Ogni volta il solito copione: mancano i soldi, rimpallo di colpe, competenze amministrative poco chiare, ci pensa la Regione o il Comune? È pertinenza della provincia, ma no. Le province non esistono più. Ed ecco che la colpa non è mai di nessuno e dopo un po’ di clamore la storia finisce nel dimenticatoio. Semplificare non è giusto, ma è comunque necessario far lucesui meccanismi di un sistema, quello delle autostrade italiane, totalmente sui generis nel panorama mondiale.
Le autostrade italiane sono gestite per la maggior parte da società concessionarie. Dal 1º ottobre 2012 l’ente concedente è il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e non più ANAS e sono in maggioranza (5773,4 km al 2009) soggette al pagamento di pedaggio. Le autostrade sono gestite o dall’ANAS o da società firmatarie di convenzioni con l’ANAS stesso. L’ANAS inoltre fino a settembre 2012, controllava l’operato delle società concessionarie attraverso l’IVCA (‘Ispettorato di Vigilanza sulle concessioni autostradali) dotato di una struttura organizzativa autonoma, da lì in poi le funzioni di controllo sono state poi trasferite al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Nel 1982 viene costituito il Gruppo Autostrade, e nel 1987 Autostrade Concessioni e Costruzioni S.p.A. viene quotata in Borsa Italiana, nel listino Mib30. Nel 1990 Autostrade introduce il Telepass, il primo sistema al mondo su larga scala per il pagamento dinamico del pedaggio. Questo sistema a pagamento verrà poi replicato prima in Regno Unito e poi negli Stati Uniti in tratte specifiche. Nel 2002, dopo la privatizzazione avvenuta nel 1999, in seguito ad un nuovo assetto organizzativo, le attività di concessione autostradale vengono conferite ad Autostrade per l’Italia, controllata al 100% da Autostrade S.p.A. (oggi Atlantia S.p.A.). La scadenza di questa concessione è fissata al 31 Dicembre 2038. La società che gestisce più km di autostrade è Autostrade per l’Italia. Fa parte del gruppo Atlantia S.p.A., che ne possiede il 100% del capitale sociale e che fa riferimento, come principale azionista, alla famiglia Benetton.
Il tema della concessione della gestione di autostrade è uno dei più scottanti: Autostrade per l’Italia ha firmato nel 2007 la nuova convenzione, entrata in vigore nel 2008 e valida fino al 2038. Il costo del canone di concessione che le aziende devono pagare – al Ministero per il 58 per cento e all’ANAS per il 42 – è fissato al 2,4 per cento dei pedaggi al netto dell’IVA. Uno scandalo. Secondo uno studio nel quinquennio 2008-2013, considerando i ricavi, gli investimenti e il costo del canone, si è registrato per le aziende del settore un utile netto pari a 8,467 miliardi di euro. Nonostante questi numeri il governo autorizza ogni anno aumenti medi dello 0,77%. Sulle vecchie autostrade il traffico non scende, gli addetti sono in continua diminuzione, gli investimenti promessi (in cambio degli aumenti di pedaggio) non sono invece stati realizzati. Per questi motivi gli aumenti delle tariffe, che per molti sono una vera e propria imposta sulla mobilità, sono ancor più ingiustificati. In Italia il pedaggio era legato ai costi di costruzione, che sono stati saldati nel 2008. A seguito di questo vengono giustificati per la manutenzione che come però risulta evidente anche dai crolli dei ponti, non viene fatta come si dovrebbe.
I concessionari sono 26, di cui due – Autostrade per l’Italia Spa del gruppo Benetton e Sias del gruppo Gavio – gestiscono circa il 70% dell’intera rete. Negli ultimi vent’anni la rete autostradale è rimasta pressoché la stessa, ma i loro ricavi sono più che raddoppiati, passando da 2,5 miliardi di euro nel 1993 a oltre 6,5 miliardi nel 2012, mentre tra il 2008 e il 2016 i pedaggi sono aumentati di circa il 25%, a fronte di una crescita dell’inflazione nello stesso periodo inferiore al 10%. Secondo un recente studio della Banca d’Italia, ogni chilometro di autostrada a pedaggio rende mediamente ai concessionari oltre 1,1 milioni di euro l’anno. Per altro, gli interventi di manutenzione come già detto, sono diminuiti di oltre il 40% anche e soprattutto a causa di un cavillo all’interno di una convenzione che prevede che i concessionari debbano reinvestire fino al 75% degli introiti solo se il traffico sulle autostrade che gestiscono è aumentato più del previsto rispetto ai piani di sviluppo. Risulta oltremodo inspiegabile il motivo per cui non si conoscono i contenuti né della convenzione del 1997, né di quella del secondo Governo Prodi del 2007, né gli atti aggiuntivi del 2013 e del 2015 dei Governi Letta e Renzi. Oltretutto considerando il fatto che l’atto del 2013 fu approvato dal Ministero in soli due giorni lavorativi, durante il periodo di Natale. Ci si chiede anche, che fine abbiano fatto le buone intenzioni del Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Graziano Delrio, che nel sostituire Maurizio Lupi, dichiarò che fosse giusto indire delle gare per le concessioni autostradali. Oggi si discute di concedere una proroga delle concessioni per l’Autobrennero (A22) fino al 2045 e per Autovie Venete fino al 2038.
Ulteriore scandalo è rappresentato dal fatto che dal 2009 (prima non era possibile) quasi il 60% dei lavori autostradali sono stati affidati, sempre senza gare, a società controllate o collegate alle concessionarie. Come tenersi i soldi in casa. Questo vantaggio è stato confermato anche dall’ultima correzione al Codice appalti preparata dal Ministero delle Infrastrutture. Ovviamente la politica, in modo bipartisan, fa capo chino di fronte a questa situazione, complice il fatto che sia Gavio che Benetton elargiscono lauti finanziamenti a tutte le coalizioni, prima, dopo e durante le campagne elettorali, “auspicando” che la situazione rimanga a loro favorevole. Nonostante tutto questo, rispetto alle superstrade e alle strade comunali, la rete autostradale sembra un’infrastruttura di ultima generazione e questo rende l’idea della situazione in cui verte il nostro territorio. Questo perché i Comuni che dovrebbero reinvestire i proventi delle multe per rendere più sicure le strade a cominciare dalla chiusura delle buche, invece li utilizzano per fare cassa e chiudere i buchi di bilancio. Giorgio Ragazzi, esperto di infrastrutture e già direttore esecutivo della Banca Mondiale, su Linkiesta:
Sono disgustato. È una vergogna che si trascina da secoli. Non abbiamo ancora trovato un governo che abbia la forza di respingere lobby potentissime come quelle dei concessionari. Speravamo che questo ministro cambiasse qualcosa, ma non mi pare stia avvenendo. Ci vorrebbero ben altra determinazione e capacità».
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