contare su due veterani quali Frank Rijkaard (32) e Danny Blind (33) ad agire da collante per i vari Overmars (22), Davids (22), Litmanen (24), Van der Sar (24) e Seedorf (19). Nell’Ajax attuale, a parte il 26enne Cillessen, i più esperti sono Veltman (23) e Klaassen (22). In campo, conclude l’analisi del giornale, «questi giocatori possono imparare solo da loro stessi».
Fuori dall’Europa League, dopo l’1-1 contro il Molde
Una volta in casa Ajax l’aspettativa di carriera di un giocatore valido si attestava attorno alle 8-9 stagioni, poi arrivava la cessione. A metà degli anni 2000 era scesa a 5 – esempio di riferimento Wesley Sneijder, l’ultimo grande campione uscito dal vivaio ajacide. Oggi la media è attorno ai tre campionati in prima squadra, con casi limite come quello di Kishna, passato alla Lazio dopo nemmeno una stagione intera da titolare, nemmeno disputata benissimo. Ma in questo caso entrano in gioco i procuratori e il discorso è già noto. L’Ajax continua a vendere bene – nell’ultimo quadriennio il saldo acquisti/cessioni presenta un attivo di oltre 40 milioni – però in entrata continua a sbagliare due giocatori su tre (Bojan, Poulsen, Sana, Van der Hoorn, Zimling, Heitinga, Sanogo i flop più recenti), nonché a strapagare qualche talentino in erba (Sulejmani in passato, Sinkgraven oggi) ancora tutto da verificare. Nel 2010 uno scialbo 2-0 casalingo contro il fanalino di coda Willem II fece sbottare Johan Cruijff: «Questo è il peggior Ajax di tutti i tempi, anche di quello pre-Michels del 1965 che rischiava di retrocedere». In campo c’erano Suárez, Vertonghen, Stekelenburg, Alderwiereld, Van der Wiel, Siem de Jong. Alzi la mano chi oggi non farebbe cambio.
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